Stampa questa pagina

A Sciambere dello spirito di patata, delle dune di Procchio e Mompracem

Scritto da  Venerdì, 31 Gennaio 2014 11:18

C’è un’espressione, che specie in anni passati ebbe uso e fortuna, che suona: “spirito di patata” e stigmatizza l’essere insulso, imbarazzante e penoso di chi, privo di acume umoristico, ignaro dell’arte sottile dell’ironia, cerca di sostanziare in suo essere di fronte ad un uditorio più o meno grande, somministrandogli qualcosa di grossolano presumendola una facezia, ed in luogo di muovere il riso o provocare un quid di allegria, muove solo le figurate palle in una caduta verso il basso, provocando un tot di sgomento misto a nausea.
Così per quanto geniale fu l’antico proto-vignettista che vergò sul muro del ristorante di Renzo (oltre ai pregevoli artistici graffiti) scritte nelle quali si specificava che nel locale di Procchio NON aveva mai mangiato Napoleone il Grande (su cui forse già all’epoca si faceva poco marketing culturale e troppa titolazione di “souveniristico” ciarpame) e neppure l’Eroe dei due Mondi Giuseppe Garibaldi, tanto è manifestazione di avvilente SPIRITO DI PATATA la grafica “battutona” aggiunta, secondo la quale, però, Sandokan in quei locali, avrebbe dimorato, giustapposta sulla facciata dell’esercizio.
Ci immaginiamo l’ideatore di quella finissima boutade, ed il suo travaglio nella scelta del personaggio da “contrapporre” a Napoleone e Garibaldi, compiutosi forse in un letto al risveglio mattutino, o più probabilmente nella intima solitudine di una stanza da bagno. E ci immaginiamo l’autocompiacimento per folgorante idea di evocare “la tigre di Mompracem”: “Ma sì, Sandokan! Ahaha! Che risate quando si ride! Come so’ ganzo!”.
Favata per favata (che fa favata al quadrato) se proprio il nostro immaginifico intendeva evocare un personaggio di fantasia, avesse scelto qualcuno un po’ più in nostrale e ottocentesco tema, ad esempio un Conte di Montecristo, ma forse la citazione sarebbe stata troppo dotta, ed in TV lo sceneggiato tratto dall’opera di Dumas non lo aveva visto.
“Dove mai saranno finiti i fiori?” cantava Pete Seeger, poeta quasi coetaneo dei “Pittori delle Dune” che ci ha lasciati (più poveri) da qualche giorno.
Dove mai, in questa Procchio semi-asfissiata dal cemento, saranno finite le dune, il rispetto per la cultura, dove è mai finita l’ironia, e con essa l’intelligenza, l’originalità, il gusto?
Ci resta lo squallore dozzinale di un tigrotto (ceramico NDR) su un muro 

Vota questo articolo
(0 Voti)