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A sciambere di antichi millantatori ferroviari e di amministratori più confusi che persuasi

Scritto da  Lunedì, 28 Luglio 2014 02:36

Oggi – nel nostro paese - l’ingresso, o come si usa più frequentemente dire “la discesa” (chissà da quale Empireo?) in politica è gesto praticato mediamente in così matura età, che perfino chi percorre la quinta decade del suo viaggio terreno si sente autorizzato a definirsi “giovane”.
Una volta non funzionava così, l’apprendistato iniziava tanto prima che poteva capitare che la (sfortunata) scelta del segretario della sezione di un partito che contava tra i suoi iscritti 740 (avete letto bene: settecentoquaranta) ferajesi, ricadesse su un giovane bischero ventiquattrenne quale era chi stende queste righe.

Ma erano gli anni ‘70 quando molti altri (veri) giovani subivano il fascino del radicalismo marxista (spesso neppure essendosi sognati di aver letto mezzo rigo scritto da Marx, Lenin e Mao che sovente per slogan citavano) e “militavano” in un frammentato arcipelago definito allora “sinistra extraparlamentare”, dei puri e duri dai quali i poveri cristi banalmente “comunisti del PCI” erano accusati di asservimento al capitalismo e di ogni nefandezza controrivoluzionaria.

Con uno di costoro, un “Che Guevara de noantri” destinato coerentemente a diventare nei successivi anni socialista craxiano, e compiere la sua parabola alla corte di quel bolscevico di Silvio Berlusconi, ci trovammo a discutere un giorno contestandogli di parlare di classe operaia e di proletariato, non solo – passi – non avendone fatto mai parte e provenendo da una famiglia abbastanza agiata, ma soprattutto di volere essere interprete dei “lavoratori” senza aver ricevuto da essi diretto o indiretto mandato.

“E qui ti sbagli - saltò su inviperito -il nostro interlocutore - perché se lo vuoi sapere io sono stato nominato responsabile politico del C.U.B. (Comitato Unitario di Base) dei ferrovieri di …. - declinando la località dove compiva i suoi studi Accademici - se ci tieni a saperlo!”

“Ah beh – prendemmo atto pur domandandoci cosa c’entrasse il nostro con le problematiche del trasporto su rotaia - quando è così …”

Per avventura però accadde che nella successiva settimana incontrassimo, guarda caso, un gruppo di ferrovieri organizzati dalla CGIL proprio nella città dove il nostro capopolo preparava la rivoluzione. Costoro ci chiesero di fare loro da guida per qualche giorno, e durante uno degli spostamenti in pullman si articolò tra noi e l’arcigno e brusco responsabile del gruppo, noto sindacalista della categoria, la seguente conversazione:
“Conoscerai sicuramente X.Y. ….”
“No .. e chi cazzo è?”
“Come? E’ il responsabile politico del C.U.B. dei ferrovieri da voi … so tanti?”
“Seeee sono quattro …”
“Dici quattro perché son pochi?”
“No dico quattro perche so’ uno, due, tre e quattro!”

La vendetta maturò di li a qualche giorno, quando il leader maximo dei ferrovieri rivoluzionari fece ritorno alla base isolana, e si stava avvicinando al bar ai cui tavoli stazionavamo per le nostre infinite discussioni politiche. Quando egli si profilò e giunse ad una trentina di metri da noi, ci alzammo in piedi e portando le mani alla bocca a mo’ di megafono e berciammo con quanto fiato avevamo:
“Alla grazia dell’organizzatore di oceaniche masse operaie!”
Ma a rincarare la dose ci pensarono due carogne che stavano colà e che avevamo messo a partito della consistenza della falange rivoluzionaria su binario che il convenente vantava di capeggiare, rispettivamente i due chiosarono:
“O dove la fai l’assemblea? Nell’ascensore?
“Boia deh co’ tu seguaci riempiresti anche la Piazza Rossa di Mosca!”
Chissà perché il rivoluzionario extra-strong tirò di lungo e non si fermò al bar quella sera …

Orbene voi vi domanderete il perché –cari lettori – di questo lungo pippettone iniziale, ma il fatto ce lo ha ricordato, pensate un po’, la telenovela "Circo a San Giovanni"

Premesso che non abbiamo niente contro i nuovi soggetti che si affacciano all’attività sociale specie poi se sono impegnati in un compito nobile come la protezione faunistica, ci domandiamo quali sono stati i criteri di composizione della delegazione che ha effettuato il cosiddetto sopralluogo sangiovannino sul benessere animale adottati dall’amministrazione portoferraiese.

Atteso infatti che le due iscritte a Legambiente, per quanto gentilmente accolte, erano “imbucate” e non invitate, l’unica associazione tra animalisti e ambientalisti invitata dall’amministrazione comunale se non sbagliamo era Animal Project Elba, di cui poco sappiamo oltre che è stata fondata qualche mese fa da tre volenterose signore di Capoliveri, Porto Azzurro e Rio Marina, e che ha un sito ove si riportano solo le fotografie di due mici in cerca di casa, il codice iban per le donazioni, copia dell’atto costitutivo ed un indirizzo e-mail. E quanto ad altre attività fino ad oggi condotte da A.P.E. ci risultano un incontro lotteria di beneficienza al bar del Porto ed una lettera di plauso ai vigili del fuoco per il salvataggio di una bestiola. Magari avranno fatto pure altro ma lo ignoriamo.

Ora però, qualche soggetto con interesse animalista (principale o correlato) tra locale e nazionale, con un quid di competenza, partecipazione, e radicamento territoriale in più ci pare esistere all’Elba:

C’è una sezione (piuttosto attiva) dell’ENPA, c’è il WWF (con le sue guardie ambientali volontarie) c’è Legambiente, ci sono ancora I Ragazzi del Canile, c’è il gruppo elbano BioWatching, sodalizi questi che insieme rappresentano alcune centinaia di cittadini e ce ne sono altri ancora. Perché non sono stati invitati? Non erano all’altezza dell’A.P.E.?

Più o meno è come se il ministro dei trasporti dell’epoca avesse discusso il rinnovo del contratto dei ferrovieri trattando col nostro antico amico ed i suoi quattro fedelissimi in luogo che con la CGIL.

Ci sembrano già più confusi che persuasi 

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