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Cara Elisabetta, aspetta, devo per forza dirti una cosa ancora

Scritto da  Elena Maestrini Domenica, 10 Settembre 2017 10:17

 Cara Eli, aspetta, devo per forza dirti una cosa ancora. Ancora, come ho fatto tante volte, liberandomi il cuore sempre troppo pesante. Aspetta, ascoltami.

Ripensandoci, è strano che la nostra amicizia sia nata e cresciuta in un'altra terra, in Puglia, nelle nostre vacanze in Salento, a ballare felici matte la pizzica, a guarire e ridere ballando. Di te mi rimarrà sempre l'immagine della ragazza che danza leggera una musica antica e lontana, con gli occhi più belli del sole e dell'estate.

Aspetta, non è questo che volevo dirti, non ancora.

A volte, delle vacanze è spesso il ritorno che racconta le storie più autentiche. Tu che dovevi salutare tutti, ma proprio tutti, gli abitanti del paesino di Castro. Maria, che era scesa alle sette di mattina per salutare soprattutto te, prima di tornare nella sua “casa d'inverno”, l'istituto per il disagio mentale. Dovevi salutare per forza il titolare del negozio di alimentari sotto casa, e io e Stefy non capivamo perché. Ti volevo dire che adesso l'ho capito. Ci aveva venduto il pane e le birre  per dieci giorni, avevi ragione a volerlo salutare. Dovevi salutare lo “spazzino” che ritirava il vetro di notte, svegliando tutto il paese, ogni volta che svuotava un cassonetto. Avevi ragione a volerlo salutare, come avremmo fatto senza di lui.

Aspetta, non è questo che volevo dirti.

Era l'alba del  24 agosto, il giorno del terremoto. E noi, per il ritorno, dovevamo attraversare il centro Italia, con ancora le notizie frammentarie che giungevano  dai luoghi del disastro. Ci si misero anche i due navigatori ad indicarci la strada sbagliata. Convinte di passare da Napoli, ci ritrovammo sulla via dell'Adriatico, ignare di dove ci avrebbero condotto le nuove, infallibili tecnologie, che avevano sì calcolato la via più breve, ma che non sapevano che quello era il giorno in cui sparirono paesi e persone. Ci si mise anche l'indicatore della benzina, che calò improvvisamente, avvisandoci, nel mezzo delle montagne d'Abruzzo, che eravamo senza più carburante, anche se l'auto continuava a camminare.

Ci si mise anche il tunnel. Un lunghissimo, interminabile tunnel sotto la montagna deserta e devastata del Gran Sasso.

Ascolta, è proprio questo che volevo dirti.

Senza più benzina, l'auto avrebbe potuto fermarsi da un momento all'altro, là dentro, sotto terra. Io ebbi un momento di terrore. Non si vedeva mai la luce in fondo al tunnel, e non era una metafora.  Allora tu ti prendesti cura di me. “Respira, respira, cerca di calmarti, ritrova il tuo coraggio.”

Poi tutto si risolse per il meglio, uscimmo dal tunnel e trovammo un distributore subito dopo, fuori dall'autostrada. Ovviamente ci facemmo le migliori risate del mondo.

Ecco, tu mi hai insegnato questo: ad avere coraggio dentro qualsiasi tunnel, sotto qualsiasi montagna, sia che si veda la luce oppure no.

Grazie, ciao, in questo lungo viaggio di ritorno è molto doloroso dover salutare anche te.

Elena

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