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Brani di Storia Sportiva 1 - La prima volta del Giro d'Italia all'Elba

Scritto da  Andrea Galassi Sabato, 13 Aprile 2024 23:37

Il 1980 è un anno di grande tensione all'Elba. L'Italsider ha ufficializzato che il 31 dicembre cesserà ogni escavazione mineraria all'isola. La millenaria storia estrattiva del ferro si chiuderà definitivamente. Gli operai sono sul piede di guerra, pronti a ogni iniziativa, anche ad agitazioni, pur di scongiurare la disoccupazione.
Per almeno un giorno però tutti gli elbani possono rasserenarsi con un bell'evento sportivo. No, non il rallye. Che pure tra la fine degli anni '70 e i primi '80 vive il suo periodo d'oro: tutti i migliori piloti italiani, e molti di caratura mondiale, vengono a correre questa prova, che ormai è un appuntamento motoristico imprescindibile nel panorama europeo.


Si tratta dell'evento ciclistico nazionale per eccellenza: il Giro d'Italia. Per la prima volta si corre una tappa all'Elba. Le amministrazioni locali hanno sganciato 40 milioni di lire, somma di tutto rispetto per l'epoca, per avere la sede di tappa. Sarà la sesta frazione, giovedì 22 maggio. Partenza da Rio Marina alle 11.50, e arrivo a Portoferraio, in calata, intorno alle 15. Il percorso prevede la salita verso Rio Alto, il passaggio da Porto Azzurro e Lacona, la salita del Monumento, il giro completo dell'anello occidentale in senso antiorario (con la salita di Marciana), il secondo passaggio da Procchio, la salita della Lamaia, la discesa verso Bivio Boni, il secondo passaggio dal bivio della Valdana e da Lacona, la seconda scalata del Monumento, il terzo passaggio da Procchio, ancora l'ascesa della Lamaia, e l'arrivo a Portoferraio. In tutto 126 chilometri, distanza modesta per le corse ciclistiche dell'epoca.


Molti addetti ai lavori sono concordi: è una tappa banale, buona solo per dare un po' di visibilità mediatica all'Elba. Cosa volete che facciano questi zampellotti elbani, che non arrivano neanche a tre chilometri di lunghezza e trecento metri di dislivello? Si prevede una volata a ranghi compatti sulla calata.

 

Pochi considerano due cose. Che gli strappi sono corti ma con pendenze medie che sfiorano il 10%, e messi tutti in fila assommano a un dislivello totale di circa 1500 metri: non poco, dunque. E soprattutto che le strade elbane sono tutte curve e controcurve, dove i fuggitivi, anche con poco vantaggio, spariscono alla vista del gruppo, lasciandolo senza punti di riferimenti. Specialmente in quel ciclismo dove i corridori non erano in costante contatto con l'ammiraglia, tramite le radioline. In pratica, è il percorso tipico di una piccola classica delle Ardenne.


E infatti salterà fuori una tappa tutt'altro che banale, anzi spettacolare e combattutissima, corsa a 39 chilometri di media oraria. Ma andiamo per ordine.
In maglia rosa, quel 22 maggio, c'è uno dei più grandi ciclisti di sempre: Bernard Hinault. Il fenomeno di Yffiniac ha vinto gli ultimi due Tour de France, e arriva per la prima volta al Giro con l'obiettivo dei campioni, la doppietta rosa/gialla, riuscita solo a Fausto Coppi, Jacques Anquetil ed Eddy Merckx. Bernard è soprannominato il tasso, perché, come questo animale, se è infastidito si rintana, ma quando esce dalla tana morde. Non le manda mai a dire, ha una schiettezza al limite della spocchia. Pur tenendo molto al suo privato e mantenendo spesso pessimi rapporti con i giornalisti, ha un appeal mediatico che pochi sportivi di quel periodo possono vantare. Si può solo odiare o amare.


E, lo confesso, io ero tra i secondi: è stato il mio primo mito sportivo. Una delle poche cose che condividevo con mio padre era il tifo per lui. Mio padre che detestava quasi tutti i campioni stranieri (anche il timido e mite Miguel Indurain, pensate un po'!), chissà perché apprezzava questo ragazzone della campagna bretone.
Hinault prende la maglia rosa nella quinta tappa, la cronometro Pontedera-Pisa. Il giorno dopo è la giornata di riposo, quando la carovana rosa si trasferisce all'Elba.
Il giorno di riposo in un giro a tappe è tale solo perché non si gareggia. Ma i ciclisti in bici ci salgono comunque per allenamento e per non perdere il ritmo gara. Tuttavia gli appassionati elbani hanno la fortuna di goderseli lungo le strade in maggiore libertà. Si possono incrociare i propri beniamini, soprattutto i due corridori italiani che dividono le tifoserie nazionali: Beppe Saronni e Francesco Moser. E ovviamente c'è chi inizia a tappezzare il manto stradale e i muri di scritte inneggianti o perculanti questo o quell'atleta. E sono proprio Moser e Saronni i principali protagonisti che scaldano gli animi dei tifosi. A parte i banali viva e abbasso, vengono talvolta fuori scritte meno ortodosse, tipiche del carattere 'gnorante e rustico di certi elbanacci. Per esempio i tifosi di Moser vergano un “Che Saronni perda col bretone di...” e vi lascio immaginare la rima baciata. So anche chi è l'autore, e pur volendogli bene, non gli ho mai perdonato l'insolenza riservata al mio mito Hinault. “Ecchecivoifà!”, si è sempre giustificato, “quando si è giovani si è di morto fave! Oggi 'un la scriverei di certo!”


