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Fosmiche e Caronte

Scritto da  Umberto Mazzantini Domenica, 12 Febbraio 2023 10:58

Lunedì non potrò esserci a salutare Massimo Allori che partirà per il suo ultimo viaggio nel mare del tempo e vorrei ricordarlo, perché Fosmiche ha rappresentato un pezzo della nostra confusa giovinezza, un amico scontroso, polemico, irriverente e intelligente, trovato e perso e poi rincontrato brevemente alla fine.

Massimo è sempre stato un tipo particolare: iperattivo e Bastian contrario per puro piacere di esserlo, uno di quelli che se ne veniva fuori con frasi celebri contundenti, ipotesi ardite, paragoni che sembravano parabole di ironico cinismo. Ed è per questo – ripensandoci ora – che Fosmiche, nonostante non ci frequentassimo molto da piccoli, compare così spesso nelle mie “Figurine Matinesi”: era spigoloso con lampi di genio e un umorismo caustico, a volte senza perdono.

 

Sembrava ci fossero solo due donne a tenergli testa: la mamma Speranzina e la fidanzata che non conoscevamo se non per le sue sfuriate alla sgangherata cabina telefonica tra il Bar Roma e il Bar la Perla, dove Massimo arrivava carico di gettoni e dove lo spiavamo divertiti seduti al tavolino più vicino per sentigli dire, stranamente docile dopo una tirata delle sue, «Sì amore, hai ragione amore…».

 

Con Massimo, Franco Galletti e il Fiocinaro per un inverno quasi sabbatico mettemmo su interminabili partite a briscola, scopa e scala 40 al Bar Lipton, dove noi altri tre ci mettevamo spesso d’accordo per barare e far perdere Fosmiche che a volte lo scopriva e si incazzava come solo lui sapeva fare, mandandoci a quel Paese in eterno. Ma la settimana dopo, quando tornava dal Nautico dove studiava, eravamo di nuovo lì a farlo incazzare.

 

A volte mi chiedevo perché Fosmiche, che politicamente non la pensava come noi (anche se con lui di politica non parlavamo e non ne ho mai parlato), venisse a passare con noi ore interminabili di chiacchiere e noia. Poi l’ho capito: era per il gusto di polemizzare, di fare battute, di sommergerci di epiteti coloritissimi come solo lui sapeva fare, con la sua voce già roca che poi sarebbe diventata rochissima di sigarette fumate nelle interminabili ore passate sulle navi su e giù per il mare. Eravamo il suo pubblico ideale: non eravamo d’accordo.

 

Ma già prima Massimo era diventato famoso per le sue trovate geniali. Quando eravamo ragazzotti con i primi peli che ci spuntavano sotto il naso ed altrove, i maschi del Paese si ritrovavano in Piazza di Sopra per interminabili partite notturne a pallone, ma a Mezzanotte la piazza e le strade si svuotavano perché Tele Centro faceva vedere le prime donne nude in TV (in realtà qualche tetta e un balenare di chiappe, che oggi sarebbe una cosa da educande) e tutti – senza ammetterlo e trovando scuse di ogni genere – andavamo a vederle dove si poteva. Fosmiche aveva la televisione in camera sua (uno dei pochi) ma Speranzina lo teneva sotto stretto controllo e allora lui si inventò una delle sue cose assurdamente geniali e poi ce la raccontò: quando guardava le donne nude in televisione, Massimo metteva su in un mangianastri la registrazione di un film western, credo uno di quelli di John Wayne - che a lui piaceva tanto mente noi eravamo per gli indiani - così Speranzina, pur vedendo filtrare la luce azzurrina della televisione dalla porta, sentiva gli spari dei cow boy, i muggiti delle mucche e i pellerossa al galoppo e lo lasciava in pace. «Massimo, spengi la televisione che è tardi!». «Sì mamma. Appena finisce il film…»

 

La nostra amicizia invernale, fatta di scherzi crudeli crudelmente ricambiati, finì presto, Massimo si diplomò, si trasferì in continente, si sposò, divento capitano di navi, ebbe la sua vita di cui sapevamo poco, frammenti, come lui di noi conosceva ormai frammenti. Quasi sconosciuti, naviganti di mari diversi. Ogni tanto ci vedevamo a La Marina, rapidi saluti – Eh, com’è? - come fanno i marinesi per il pudore di chiedersi le cose della vita.

 

Poi Massimo l’ho rincontrato mentre dava una sistemata alla cantina del babbo che era proprio sotto casa mia, abbiamo scambiato qualche chiacchiera e abbiamo ricordato i nostri giorni. Il tempo ci aveva cambiati entrambi ma lui aveva ancora, intatto, lo spirito caustico della gioventù, la battuta urticante, la convinzione implacabile di aver comunque ragione lui, di aver capito quello che gli altri non capivano. Eravamo rimasti distanti come quando eravamo ragazzi, eppure quella diversa concezione del mondo e degli uomini non ci aveva allontanato, era come se fossimo rimasti al Bar Lipton a giocare a scala 40. E le carte le dava lui.

 

Ora, ne sono convinto, troverà anche da ridire su come porta la barca Caronte, gli farà una partaccia delle sue e si metterà lui al timone per attraversare lo Stige.
Ciao Massimo
Umberto

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