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La storia (infinitamente tenera) di Claudio e Leo

Scritto da  Michele Melis Sabato, 25 Ottobre 2014 03:22

Leo era un pastore tedesco atipico, insolitamente docile come un agnellino, sembrava di peluche da quanto era innocuo.
Ha vissuto sempre in tranquillità ed all’interno di schemi autoimposti, tranne quella volta.
Quella volta no, quella volta a modo suo si ribellò al destino infame che  si era abbattuto anche su di lui.
La sua storia fece il giro del paese due anni e mezzo fa quando morì il suo padroncino Claudio, stroncato da un tumore a soli ventisette anni.
Forse vale la pena di essere riproposta.
Leo era il cane di Mauro, Patrizia, Patrizio e Claudino (come veniva chiamato in famiglia) Leonardi, la storica famiglia che per oltre un quarto di secolo ha gestito il negozio “Disco Shop”, in centro storico a Portoferraio.
La notte in cui Claudino morì il cane fu portato giù di sotto alla camera mortuaria, prima stanza a destra. Era giusto che anche lui salutasse per l’ultima volta il suo padroncino prima che la bara venisse richiusa.
Il cane, resosi conto di quello che era successo, dette di matto, ma dopo qualche minuto si accovacciò affranto ai piedi di dove giaceva il suo giovane padroncino, non fu facile portarlo via.
Al funerale del giorno dopo, con il feretro accompagnato a piedi da tantissima gente, partecipò anche lui, defilato, come se nulla fosse, come se fosse una passeggiata qualsiasi, una gita fuori porta.
Ma non lo era.
Il giorno dopo ancora, in tarda mattinata, il cane quatto quatto scappò dal negozio, dal Disco Shop.
Premessa: quando solitamente varcava l’uscio del negozio, di rado si spingeva in fondo alla via, fino al tabaccaio, distante una cinquantina di metri scarsi, stava sempre lì davanti.
E di attraversare la piazza e recarsi fin sotto l’arco dell’orologio neanche per sogno, equivaleva ad attraversare a nuoto l’oceano.
Non l’aveva mai fatto prima, non ne aveva il motivo.
Ma c’è sempre una prima volta, Leo voleva andare a tutti i costi da Claudino ed aveva tutte le informazioni che gli servivano, pertanto si recò al cimitero da solo.
Non “tagliò” dall’Altesi, passò dal tragitto del funerale (quello che aveva memorizzato il giorno prima) e dunque girò a destra all’altezza del campo sportivo.
Giunto a destinazione, poco oltre mezzogiorno, il cancello era chiuso, tornò indietro.
Ma alla traversa dell’ospedale virò a sinistra, diretto dove?
Alla camera mortuaria, prima stanza a destra, aveva fiutato il posto.
Si infilò dentro e si accovacciò di nuovo lì sotto, solo che nel frattempo all'obitorio era stato portato un altro defunto. Una signora che, guarda caso, abitava nello stesso palazzo della famiglia di Leo.
Il cane fu subito riconosciuto ed invitato ad uscire, da persone a lui non estranee, sia gentilmente a voce che con l’inganno del cibo.
Niente da fare, andarono anche gli amici di Claudino che ci provarono anche energicamente, ma il cane non sentiva ragioni, non si spostava proprio, stavolta nemmeno con le cannonate.
Chiamarono Patrizia, la quale formulò alla famiglia della defunta le scuse per l’accaduto.
Patrizia neanche fiatò col cane, non ce ne fu bisogno, Leo si mise a quattro zampe alla vista della padrona ed insieme, in un silenzio surreale, tornarono a casa.
Questi sono i fatti dell’epoca, ma poi c’è il seguito, il lato oscuro ai più.
Leo è stato fedele al suo padroncino, sempre, anche da morto.
Continuava imperterrito a donargli l’amore più bello, quello nascosto, quello che non chiede di essere corrisposto.
Non so se a qualcuno di voi è mai capitato di vederlo ai piedi della tomba di Claudino.
Passava le ore lì, accucciato malinconicamente, sapeva perfettamente chi c’era sotto quella gelida lastra di marmo su cui, tutti i giorni, Mauro e Patrizia mettono ordine tra foto, cimeli musicali e che adornano con fiori sempre freschi, piante e piantine, ventiquattro in tutto se non ho contato male l’ultima volta.
Arrivava sulla tomba per primo il cane, una volta saltato giù di macchina si avviava a passo svelto, conosceva la strada.
E se ne andava via per ultimo, quasi mai al primo richiamo.
Stava lì, semplicemente gli piaceva stare lì, nella sua compostezza, nella sua sofferenza silenziosa.
Vedere quel cane in quello stato era struggente.
Non cadiamo nell’ipocrisia, la dipartita di un figlio è il peggiore degli scherzi che il destino possa riservare ed il vuoto che lascia non lo si rimpiazza con niente e con nessuno.
Però, c’è un però, c’è sempre un però.
Laddove non poteva arrivare l’uomo, con le sue scienze e le sue conoscenze, le sue cure e le sue terapie, perché ci sono dei meandri sperduti dove due più due non fa mai quattro; laddove non potevano arrivare i familiari stretti e gli amici intimi, uniti a cercare di far quadrato per fronteggiare la situazione, perché colpiti ma non affondati da una tragedia che tale era, nuda e cruda, soltanto per un genitore o per un fratello; laddove non poteva arrivare nemmeno la fata turchina con la bacchetta magica ad accomodare tutto ecco che è arrivato lui, l’animale, la bestia.
E ci è arrivato con l’impeto travolgente del suo affetto e del suo amore.
Smisurato il primo, incondizionato il secondo.
Quel pastore tedesco è riuscito in un’impresa titanica, ha alleviato pressoché da solo l’immenso dolore di un’intera famiglia, Mauro, Patrizia e Patrizio nella fattispecie.
Quel pastore tedesco ogni santo giorno ha somministrato il siero della vita a chi, in particolari frangenti, quando la montagna da scalare presentava pareti scoscese senza appigli, nella vita non ci credeva quasi più.
Non c’è un perché, non c’è niente di razionale, non si può spiegare, è andata così e basta.
Va ringraziato di cuore Leo, però non dite che è stato un semplice cane, per favore.
E’ stato di più, molto di più.
L’altro giorno è morto anche Leo, se n’è andato, ha lasciato questo mondo.
Si è finalmente ricongiunto con Claudino che lassù lo aspettava in ginocchio a braccia aperte.
Leo gli è saltato addosso facendogli tante di quelle feste che in questi due anni e mezzo si era tenuto dentro perché solo al padroncino erano riservate.
Leo e Claudino ora scherzano e giocano insieme ininterrottamente, come ai vecchi tempi, in sterminati prati erbosi, riempiono in questo modo interminabili giornate senza fine, calde e luminose, dove il sole non sorge e non tramonta mai.
E’ retorico credere in tutto questo? E’ utopistico? Può darsi di sì.
Ma può darsi anche di no.
Magari nell’aldilà, nel regno dei cieli, le cose vanno davvero così, vai a sapere.

Michelino 

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