I ragazzi elbani battono con auto e motorini le strade dell'isola per vedere i corridori in azione, cacciare qualche autografo, scambiare due chiacchiere. E qualcuno si lascia andare anche a episodi antisportivi. Mi raccontavano: “Eravamo una macchinata di giovinastri. A un certo punto incrociamo la Gis, la squadra di Saronni, in allenamento. E uno dei nostri, moseriano di ferro, abbassa il finestrino e si mette a urlà insulti contro Saronni! Io, imbarazzatissimo, schiaccio l'acceleratore, avessi a pigliammi du' schiaffi! Tanto sai, Saronni era poco permaloso! Quando arrivamo all'ingresso di Portoferraio, trovamo una fila di macchine incolonnate! Mi volto verso l'urlatore e gli faccio: Oh, se ora ci ripigliano, co' Saronni te la vedi te, eh? Appena ariveno, dovevi vedello, lui che prima faceva tanto il ganzo: si abbassa così tanto, che penso si volesse nasconde' quasi sotto al sedile! Per fortuna ci passano senza dicci nulla, o forse 'un s'accorgano di noi! Ma che strizza quel giorno!”
Il 21 arrivano all'Elba anche i giornalisti che seguono la corsa rosa. E quell'anno il corrispondente della Gazzetta dello Sport è uno dei più grandi giornalisti sportivi italiani, Bruno Raschi. Non ha mai messo piede prima all'isola. E, secondo Giuseppe Castelnovi, pare avesse esclamato: “Qui il Giro dovrebbe venire tutti gli anni!”
E arriva la Rai, che pur collegandosi in diretta solo nelle fasi finali di corsa, fa conoscere l'isola a tutta Italia, e grazie all'eurovisione, a buona parte dei paesi europei. Inoltre la televisione di stato trasmette una rubrica sui luoghi toccati dalla corsa, curata nientemeno che da Mario Soldati, e che sarà una bella cartolina promozionale per l'Elba.

 

Siamo al 22 maggio. Le previsioni non sono buone, il cielo minaccia pioggia. Per fortuna sarà solo una grigia giornata, ma niente più. Il raduno di partenza, a Rio Marina, è un momento favorevole per i tifosi, ieri come oggi, di avvicinare i campioni, chiedere autografi e fare foto. Mi hanno mostrato alcune di esse molto belle. Corrado Martorella ha la possibilità di parlare con il suo idolo Gianbattista Baronchelli. Talento purissimo, il mantovano, che ha vinto tanto, ma meno delle sue reali possibilità, a detta di tutti. Infatti aveva un carattere all'opposto di quello di Hinault, molto meno cattivo agonisticamente. Da dilettante, caso unico nella storia, era riuscito nella doppietta Giro/Tour. E passato professionista l'anno dopo, nel 1974, ad appena 21 anni, aveva fatto tremare il grande Eddy Merckx al Giro, mettendolo in difficoltà sulle Tre Cime di Lavaredo: il belga riuscirà a salvare la maglia e vincere la corsa per appena 12 secondi.
Quando Corrado chiede di fotografare Hinault, in maglia rosa, trova un campione diverso da quanto si aspettasse: il francese infatti scherza e si diverte, gli toglie di mano la macchina fotografica e fa lui per fotografarlo, scambiandosi i ruoli e ridendo. Corrado mi faceva vedere foto simpatiche su questo episodio.
La tappa si fa scoppiettante fin dall'inizio con la squadra di Hinault, la Renault Gitane, a controllare la corsa, addirittura con lo stesso Bernard davanti sul Monumento, seguito dallo svedese Tommy Prim e Roberto Visentini. Ad attendere i corridori, sulla cima del Monumento, c'è un gruppo di baldi giovinotti 50/60enni capoliveresi, capeggiati da Bolivio Palmieri. Sono andati di buon mattino con la macchina di Enio Becherini. Non si lasciano sfuggire l'occasione di vedere il grande ciclismo sulle strade di casa. Alcuni di loro hanno visto tappe del Giro, ma sempre in continente. Quasi tutti sono stati ciclisti in gioventù, quando all'Elba le corse in bici pullulavano, tra giri dell'isola e circuiti, competizioni organizzate dalla Ferromin o da altri privati. E, mi raccontavano, anche una sorta di velodromo alle Ghiaie. Di quella giornata di festa c'è una bella foto del gruppo, vicino al cippo confinario che dà il nome al Monumento.

