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Bombardare il quartier generale

Scritto da  Gian Piero Berti Giovedì, 01 Agosto 2019 15:47

 

NOSTALGICI

Esiste ancora qualche nostalgico sostenitore della teoria che l’ipogeo di Marciana sia una tomba etrusca.
L’ipotesiparevasvanita dopo che il prof. Luigi Donati dell’Università di Firenze ‒ uno dei massimi studiosi degli Etruschi ‒ aveva osservato che,tra ledecine di migliaia di tombe etrusche a noi note, non ce n’è neppure una scavata in rocce dure. Invece l’ipogeo marcianese è scavato nel durissimo granito.Un amico mi ha spiegato che gli Etruschi preferivano le rocce tenere per un motivolapalissiano: scalpellare le rocce dure è più faticoso che scalpellare le rocce tenere.
E quandonon volevano scavare, gli Etruschi costruivano muri conpietre e malta. Nella tomba RegoliniGalassi di Cerveteri ‒ forse lapiù celebre delle tombe etrusche‒ la parte più alta delle pareti è, appunto, in muratura.
Era poi intervenuto un altro fatto, che ha risvolti comici. Negli archivi della Soprintendenza fu scopertaun’ampia documentazione fotografica,che risaliva al 1979. Nelle foto il pavimento appare completamente pulito: non c’è nessuna traccia di quel famoso “terriccio etrusco”, ricco di reperti storici (sic), per il quale nove senatori grillini ‒ ispirati da “anonimi” suggeritori ‒ chiedevano un’inchiesta «internazionale». Si badi bene: nientemeno che «internazionale».
Ho ritrovato nel computergli articoli di allora: alcuniriponevano grandi speranze nell’iniziativa dei parlamentari. Quantomeno si sarebbe sollevato un polverone di polemiche: e nel bailamme chiunque poteva vantare di avere ragione. Invecesaltarono fuoriquelle foto, chenon lasciavano equivoci.Per il partito della tomba fu una disfatta.


«E QUESTA È SCiiiiENZZZA»

Sono passati alcuni anni. E, come senon fosse successo nulla, ecco arrivare bel belloil nostalgico di turno, che scrive candidamente: «Ormai sappiamo su basi obiettive che l’ipogeo di cui trattasi tutto può essere, meno che una zecca».
«L’ipogeo di cui trattasi» è l’ambiente chela popolazione del paese chiama“zecca degli Appiani”.Ma l’autore dell’articolo pensa che gli abitanti abbianole traveggole. Eppure,la coniazione di monete nella casa di Bernottusè testimoniata dal libro dello Zanetti (1775) e dalla relazione del sacerdote elbano Lorenzo Taddei Castelli(1814).
Per il nostro autore, la tradizione popolare e i documenti scritti non hanno valore. È convinto che lesueopinioni sonoil fruttodella “Ricerca scientifica” più avanzata. È talmente sicuro di sé che usa l’espressione «sappiamo su base obiettive»: sembra uno scienziato del CERN di Ginevra che parla di onde gravitazionali, materia oscura, buchi neri.
«E questa è Sciiienzzza», direbbe il prof. Antonino Zichichi nella parodia di Crozza.
È ovvio che l’autore ha tutto il diritto di esporre le sueidee: anche i “terrapiattisti” hanno il diritto di parlare. Ma la frase non riguarda soltanto la zecca: il giudizio ‒ molto negativo ‒ concerne le capacità mentali dei cittadini marcianesi.
Leparole «tutto può essere, meno che una zecca»non si possono prendere alla lettera: è un linguaggio iperbolico che vuole sottolineare quanto sia assurdo, pazzesco, demenziale parlare di zecca. Insomma,anche se in forme garbate, il tono è beffardo:l’idea balzana della zecca poteva venire in mente soltanto anoi poveracci, a noi fessacchiottidi una remotacampagnaabbarbicata alle pendici del monte Capanne. Lui, che viene dalla città, sbalordisce, trasecola.


