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A Sciambere della veglia pomontinca e della lucerna di LaoTzu

Scritto da  Marcello Camici - Sergio Rossi Domenica, 19 Aprile 2015 05:20

Ho letto su questo giornale due articoli uno di Rossi “Il carnevale della politica” e l’altro di Cambi “Il piccone purificatore”.

Li cito tutti e due perchè entrambi mi hanno  un pochino stimolato a pensare .

Il primo ,sulla quota da pagare per iscriversi ad un partito politico, il secondo , sui “coatti” della politica della dittatura.

 In fondo si tratta di due ritratti di una stessa medaglia.

Perché pagare per iscriversi ad un partito politico se già abbiamo pagato con la fiscalità generale per mantenerlo ?”

Vedi sovvenzioni elettorali.

E’ questa la domanda che mi ha  trattenuto dall’iscrivermi ad un partito politico .

Perché dunque pagare ?

Ma chi non ha tessera di partito  diventa “coatto” – vocabolo usato da Cambi- della politica,cioè soggetto che assai difficilmente può adire a cariche pubbliche ed istituzionali .

Può infatti un singolo cittadino non iscritto ad un partito pensare di essere eletto al  parlamento?

Il vocabolo “partitocrazia” significa  “predominio del sistema dei partiti che si sostituiscono alle istituzioni rappresentative nella direzione della vita politica nazionale” (Dizionario etimologico della lingua italiana Zanichelli)

Ho letto su giornali e riviste che non può esistere democrazia senza i partiti.

Può esistere democrazia senza i partiti?

E’ mai esistita democrazia senza i partiti?

Sono domande che mi sono poste quando ho letto che non può esistere democrazia senza i partiti.

Ho trovato ad esse risposta positiva negli albori della democrazia in Italia.

Nel 1860 con l’unificazione d’Italia si passò dal sistema dell’imborsazione usato per scegliere un amministratore a quello elettivo costituito da un corpo elettorale dove ogni elettore poteva essere eletto ed al tempo stesso, votando,eleggere qualsiasi membro del corpo elettorale.

Non c’erano partiti.

Marcello Camici

 

Gentile Dottore

Se mi consente vorrei anche io fare qualche modesta chiosa al suo ragionamento. 

Lei parla degli "albori della democrazia" riferendosi all'Italia del 1860; ciò mi ha richiamato alla memoria una risposta che una mia collega ricevette, durante una campagna di ricerca etnografica,  da una vecchia e spiritosa pomontinca, alla quale aveva chiesto: "Cosa facevate per le veglie?" L'interpellata rispose  "Eh, per le veglie ci se n'andava a letto!".  Singolare modo di vegliare indubbiamente.

Come dire che in quegli "albori della democrazia" era proprio buio pesto...   Lei , da valente storico, saprà  che la legge elettorale allora vigente era quella del Piemonte, e nel gennaio del 1861 si votava per "censo" (cioè l'esercizio era consentito solo a cittadini maschi e benestanti), il diritto di voto lo avevano appena 419.000 individui  su una popolazione di circa 23,5 milioni di persone (meno del 2% !).   Se poi vediamo chi quel diritto lo esercitò (con il papato che remava contro - né eletti né elettori - era il diktat)  la notte si fa ancora più fonda: alle urne si recarono in meno di 240.000, cioè votò lo 0,9% dei sudditi - temine nel caso appropriato - di Vittorio Emanuele II. 

Come, per fare un esempio, se la scelta  del sindaco di Portoferraio oggi la si facesse  al circolo del rotary o in loggia (e non ci sia l'immancabile spiritoso che osservi: "Perché  dov'è invece che si decide?" ).

Caro Dottore se è vero che lo sviluppo delle tecnologie consente ai cittadini (e più ancora lo consentirà) una più agevole espressione e pubblica manifestazione dell'individuale  pensiero politico (e forse domani perfino del suffragio elettorale a domicilio), è fuori di dubbio che poi occorra si crei un punto di organizzazione del consenso, che agisca mediando il pensare dei singoli cittadini e trasformandolo in  proposte ed azioni di governo della comunità. 

 Si chiamino questi soggetti partiti, non partiti, associazioni, cittadini uniti, comitati permanenti,  o si chiamino Maria Giuseppa, sempre partiti (sempre strumenti della democrazia facilitatori della trasformazione in politiche della volontà dei cittadini) saranno, come peraltro vuole e prevede la Costituzione della Repubblica Italiana.

Cancellare anche il concetto di  partito, perché quelli attualmente esistenti non sono stati capaci di rappresentare al meglio le istanze della cittadinanza,  risulterebbe  logico come mettere fuori legge i coltelli  perché, oltre che utili per  tagliare la ciccia a tavola, possono esere usati per ferire il prossimo;  il cattivo uso di uno strumento  non si può imputare allo strumento in quanto tale.

 Quanto alla cosiddetta democrazia diretta, sia essa esercitata come in un paio di minuscoli cantoni svizzeri, dove i cittadini si riuniscono in uno stadio per deliberare e votare, o "sulla rete" come va di moda affermare, credo che l'allocuzione  "incommensurabile inconcludente casino" sia la più adatta a definirne il potenziale prodotto.

Al momento in rete si fa (buona e cattiva, talvolta pessima) informazione,  non si esercita una piena democrazia,  anche perché, il problema non è solo quello -importante - relativo all'essere o al non essere in grado di accedervi e servirsene, ma pure di chi e come gestisce  la rete.

Le risposte sono infatti correlate alle domande, e captare il consenso con domande del  tipo "Volete voi meno tasse?" o "Vulite vui chiù pilu pi' tutti?" è, per dirla grettamente, "facile come sputa' in terra", che sia poi politicamente e democraticamente rilevante non so .

Tutte le volte che ascolto o leggo  singoli o gruppi  lanciare improperi (magari pure condividendone  le ragioni)  contro il "sistema dei partiti" mi torna in mente la massima di Lao Tzu  "invece di imprecare contro le tenebre accendi una lucerna" .  Come dire agisci, entra (entrate)  nel  partito che ti pare più vicino e correggine (correggetene) la linea e l'agire, oppure   fattelo  (fatevelo) un partito o comunque uno strumento  democratico commisurato al fine da raggiungere. 

Se uno ha davvero idee innovative e convincenti , se uno è capace e vuole impegnarsi per la soluzione di singoli problemi  (ricordando  però  che politica significa tenere conto della totalità dei problemi ), se uno, ancor prima che dalle ambizioni personali, è mosso da genuino spirito di servizio,   ha praterie sterminate da galoppare.

sergio rossi 

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