Marcello, Gaetano e Franco Cioni avevano ognuno un potente motoscafo, a testimonianza - ove mai ve ne fosse stato bisogno - di quali personalità dominanti avessero i tre. Sommando le loro singole altezze credo che superassero i 5,65 mt; la stazza complessiva era sicuramente superiore ai 300 kg; quando nuotavano lo spostamento d’acqua era impressionante; quando s’immergevano in apnea, “Ottobre Rosso” in confronto diventava un modellino a pile; della loro forza fisica non ne parliamo neppure. In quest’ultimo campo, se avesse avuto qualche anno di meno, forse l’unico “grigolino” che avrebbe potuto tenergli testa o quantomeno non si sarebbe lasciato impressionare da loro, era Eolo lo Scardigli. Saggiamente non si sono mai sfidati direttamente, neanche con un accenno ad una competizione giocosa.
Ognuno di noi si sarà fatto la propria idea osservandoli ogni giorno all’opera. Lo so che parlandovi di questo fatto rischio di apparire di parte, ma vi assicuro che non è così e che quello che sto per raccontarvi è solo un’impresa, credo eccezionale compiuta dal “mi’ babbo”, che ritengo valga la pena di essere raccontata proprio perché credo particolare nel suo genere, anche se sono sicuro che le uniche altre persone che l’avrebbero potuta portare a termine sono proprio Franco, Marcello, Eolo se era un nuotatore, ma non lo so e certamente un altro grande figlio di Nettuno, prematuramente e tragicamente scomparso nel 1978, che si chiamava Roberto Cecchini.
Eccomi ai fatti: come al solito e nonostante ci fosse un bel mare di maestrale, Gaetano partì per andare a fare un bagno allo Scoglietto. Quando andò a rimettere in moto per il ritorno, il motore non partiva. I telefonini ancora non esistevano; il baracchino non funzionava o non lo aveva; barche intorno non se ne vedevano; di sparare un razzo per chiedere aiuto non se parlava; il mare ingrossava... sai che c’è, pensò il mi’ babbo, mi metto pinne, maschera e “cannello” (boccaglio), mi lego il motoscafo alla vita e me lo rimorchio fino al Grigolo. E così andarono le cose. A bordo con lui, anche quella volta c’era il suo inseparabile e fedele amico Lampo. (Lampetto) Un piccolo/medio incrocio bianco e nero tra uno Spinone ed un altro cane da caccia .
Una mattina piovosa di Pasqua o di Natale, di molti anni fa, mentre il mi’ babbo stava percorrendo di corsa via dell’Amore per venire in via Roma a pranzo da nonna, ecco che Lampo, impaurito ed infreddolito, lo seguì. Subito ci accorgemmo che non aveva un carattere facile e che sarebbe stato per sempre gelosissimo del suo nuovo padrone. Al Grigolo, in giro sul motoscafo o sui campi da Golf dell’Acquabona, i due erano inseparabili. Ricordo le epiche battaglie di Lampo contro i gabbiani dello Scoglietto che gli si lanciavano contro in picchiata dopo che lo avevano visto intorno ai loro nidi e ai loro piccoli. Lottava anche con le bolle che salivano in superficie dalle bombole del “mi’ babbo” che si trovava lì sotto in immersione.
Un giorno, mentre i due inseparabili amici camminavano tranquilli per strada, incrociarono
un tizio che riconobbe il cane e disse di esserne il proprietario. Era uno del Cavo, raccontò che gli era scappato, che l’aveva cercato per tanto tempo, che ormai aveva perso le speranze di ritrovarlo, men che mai a Portoferraio. Rivoleva Lampo! Il mi babbo che quel giorno troppo stranamente non voleva far polemiche, risolse così la faccenda: -“ bimbo, tieni un po’ Lampo per un momento!” (per la fobia da legatura di cui soffriva il cane, per quel malcapitato ragazzo, “dev’esse stata” un’impresa titanica). Poi, rivolto a quel tale : - “ora te vai da quella parte e io da quest’altra, poi lo chiamiamo, ognuno con il nome che gli ha dato e quello che Lampo seguirà se lo porterà via.” Non mi ricordo come si dicesse Lampo in cavese...
Quando parecchi anni dopo il cane morì, il mi’ babbo gli fece una sepoltura degna di un faraone. Dopo avergli fatto costruire una specie di sarcofago, lo seppellì sotto su un pianerottolo di terra che si trova sulla roccia nera sotto la punta della Madonnina e con una vernice bianca, la più resistente, scrisse il nome Lampo sulla roccia a caratteri cubitali. Fino a non moltissimi anni fa, chi passava di lì con la barca o anche con il traghetto, ancora poteva leggerlo.
Michel Donati