ALLUCINAZIONI

Non è la prima volta che qualche sapientino rimbrotta noi marcianesi per la nostra tendenzaalle allucinazioni. Aleggia il sospetto che il fenomeno sia causato dacerte spremute paglierine di procanico, usate come surrogato del tè, perché qui da noi il tè non attecchisce. Ecco alcuni esempi.A sud-est di Poggioc’è la Valle della Nivera: tuttora si vede un’enorme buca, dove veniva stivata la neve. Una seconda neviera esisteva presso il Santuario della Madonna del Monte. Peròilcommento delsapientino di turno èsarcastico. Una neviera? Suvvia,a che servirebbero le neviere nel marcianese?
C’è poi la “casa degli Appiani”: unsapientino hadimostratochei prìncipi di Piombino non ne hanno mai varcato la soglia.
La zecca degli Appiani, la casa degli Appiani e le “nivere” non esistono. Sono semplici miraggi. Così hanno spiegatoi vari sapientini,che ‒ come caporali di giornata ‒ ci scrutano dall’alto in basso.
Però metterebbero la mano sul fuoco sull’esistenza di re Marcinna, il lucumone etrusco “scoperto” di recentegrazie a un’arzigogolata sequenza dipiroette etimologiche, che sono solide e concrete come un vaporoso frullato di aria fritta.
E credonosul serio che da qualche parte esistano i resti di Porto Argo,il mitico porto costruito dagli Argonauti.
Porto Argo? sì, ma dove? Eppure, sarebbe un gioco da ragazzi ritrovarlo con minisommergibili e raggi laser, come nei film dell’Agente 007.Quando leggiamo certi racconti, abbiamo proprio l’impressione di vedere anche noi ‒con i nostri occhi ‒ il glorioso Giasone spaparanzato sulla muretta delle Ghiaie, che spippola sul telefonino,mentre si fuma una marlboro. Intanto i suoi cinquanta Eroi ‒ tutti figli di divinità dell’Olimpo ‒gironzolano per la spiaggia,detergendosi il sudore con lo strìgile e macchiando di indelebili puntolini neri la candida distesa diciottoli.
Quanto tempo è trascorso dallo sbarco di Giasone all’Elba?Appena una trentina di secolio poco più. Occhio e croce,centocinquanta generazioni. Dunque, storie fresche fresche. Storie “autentiche”, di quelle che siraccontavanoa veglia, alla luce tremula delle lampade a olio.Testimonianze quasi in presa diretta, attraverso un passaparola di 150 bisavoli, trisavoli… “enne-avoli”.


LO PSEUDOSTRABONE

«E questa è sciiienza», direbbe il prof. Zichichi.C’è qualcuno che ha dei dubbi?
Giasone e & sono sciiienza. Sono sciiienzai minisommergibili e i raggi laseralla James Bond. Sono sciiienzare Marcinna, l’eponima fuliggine, il Catone francese,l’Acropoli del Chiuccolo, l’emporio delgrande porto di Risecco.
Sciiienzasaldamente fondata«su basi obiettive», che solo a noi ignoranti sembranoimpalpabili sogni a occhi aperti.
In cotanto sfarfallio di scienza galileiana,non dimenticheremole prodezze del sindaco-sciiienziato, cheha rivisitato e “arricchito” la Geografia di Strabone,esplorando la via che da Marciana conduce a Marcièna, Marcinna, Marcina e Vietri sul Mare. Un sindaco che ha inventato un nuovo genere letterario: la“fanta-delibera”: la delibera illusionistica: la delibera trompe-l’oeil. Più sciiienza di così...


