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A Sciambere: che tòpa Cateri'

Scritto da  Sabato, 03 Agosto 2019 13:16

Le nostre nonne erano "avanti"... troppo avanti.. anche rispetto alla rivoluzione lessicale paritario-femminista che, in assenza del neutro (che ci voleva a tenercelo visto che in latino c'era?), ci obbliga a schierarci tra i fautori della signora sindaco o quelli della signora sindaca, ministra e così via.
Infatti non era infrequente che le antiche nostre progenitrici, per protestare avverso a qualche tediosa persona o fastidioso evento, evitassero le maschilissime allocuzioni "che palle!", "che par di coglioni!", usando in loro luogo la molto più femmineamente identitaria: "Che tòpa Cateri'!" anche nelle varianti "Cateri' che tòpa!" o "Mi' Cateri' che tòpa!", alludendo ad una figurata enfiagione del loro apparato riproduttivo.
A dire il vero ci fu negli anni più ruggenti della contrapposizione tra le metà del cielo, il tentativo dell'impianto lessicate di un "Che ovaie!" che ebbe però breve vita e scarso successo, troppo ginecologico... col "che tòpa" di nonna ("ò" chiusa ci raccomandiamo) non c'era proprio scozzo (partita) ...
Orbene c'è un altra perla della saggezza ilvate che vorremmo ricordare, ancora in premessa: "le cose lunghe doventono serpi"
Il combinato disposto (come dicono quelli che hanno studiato) dei i due frammenti linguistici che abbiamo proposto, ben si attaglia alla descrizione del tempo nostro con le eterne "Baruffe Chiozzotte" (o ghiozzotte?) dei palazzi romani, dove c'è al comando (si fa per dire) uno che si è proclamato nientemeno che avvocato degli italiani (ma la Carta Costituzione non ci pare contempli il Tribuno della Plebe), affiancato, come fossero badanti, da due Dioscuri che ovviamente - da par loro - continuamente dioscureggiano ( ma che avete capito? Maliziosi! intendevamo dire esercitano le loro prerogative, proponendo ricette salvinifiche diverse, anzi opposte, ma per il fine comune di salvare la Patria da loro medesimi)
I due in queste attività non mancano di insultarsi, di ribadire la loro diversità, di prendersi a sputi, cazzotti e ombrellate (per ora figurati), per poi giungere, come i Ladri di Pisa, a rappacificazioni notturne sulla spartizione del bottino (nomine, poltrone e legnate in capo ai più deboli: pensionati, disgraziati che affogano - tanto so' neri chi se ne fotte - sfrattati, sgomberati per non si sa dove). Pugno duro coi dannati della terra e dello Stato, con gli ultimi, inventandosi un nemico al giorno da servire alla folla inferocita dei penultimi. E crescono e hanno (alterni) successi. nella noia mortale del canovaccio di una sceneggiata che da quasi 500 giorni si replica pomeriggio, serata e matinée, nella quale  ora il vacuo fighetto, ora il simoniaco buzzurro  (e pallidissimi comprimari), tra gli applausi delle tifoserie adoranti si esibiscono. 
Fino a quando?
Fin a quando l'Italia stufa, vessata e nauseata, in veste di robusta massaia, non comincerà a evitare di farsi rincoglionire da TV spazzatura e social criminogeni, e non si metterà le mani minacciose ad anfora sul fiancale e lanciando il grido di battaglia:

"Che tòpa Cateri'!"

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