 

Intanto la corsa sembra in pugno a Hinault. Ma a Marciana, a 80 chilometri dal traguardo, parte una fuga interessante, promossa da Mario Beccia, capitano della Hoonved Bottecchia, e Carmelo Barone, gregario di Moser nella Sanson. Provano a inseguirli Corti, Villermiane e Tosoni, ma desistono. Nel giro di qualche chilometro però riescono ad entrare d'Alonzo, Lualdi, de Witte, Noris, ma soprattutto due nomi pesanti per la classifica generale: il capitano della Magniflex Olmo, lo svedese Berndt Johansson, e quello della Bianchi, Gibì Baronchelli. Si capisce subito che le grandi squadre, se non direttamente i capitani, vogliono mettere in seria difficoltà la maglia rosa.

 

La fuga è di qualità, non si risparmia nessuno, e il vantaggio decolla presto, arrivando a sfiorare i 4 minuti, tanto che Beccia, che in classifica ha un ritardo di 3 minuti e 25 secondi da Hinault, si trova per qualche chilometro a vestire la maglia rosa virtuale. Anche Beccia, veneto di origine pugliese, è un corridore grintoso, con un bel caratterino, sempre pronto alla polemica con organizzatori o colleghi. Scalatore puro, non ha vinto moltissimo, ma il suo palmarès è di rispetto: 4 tappe al Giro (e un quarto posto in classifica generale), un Giro di Svizzera e una Freccia Vallone.

 

Sul secondo passaggio del Monumento il gruppo di testa si sfascia: rimangono davanti Baronchelli, Johansson, Beccia e Barone. Gli altri verranno ripresi dal gruppo principale in una manciata di chilometri. Sulla Lamaia attaccano Beccia e Barone, ma Johansson e Baronchelli rientrano.

 

In calata è volata a quattro, ma Johansson e Beccia cedono subito, e nel testa a testa tra gli altri due Barone batte Baronchelli di pochi centimetri. Gibì accuserà Carmelo di averlo danneggiato tra gomitate e una deviazione di traiettoria. Ma nel complesso sono tutti soddisfatti: ovviamente il vincitore, ma anche i tre capitani, che hanno guadagnato in classifica generale. Il gruppo infatti ha perso 1 minuto e 18 secondi, ed è stato regolato da Mantovani, Moser, Prim e Gavazzi.

 

Per Hinault sembra invece che sia stata una sofferenza. A quanto raccontano, a metà tappa viene visto fare il gesto di chi se la sta vedendo brutta; e all'arrivo chiede se avesse conservato la maglia. Dopo la cronometro di Pisa aveva dichiarato tranchant che aveva il Giro in pugno, facendo indispettire molti. All'Elba capisce che è meglio cedere la maglia (lo farà il giorno dopo, nella tappa di Orvieto) per non spremere troppo sé stesso e la squadra. La riconquisterà nella terzultima tappa, andando a vincere il Giro. Al Tour dovrà invece ritirarsi per una tendinite. Solo due anni dopo riuscirà nell'accoppiata.

 

Il vincitore di tappa Barone, siciliano di Avola, è un umile gregario, e quello fu l'unico successo al Giro. Ma Carmelo seppe ritagliarsi qualche spazio da protagonista, conquistando in carriera anche due successi importanti: la Coppa Bernocchi e il Trofeo Baracchi, prestigiosa cronometro a coppie oggi non più disputata, vinta guarda caso insieme al compagno di fuga della tappa elbana Johansson. Dopo il ritiro dal ciclismo rimase a vivere in Toscana, a Santa Croce sull'Arno.
Finisce così quella giornata speciale di un'Elba e un ciclismo molto diversi da quelli di oggi. Ci sarebbero altri aneddoti che mi hanno raccontati, alcuni non troppo riferibili pubblicamente, ma ugualmente divertenti. Legati soprattutto a persone che non ci sono più. Ma prenderebbero troppo spazio. E di sicuro chi quel giorno lo ricorda, ne potrebbe aggiungere altri.

 

Secondo i giornali dell'epoca sono ben 5mila gli spettatori lungo il percorso. È decisamente una giornata ben spesa. Nel pomeriggio i mille della caravona rosa si imbarcheranno a Portoferraio, per partire il giorno dopo da Castiglione della Pescaia. Il Corriere elbano può giustamente scrivere: “Non c'è stata manifestazione all'Elba – crediamo – che abbia sollevato tanto entusiasmo e che abbia lasciato così soddisfatti gli isolani, per certo difficilmente accontentabili”.
Ma per il Giro d'Italia sarà solo un arrivederci all'Elba. 13 anni dopo tornerà sulle nostre strade, forse con uno spettacolo ancora più bello, come vedremo prossimamente.

 

Andrea Galassi

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Ultima modifica il Domenica, 14 Aprile 2024 10:34