LA NEVIERA DI VILLA GIULIA

Mi dà fastidio il tono diirrisione verso i contadini marcianesi, perchésui «salti» di quelle vigne i miei bisnonni‒ che non erano d’aristocratico lignaggio ‒ si sono spezzati la schiena, per guadagnarsi il pane quotidiano.
Con l’intento di dimostrare che l’ipogeo non è una neviera, i sapientini hanno pubblicato in Internet fotografie di neviere in mezzo ai monti, ironizzandosulla scarsa somiglianzafra quelle grandi buche el’ipogeo.Chi ride dell’ipogeo-neviera provi a consultare la “Guida breve” di Villa Giulia, redatta daA.M.Sgubini Moretti, giàSoprintendentearcheologica del Lazio. Nelvolume sono riprodotte le planimetrie della splendida villa che oggi ospita il più importante museo etrusco (di cui anchegli archeologi della domenica hannosentito parlare). Nella “legenda” delle piante si legge la parola “neviera”.
La villa fu costruita a Roma, alla metà del 1500, per il papa Giulio III, da architetti come Vasari, Ammannati, Vignola. Riprendo da Internet alcuneinformazioni. Si entra nella neviera attraverso un ambiente decorato. Segue una parte più rustica, per arrivare in una grotta, che forse è la vera neviera. Si è parlato di un ninfeo, ma l’ipotesi non convince perché manca l’acqua.La neveera trasportata d’inverno dai monti laziali.
Dunque, in Roma, ai margini di Villa Borghese,fu costruita una neviera, che non rassomiglia affatto a una buca sui monti. La struttura funzionale dell’ipogeo marcianeseimita la nevierasotterranea di Giulio III.
Si obietterà che i prìncipi Appiani non erano ricchi come i papi. Questo aspetto deve essere chiarito meglio.Nel 1590il principe Alessandro Appiano fu ucciso in una sommossa.Dopo un lungo periodo di crisi, il governo di Piombinonel 1634 futolto agli eredi Appiani e fu trasferitoa un principe romano imparentato con gli Appiani attraverso un matrimonio: Niccolò Ludovisi era viceré di Aragona e Sardegna efratello del papa Gregorio XV (morto pochi anni prima).
Nel 1702, i Ludovisi confluirono in un'unica famiglia con i Boncompagni. Ai Ludovisi e ai Boncompagni appartennero papi,cardinali, politici al servizio del re di Spagna.La più grande villa rinascimentale di Roma fu costruita nella zona del Pincio dal cardinale Ludovico Ludovisi.Per progettare il vastissimoparco di trenta ettari,fu chiamato da Parigi l'architettoLe Nôtre, che aveva ideato i giardini di Versailles. Subito dopo l'unità d'Italia, l’areafu lottizzata,dando origine al «quartiere Ludovisi», intorno a Via Veneto.Per la decorazione della villa,il cardinale aveva acquistato quasi cinquecento statue antiche: molte sono esposte oggi nel museo di palazzo Altemps (Trono Ludovisi, Gàlata Ludovisi).
Dunque,è vero che il principato di Piombino era piccolo: nel 1746 furono censiti 6.345 abitanti nell’isola e 1.935 nella terraferma. Ma nel Seicento e nel Settecentoai principi di Piombino non mancavano le risorse per costruire una neviera a Marciana.La Soprintendenza ha presentato la neviera come un’ipotesi, che non è sicura, ma è credibile.


GLI STORICI E LA ZECCA

Molti ricordano che nel luglio del 2014 l’allora sindaco Ciumei, organizzò una grande festa in piazza (a spese del Comune), per celebrare la pubblicazione di un libro.Alla pagina 85 di quel libro si legge che nel vestibolo esterno dell'ipogeo «la spalla destra è stata completamente demolita nel XVIII/XIX secolo (e ricostruita con pietre e calce) per ricavare un ambiente più ampio da adibire a locale per la zecca».
Dunque, la zecca non è una strampalata invenzione dei cittadini marcianesi. Nel 2014,anche gli Storici e gli studiosi credevano alla zecca: addirittura supponevanochela coniazione di monete in casa Bernotti fosse proseguitafino al XIX secolo, in età napoleonica (per me,una supposizione ingenua). Devo credere che chiparlava allora di «un ambiente più ampio da adibire a locale per la zecca»non sproloquiasse a vanvera, ma avesse consultatodocumenti attendibili.
Ora l’autore dell’articolose la prende con le credenze popolari.Ma ha sbagliato bersaglio: tra i“creduloni”c’erano Storici patentati. Come insegnava il presidente Mao, avrebbe dovuto bombardare il proprio Quartier Generale.


Gian Piero Berti

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