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Dopo il Family day, da chi dobbiamo difendere i nostri figli?

Scritto da  Linda del Bono Domenica, 21 Giugno 2015 10:33

 

Ieri, sabato 20 giugno avrà a luogo a Roma la tanto propagandata manifestazione “Difendiamo i nostri figli”, dove si sono incontrati gli esponenti degli ambienti cattolici contrari alle unioni civili omosessuali e all’educazione sessuale nelle scuole, ribattezzata per l’occasione “teoria gender”, sventolando un documento targato OMS (Organizzazione Mondiale della sanità, che si ricorda non è un organo medico ma politico) del 2013 intitolato “Standard per l’educazione sessuale” nato con l’intento di fornire un quadri di riferimento per responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie e specialisti non meglio identificati per l’inserimento dell’educazione sessuale nelle scuole, documento peraltro mai approvato dal MIUR con relativa conseguenza di valere quanto la carta igienica.
Contestualmente si accusa il DDL Cirinnà, che disciplina non solo il matrimonio tra persone dello stesso sesso ma anche le unioni civili tra eterosessuali, di aprire la strada alle adozioni da parte delle coppie gay e alla legalizzazione della pratica di riproduzione assistita nota come “utero in affitto” (in realtà di queste due possibilità nel decreto non si fa minimamente accenno).
Su questo argomento non mi soffermerò più di un minuto: i matrimoni gay sono il riconoscimento di un diritto inalienabile della persona, ovvero il diritto alla famiglia, riconosciuto e sancito sia nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo che nella carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, che esplicitano il “diritto di sposarsi e costituire una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione”, motivo per il quale in 21 nazioni del mondo le unioni tra coniugi dello steso sesso sono già da diversi anni una realtà.
Dedico invece qualche riga a una riflessione che feci qualche anno fa a chiusura di un laboratorio sull’identità di genere, argomento trattato durante il corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria, nella quale scrivevo:
“Nell’immaginario collettivo la formazione dell’identità di genere, ovvero il modo in cui un individuo percepisce se stesso, il suo ruolo nella società e l’aderenza o meno al proprio sesso biologico, segue un percorso rigido e polarizzato; non viene concepito come un processo fluido, un continuum di identità sottoposto a continui aggiustamenti e comprendente infinite sfaccettature. Il rifiuto da parte della comunità di questa visione genera una serie di atteggiamenti discriminatori che producono situazione di marginalità quali genderismo, eterosessismo, omofobie, trans fobie, ecc. All’origine delle discriminazioni di genere sussiste quindi un problema sostanzialmente culturale, quello degli stereotipi di genere, che derivano dalla cultura, dall’istruzione, dalla formazione, la quale persevera nel trasmettere modelli cognitivi e comportamentali standarrizzati che imprimono segni indelebili o comunque difficili da rimuovere una volta raggiunta una fase avanzata dello sviluppo della persona (...) gli insegnamenti impartiti dai genitori e dagli educatori ai figli risultano essere, di fatto, una predisposizione, intesa come l’approntamento ad un futuro considerato “giusto” e “adatto”, all’avvenire, e seguono modelli diversi in funzione del sesso (…) alla luce della realtà sopra esposta ritengo che il primo passo fondamentale da compiere sia quello di liberare l’educazione dagli stereotipi, andando ad agire direttamente sulla formazione del pensiero pregiudizievole, che non solo impedisce l’accettazione delle differenze, ma che porta inevitabilmente ad autoeliminarsi nei comportamenti e nelle scelte. Occorre dare ai bambini la possibilità di esprimersi secondo le proprie inclinazioni e i propri desideri, tramite il superamento dei ruoli rigidi e prestabiliti, che imprigionano la personalità e condizionano la sfera dei sentimenti e dell’emotività; è necessario aiutarli a vivere le proprie emozioni in maniera sana e funzionale, insegnando loro ad usare le parole per esprimerle. Sin dall’età prescolare emerge una stretta relazione tra la scelta dei giochi e le differenze di genere; i più piccoli devono invece avere la possibilità di sperimentare le variabilità tramite il gioco che si rivela per loro lo strumento più adatto allo scopo, evitando la caratterizzazione sessuale dei ruoli ed ogni atteggiamento che porti a fare distinzione tra gioco maschile e femminile, lavorando sulla ricerca e la scoperta della complementarità e dell’intercambiabilità, e favorendo lo sviluppo di atteggiamenti collaborativi nei rapporti tra i due sessi, ponendo così le basi per una relazione positiva una volta raggiunta l’età adulta”


Questo è quello che mi hanno insegnato all’università, questo è quello che mi si chiede di trasmettere ai miei alunni: di educarli alla libertà di scelta, anche sessuale, all’espressione della propria personalità e al rispetto delle diversità tutte, e non vedo come affrontare correttamente l’argomento dell’identità di genere possa in qualche modo minare la società o tirar su una generazione di bambini sessualmente confusi come asseriscono le varie categorie manifestanti. “La scienza ufficiale converge nell’asserire che non esistono cause dell’omosessualità spiegabili scientificamente esattamente come non esistono cause dell’eterosessualità: l’omosessualità non ha origini né genetiche né socio ambientali, a differenza della discriminazione che è una costruzione sociale che non esiste nel regno animale, ma solo in alcune parti del regno umano” (Andrea Miluzzo, direttore Lgtb News Italia).


Tornando allo slogan che ha aperto la manifestazione “difendiamo i nostri figli”. Dati alla mano riferiti al 2013. Le vittime di abuso sessuale segnalate hanno un età inferiore a 10 anni nel 48% dei casi; nel 53% dei casi nei quali è stato indicato l’abusante esso appartiene al nucleo familiare e sempre i dati ci dicono che nel 78% dei casi è un genitore. Altri dati: dal 1995 al 2015 sempre in Italia assistiamo all’incremento del 155% delle interruzioni di gravidanza under 15. Ancora dati: i suicidi adolescenziali costituiscono il 10% del totale dei suicidi che avvengono in Italia ogni anno e lil adolescenti gay hanno una maggiore propensione per il suicidio a seguito di atti di bullismo di cui sono spesso vittime e di conflitti intrafamiliari in caso di non accettazione.

 

Da chi o cosa dobbiamo difendere dunque i nostri figli?
Come insegnante e madre non posso far altro che auspicare l’introduzione dell’educazione all’affettività e alla sessualità nell’offerta formativa rivolta ai bambini e ai ragazzi sin dalla scuola materna, dove si potrà insegnare con l’aiuto di esperti e con strumenti anche lessicali adatti all’età, la differenza tra le attenzioni lecite, le “coccole”, e le attenzioni illecite, l”abuso”, l’accettazione del proprio e altrui orientamento sessuale, i comportamenti sessuali corretti ai fini della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e le conoscenze e per il controllo della fecondità. Consola sapere che mentre in Italia il dibattito va avanti da decine di anni, in un piccolo villaggio chiamato Johi situato in Pakistan circa 700 bambine dagli 8 anni in su seguono corsi di educazione sessuale con il consenso dei genitori grazie a un progetto promosso da un’organizzazione non governativa.

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