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A Sciambere della casa barata ferajese

Scritto da  Cecilia Pacini - Sergio Rossi Martedì, 10 Marzo 2015 06:12

 

Caro Sergio,
Mentre i nostri sindaci discernono sulla sanità elbana, la saggezza popolare ancora una volta centra il fulcro della situazione generale.
Sperso nel parcheggio dell'ospedale, tra macchine parcheggiate a casaccio, transenne, perenni lavori in corso e indicazioni stradali posticce, un vecchietto accanto a me stamani ha esclamato:
"È tutto barato!"
Cecilia

Cara Cecilia
Premesso - a beneficio dei foresti - che in ferajese il verbo "barare" indica non già (o non solo) "imbrogliare" ma soprattutto "determinare o determinarsi un crollo" di un edificio (es. "la casa era vecchia, doveva essere barata" = demolita, abbattuta) o di un versante (es. il toponimo Ripa Barata = Scarpata Franata), l'acuta sintesi del tuo vecchietto mi ha indotto una riflessione.
Vedi, io con quelli della mia età, i nati nei dintorni della guerra, tra le "case barate" ci ho giocato, perché, per un lungo tratto di tempo, a Portoferraio restarono "le macerie" i buchi nel tessuto urbanistico lasciati dalle bombe che, democraticamente, tanto gli alleati quanto i tedeschi avevano scaricato generosamente su Portoferraio.

C'erano le macerie di Porta a Terra (Via Guerrazzi), c'erano quelle della De Laugier, c'erano al Ponticello (lo scheletro del Dopolavoro Fascista - nell'area ove ora sorge il Palazzo della Provincia) e ce n'erano altre sparse per il territorio comunale. Perfino la Torre del Martello della Lnguella, uno dei simboli del capoluogo elbano era "mezza barata", in parte ridotta in macerie.
Ferite per sanare completamente le quali occorse un lentissimo lavoro, spalmato nei decenni successivi, una lenta rinascita architettonica che era anche una metafora del rialzarsi economico, sociale, culturale di tutta una comunità.
E la progressiva chiusura degli "eterni cantieri" delle Fortezze, della De Laugier, dei Vigilanti erano come tante "battaglie " vinte si credeva definitivamente.
Ci sbagliavamo, perché poi iniziò a delinearsi una nuova catastrofe, tra rari gridi di cassandre dell'epoca: lo svuotamento di Portoferraio e del suo Centro Mediceo, l'assurdo consumo di territorio esterno, la bolla supermercatara e lo sfarinamento del piccolo commercio,  l'esodo del popolo verso il sol dell'avvenire betoniero, che ha fatto sì che ora non ci sia quasi più umanità vivente, tra così imponenti segni dell'uomo.
Ed altre bombe incatenate a questa malaurbanistica caddero sulla Citta di Cosimo, devastandone la competenza politica, sventrandone la qualità delle classi dirigenti, barandone la socialità; lasciando, posatisi i polveroni delle campagne elettorali, ben in evidenza le nuove pur invisibili macerie. Le macerie della cultura portoferraiese. E i disservizi, l'inefficieza, l'incapacità di contrattare con i poteri centrali, le isteriche proteste senza seria proposta, le baruffe ghiozzotte dei capataz di plastica che ci rimpastiamo, figli di quelle macerie sono.
Ora i cittadini di buona volontà, che si oppongono - comunque politicamente la pensino -  a chi è stato ed è tanto (come cantava Caterina Bueno) "di poca scienza e di core cattivo", debbono iniziare a rimuoverle quelle macerie culturali, a crederci che è possibile, che possiamo impedire la dittatura dell'aurea mediocritas nei secoli, fidando sul fatto che neppure le bombe possono barare le idee quando sono buone e giuste.

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