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Sanità elbana: Se hai, hai, e se 'unn'hai, ohi!

Scritto da  Maristella Giulianetti Martedì, 27 Gennaio 2015 03:29

Caro Direttore, quello che hai scritto riflettendo profondamente, sulla condizione economico-sociale dell’essere umano in questo periodo, partendo dall’istituzione della quotidiana mensa parrocchiale di Carpani, mi ha fatto tornare alla mente una lunga discussione che ebbi con altre persone durante la prima ed unica (sic!) grande manifestazione di protesta sulla sanità elbana. E soprattutto visti gli esiti della conferenza dei sindaci svoltasi qualche giorno fa a Portoferraio, che ha trattato di questo.
A quel tempo mi chiedevo, e purtroppo me lo chiedo ancora dato che le cose sono soltanto peggiorate, come mai la sanità venisse trattata come “Azienda Sanitaria” . Poiché sono una che fa molto caso alle parole, ed il nostro lessico fortunatamente ne possiede una per specificare più che bene ogni piccola condizione, allora ho chiesto aiuto all’enciclopedia per chiarirmi le idee sul concetto di Azienda. E quindi ho letto che una azienda è: “una organizzazione di persone e mezzi finalizzata alla soddisfazione dei bisogni umani e prevede la produzione, la distribuzione ed il consumo di beni economici e servizi verso i clienti”. Ed ancora che a capo dell’azienda c’è l’imprenditore, che l’azienda deve fare profitti e che all’interno di essa si sviluppano progetti per “attrarre clientela”.
Insomma ci hanno trasformato da malati pazienti a clienti, e La sanità in quanto azienda , deve fare profitto e quindi lucrare, e su cosa lucra? Lucra sulle nostre malattie. Che non mi pare proprio eticamente corretto, né tanto meno risponda al dovere costituzionale di difendere la salute dei cittadini.
Perché dico questo? Perché secondo me il profitto della Sanità e quindi di uno Stato intero, è la salute dei cittadini, lo Stato “guadagna” quanto più i cittadini godono di buona salute, e “rimette” quando sono malati. Più siamo in salute meglio è per tutti, spendiamo meno, lavoriamo di più e siamo anche più felici. Insomma quando un servizio sanitario nazionale funziona, gli ospedali dovrebbero essere quasi vuoti, ma comunque essere pronti ad ogni evenienza. Chiaramente questo appena espresso è un paradosso, ma secondo me l’intento del Ministero della Salute, se così si vuole chiamare, dovrebbe tendere a che ciò avvenga.
Al contrario da tempo gli ospedali vengono trattati come catene di montaggio, sono più bravi quelli che lavorano di più – quindi quelli che hanno più malati – mentre i piccoli nosocomi, vuoi perché ci sono nel territorio poche persone (ed il numero viene stabilito da quali parametri?) o perché fortunatamente in quella zona la gente gode buona salute in linea di massima, allora non sono più meritevoli di erogare servizi e vengono chiusi. Ed è partita la lotta tra strutture, che invece di collaborare si fanno la guerra, io sono più bravo di te, io c’ho più malati di tutti e di conseguenza sono il più bravo di tutti. Gli investimenti statali sulla salute diminuiscono sempre più, ed invece di facilitare ai cittadini l’accesso alla cura, ciò viene reso sempre più difficile e macchinoso. E questo porta molto spesso a perdite di giornate di lavoro per chi si deve curare e per chi deve assistere il malato, ad arrabbiature continue, e spesso purtroppo per i meno danarosi a non curarsi.
Ed ecco che torniamo al concetto che tu hai benissimo espresso e che qui espongo con una labronica allocuzione, visto che ti piacciono tanto: “Se hai, hai, e se'unn’hai, ohi!”.

 

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