Stampa questa pagina

A Sciambere del Faro degli arcobaleni e dei turisti in padella

Scritto da  Sergio Rossi Lunedì, 07 Agosto 2017 11:45

 

Vorrei parlarvi di un tempo lontanissimo, quello in cui la strada (sterrata ma carrabile) si fermava - con il pullman - a Colle d'Orano, e a Chiessi e Pomonte ci si arrivava o con l'asino o con la barca. La luce elettrica si fermava anche prima, nella casa di mio nonno Domenico Lupi detto Bampa (la più in alto di Patresi) quando calavano le ombre della sera, a rischiarare quell'unico ambiente oltre che il fuoco del cammino c'era il lume a petrolio, usato, come tutto a quell'epoca, con parsimonia, perché poi si andava a letto, cioè a dormire sul saccone, sopra le assi che coprivano il palmento.


Da mezzo sangue marcianese (anzi patresaio) mi capitava di tanto in tanto di trascorrere dei giorni là dove stavano le mie radici, e anche se ero un bambino molto curioso, la memoria che me ne resta è come un film fatto di spezzoni montati alla rinfusa senza ordine logico.
Mi ricordo delle risate durante una cena col pane duro e saporito che nonna Bina Ferrini faceva una volta a settimana, gli sfottò per una parente che viveva lì vicino che aveva chiesto a Tonino Costa (fattorino del pullman al quale venivano affidate piccole commissioni un po' da tutti): "Ho sentito che alla marina so' arrivati li turisti... me ne compreresti mezzo chilo?", "li turisti" evidentemente per lei erano una novità alimentare.
Mi ricordo della cantina di nonno con le botti e soprattutto con una strano imbuto di tessuto grezzo da cui colava goccia goccia il vino "filtrato". Mi ricordo gli odori nuovi ed acri della campagna, il sapore del latte di capra.


Soprattutto mi ricordo di uno spettacolo naturale che non avrebbe più avuto repliche nel corso della mia intera esistenza.
Mia madre facendomi fare una nuova lunga passeggiata, mi aveva portato giù al mare - non certo a nuotare - "chi fa il bagno di settembre .. nella bara si distende" , diceva la prudente Rosina allora, ed eravamo quasi a ottobre. Stavamo nei pressi del Faro, e fu lei a puntare il dito verso l'orizzonte e contare: "1, 2 e si vede appena anche il 3° se guardi bene... ".
Tra il Faro in mare il cielo e la Corsica c'erano tre arcobaleni.
Per tutta la vita passando da quelle parti diventate poi "illuminate" e raggiungibili più agevolmente, mi è tornata in mente quell'immagine con il faro che mi era parso enorme e che crescendo io si era rimpicciolito, rimanendo però lo stesso.


Cari lettori capirete perché - per le limitate forze di cui dispongo, per quel poco di influenza che possa ancora eventualmente avere su chi mi legge - chi ha intenzione di compiere uno scempio paesaggistico da quelle parti, se la dovrà vedere anche con me.
E' una promessa solenne che faccio al bambino di sessanta e passa anni fa, ed ai bambini di oggi e domani, qualcuno dei quali forse avrà la fortuna di vedere là i tre arcobaleni , ed osservarli al netto di assurde, indigeribili, incolte, prepotenti "ristrutturazioni".
Non ho intenzioni involontariamente radicali ed antropofaghe come quelle della antica patresaia che i turisti li voleva mettere in padella, ma se occorre qualche (figurato) "morso nell'orecchi", sono pronto a "stioccarlo" a chi di dovere...

 

Sergio Rossi

Vota questo articolo
(0 Voti)

3 commenti