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MORTO CHE PARLA: atto secondo

Scritto da  Gian Piero Berti Giovedì, 27 Agosto 2015 10:09

 

Fra’ Cipolla ha trovato la toppa per il “morto che parla”.
Alcuni amici del sindaco stanno dicendo in giro che quella storia è tutta una montatura imbastita da me: una falsità prodotta dalla mia “genuina cattiveria”.
Perché il gioco delle parti è chiarissimo: Zecchini e Ciumei dicono sempre il vero e io dico sempre il falso.
Questi amici del sindaco ammettono che forse Zecchini si è leggermente confuso sulle date: ma è normale che, a una certa età, uno possa cadere in qualche marginale inesattezza dopo tanti anni dagli avvenimenti.
Però confermano che - nella sostanza - i fatti sono avvenuti proprio come Zecchini li ha esposti.
A una bugia ridicola - il prof. Ambrosini che parlava con Zecchini e i testimoni dieci mesi dopo che era morto - cercano di rimediare con un’altra bugia che non sta in piedi.
Confidano nella scarsa memoria della gente.
I fatti sono avvenuti in tre tempi.

 

Primo tempo: 2008
Nella notte fra il 13 e il 14 gennaio 2008 morì il prof. Riccardo Ambrosini.
La data è confermata da Internet.

Circa sei mesi dopo, all’inizio dell’estate 2008, Zecchini si trasferì da Lucca alla sua casa di Marciana Marina per le vacanze estive. Poi, nei primi giorni del settembre 2008, decise di partire dall’Elba per ritornare a Lucca.
In un articolo in data 14 ottobre 2008 (pagina 231 del libro) racconta che nell’ultimo giorno delle vacanze estive del 2008 andò a Portoferraio, dove visitò nella Villa dei Mulini la mostra “Napoleone, fasto imperiale”.
Internet conferma che la mostra restò aperta dal 12 giugno al 12 settembre 2008.

Uscito dalla villa dei Mulini, Zecchini si spostò nel Centro culturale De Laugier, dove visitò la mostra “Dal mito alla storia”.
Internet conferma che questa mostra restò aperta dal 9 agosto al 15 settembre 2008.

Dal Centro De Laugier Zecchini andò al museo archeologico, dove nel terzo pannello didattico si imbatté nelle ormai storiche “anfore fenicie orfane della loro i”.
E per l’inattesa scoperta rimase fulminato e inebetito (pagine 232 e 237), e fu costretto a uscire immediatamente.
Ritornato il giorno successivo a Lucca, il 14 ottobre 2008 scrisse l’articolo, che sarà incluso nel libro a pagina 231.
L’ipotesi che Zecchini abbia fatto quelle visite in una data diversa, cioè nel 2007, quando il prof. Ambrosini era ancora vivo, non regge. Infatti nell’anno 2007 quelle due mostre non c’erano: restarono aperte, per poche settimane, soltanto nell’estate 2008.
Le date delle due mostre confermano che i fatti sono accaduti nel settembre 2008, molti mesi dopo la morte di Ambrosini. Non c’è possibilità di inesattezze: con i suoi riscontri esterni nelle date delle due mostre, la visita alla Linguella raccontata da Zecchini è avvenuta nel 2008, tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, mentre Ambrosini era morto a gennaio.

 

Secondo tempo: 2009
Nella pagina 237 Zecchini racconta la sua nuova visita al Museo della Linguella dell’estate 2009 e accenna al dramma vissuto l’anno precedente.
È in questo secondo scritto che usa la parola “inebetito”.

 

Terzo tempo: 2015
In aprile, durante il mio ricovero in ospedale, mi regalano una copia del libro.
Carta patinata. Qualche bella foto dell’isola. Mi sorprende che il testo del sindaco sia relegato in un risvolto di copertina: poi leggo il racconto delle sue peregrinazioni “protettive” per i viottoli del Capanne con gli occhi addestrati. E allora capisco la collocazione in un risvolto: Zecchini deve aver avuto le mie stesse impressioni. Ma la sostituzione di Ciumei con Prianti non ha prodotto un gran guadagno.
Nelle settimane successive leggo qua e là: e mi imbatto nel fornice di via Guerrazzi, con il danno per sempre e le manipolazioni e la profonda ferita.
Allora preparo la mia replica.
Quando Zecchini trova i miei commenti sulla “i” mancante, si imbufalisce. Non comprende il senso del mio riferimento alla regola di Bruno Migliorini (di cui evidentemente non ha mai sentito parlare). E decide di tirare in ballo il prof. Ambrosini.

Zecchini aveva già usato il prof. Ambrosini per avvalorare scientificamente (!) l’etimologia di Cotone da Cathu-Cothu-Cuthu e dal francese Catone.
Poi aveva usato Ambrosini nell’interpretazione delle Argonautiche, come supporto per la scoperta di quanto aveva già scoperto il prof. Livrea nel 1973.
Gli sembra che Ambrosini possa essere di nuovo utile in questa terza occasione, come bomba atomica per schiacciare definitivamente - come asini - una vasta schiera di nemici.
Schiacciare le donne delle Soprintendenze, che da anni lo “perseguitano”.
Schiacciare le donne delle Università, che occupano prestigiose cattedre universitarie che a lui sono state negate e che allestiscono senza di lui il museo archeologico elbano.
E infine schiacciare il violento energumeno, che ha mostrato quanta aria fritta è stata stampata in quelle 302 pagine di carta patinata pagate anche con i soldi della Camera di Commercio (cioè con i soldi che lo Stato prende nelle nostre tasche).
Ma nel confezionare questa bugia-bomba, Zecchini (che ha soltanto due anni meno di me) si confonde e inventa il colloquio col prof. Ambrosini, che però era già stato seppellito dieci mesi prima della data del falso colloquio.
E per rendere più credibile la bugia, pensa di aggiungere che al colloquio erano presenti anche i testimoni.
Che fantasia !

Diceva però un mio amico che un buon bugiardo deve avere una buona memoria.
Agli smemorati si addice la virtù della sincerità.
Da quando esiste Internet, le bugie hanno le gambe ancora più corte.
Zecchini non ha buona memoria, ma non si rassegna a praticare la virtù della sincerità.
Ora attendo che mi quereli.

Gian Piero Berti

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