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A Sciambere: una condanna per diffamazione e le trappole del web

Scritto da  Martedì, 17 Aprile 2018 16:41

 

Sulle pagine di facebook, il più diffuso dei social-network, qualcuno dovrebbe scrivere "maneggiare con cura" come si fa sui pacchi che contengono materiale fragile o pericoloso. La riflessione consegue una vicenda segnalataci da Andrea Cignoni e la consultazione delle carte processuali relative ad un'azione giudiziaria intentata da suo padre Umberto, noto e per quanto a nostra conoscenza stimato medico, in servizio presso l'ospedale di Portoferraio, verso un cittadino isolano, che (i giudici hanno sentenziato), lo aveva umanamente e professionalmente diffamato in modo pesante, accusandolo di negligenze anche esiziali nella cura dei suoi genitori.
Per la cronaca il querelato è stato condannato ad una pena detentiva non lievissima (otto mesi di reclusione) sia pure beneficiando della sospensione condizionale, ed a rifondere il danno causato al Dott. Cignoni oltre che al pagamento delle spese processuali.
Riparate giudiziariamente le ingiustificate offese, resta da ragionare, più che sul messaggio diffamatorio, sul "medium", il mezzo usato per esprimerlo e cioè le menzionate pagine elettroniche di Facebook.
La dottoressa Chiara Nardi, Giudice Monocratico, ha scritto sul caso in sentenza: "La persona offesa ha subito un evidente danno all'immagine, considerato che le frasi offensive e denigratorie a lui rivolte sono state pubblicate su Facebook, e pertanto esse erano leggibili su tale social network da un numero indeterminato di persone ..."
Davvero non è concepibile dopo che il web ha permeato le nostre vite, dopo che è diventato la principale via di comunicazione tra i bipedi terrestri, come si faccia ancora a non comprendere che quando ci si mette alla tastiera non ci legge solo una stretta o larga cerchia di amici ma, potenzialmente, chiunque entri da una dei tre miliardi di porte che possono aprirsi sui nostri esternati (leciti o illeciti) pensieri.
E che di ciò non ci sia contezza di massa ne abbiamo riprove quotidiane, vedendo pagine su pagine che trasudano (oltre che orrori ortografici), violenza, insulti, offese gratuite (anche molto più pesanti di quelle oggetto della nostra notizia) "moderate" (si fa per dire) solo da macchine talvolta roboticamente ebeti, capaci di censurare Goya perché alla sua Maya si vede la topa, e di farsi scappare gli apologeti dei nazisti, quando non gli istigatori al terrorismo, allo stupro di giornaliste, parlamentari o comuni donne invise o prese di mira per le più irragionevoli ragioni.
Certo è che non si potrà proseguire in questa corsa verso l'anarchia comunicativa, che prima o poi - pur salvaguardando la civica libertà di pensiero - degli argini andranno posti, anche perché il semplice "controllo sociale" su questo fronte difetta assai, esistono, anzi abbondano, occasioni di educazione tecnica all'uso dei nuovi media ma è tragicamente assente una guida al loro uso eticamente accettabile :
"I social media - scriveva Umberto Eco - danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l'invasione degli imbecilli”. Un giudizio forse un po' drastico, ma abbastanza condivisibile.

Anche se alla tastiera è più vicina la pancia, è con la testa che bisogna starci.

 

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