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Controcopertina: Il Governo dei Tecnici è un governo di destra

Scritto da  Luigi Totaro Lunedì, 02 Aprile 2012 18:15

Il ‘Governo dei tecnici’ persegue una rotta finalmente chiara: è un governo di Destra –della Destra vera e colta che in Italia ha annoverato personaggi di spessore indubbio, da Cavour a Einaudi, fino a Valerio Zanone-, di una Destra moderna, che sviluppa un’azione lineare e decisa, nutrita di scienze economiche e finanziarie, totalmente devota al ‘mercato’, con il culto dell’individuo e del suo successo (ma sempre in un contesto di appartenenza a un ceto che trae la sua legittimazione a governare Stato ed economia perché dispone dello strumento vitale della società, ovvero il capitale finanziario). La caratteristica personale dei membri del Governo –i Professori- li costituisce come l’essenza pura di quella Destra: non imprenditori-guerrieri (all’infuori del ministro Passera, forse) ma teorici puri (‘filosofi’, potremmo dire, per seguire la suggestione della ‘Repubblica’ platonica), capaci di pensare e agire disinteressatamente. Al Popolo spetta di comprendere, se può, le decisioni assunte certamente anche per il suo bene, e comunque di conformarvisi. Alla demagogia circense si sostituisce l’esortazione tragica, la persuasione confortata dai risultati certificati dall’Ente Supremo –il Mercato, i Mercati- e dalle divinità seconde che ne scaturiscono –‘l’Europa’, ‘la BCE’, ‘la Banca Mondiale’, ‘l’OCSE’, e via dicendo-. Il Popolo magari comprende poco, ma si adegua per rispetto al prestigio dei Professori: e infatti, a oggi, il Governo gode di un buon 60% di gradimento degli italiani (e, a quel che appare, del 100% di gradimento di tutti fuori d’Italia).

Il Governo Monti si è insediato ormai da quattro mesi e mezzo, e va avanti abbastanza spedito nel suo percorso di ‘risanamento’ dello Stato. Insieme a moltissimi altri cittadini italiani abbiamo respirato quando –dopo troppo tempo e con troppo ritardo- il Berlusconi si è ritirato; e ci siamo rilassati quando i ‘tecnici’ hanno pilotato la navicella della nostra repubblica un po’ più a largo, fuori delle secche in mezzo alle quali l’aveva portato un pilota di molti sorrisi e di poca perizia (ho sempre creduto, e anche scritto, che come governante e come politico Berlusconi valeva proprio poco). Possiamo ora tentare qualche valutazione più distaccata.

Il ‘Governo dei tecnici’ persegue una rotta finalmente chiara: è un governo di Destra –della Destra vera e colta che in Italia ha annoverato personaggi di spessore indubbio, da Cavour a Einaudi, fino a Valerio Zanone-, di una Destra moderna, che sviluppa un’azione lineare e decisa, nutrita di scienze economiche e finanziarie, totalmente devota al ‘mercato’, con il culto dell’individuo e del suo successo (ma sempre in un contesto di appartenenza a un ceto che trae la sua legittimazione a governare Stato ed economia perché dispone dello strumento vitale della società, ovvero il capitale finanziario). La caratteristica personale dei membri del Governo –i Professori- li costituisce come l’essenza pura di quella Destra: non imprenditori-guerrieri (all’infuori del ministro Passera, forse) ma teorici puri (‘filosofi’, potremmo dire, per seguire la suggestione della ‘Repubblica’ platonica), capaci di pensare e agire disinteressatamente. Al Popolo spetta di comprendere, se può, le decisioni assunte certamente anche per il suo bene, e comunque di conformarvisi. Alla demagogia circense si sostituisce l’esortazione tragica, la persuasione confortata dai risultati certificati dall’Ente Supremo –il Mercato, i Mercati- e dalle divinità seconde che ne scaturiscono –‘l’Europa’, ‘la BCE’, ‘la Banca Mondiale’, ‘l’OCSE’, e via dicendo-. Il Popolo magari comprende poco, ma si adegua per rispetto al prestigio dei Professori: e infatti, a oggi, il Governo gode di un buon 60% di gradimento degli italiani (e, a quel che appare, del 100% di gradimento di tutti fuori d’Italia).

I Mercati: ma chi sono i Mercati? La domanda corretta sarebbe “che cosa sono?”, ma a me interessa invece sapere “chi” sono. Perché se li chiamassimo “mercanti” invece che “Mercati”, pur restando misteriosi, mi parrebbe di individuare meglio degli interlocutori, e forse potrei confrontare dialetticamente i loro interessi con quelli miei e dei miei concittadini. Così pure quell’“Europa che ce lo chiede” chi è? Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda, Serbia, Croazia, ecc.; oppure Francia, Germania, Inghilterra, Austria, Svizzera –e ce lo chiedono i governanti o i governati-? O forse è quella Commissione Europea formata prevalentemente da omologhi dei nostri Professori: e allora il riferimento alle Entità esterne –Mercato, Europa, Banche- è solo strumentale o accattivante, per non dire: “Ve lo chiediamo noi, perché va bene così”.

Il professor Monti e il suo Governo, infatti, sono espressione –o, per meglio dire, ultima incarnazione- di quella borghesia che due secoli fa ha soppiantato aristocrazia ed economia agraria basata sul possesso della terra, sostituendole prima con l’economia industriale basata sul capitale e sul mercato dei manufatti, e finalmente con il capitale finanziario basato sul mercato virtuale. Il Nuovo Regime ha ereditato dall’Antico l’impianto sociale fortemente classista, sostituendo all’aristocrazia del sangue (blu) l’aristocrazia del capitale, anch’esso trasmesso per via ereditaria; e al concetto di ‘nobiltà’ quello di merito –non più Aristocrazia ma Meritocrazia-, celando più o meno destramente che, come il ‘sangue’, spessissimo anche il ‘merito’ ha una connotazione ereditaria: nessuno nega che il giovane Martone, sottosegretario del ministro Fornero, sia un genio; però forse come lui ve ne sono altri e forse anche non pochi, ma lui è diventato quel che è e gli altri no, perché le sue virtù personali sono state corroborate dall’appartenenza di classe; e allo stesso modo nessuno dubita che la giovane figlia del ministro Fornero sia bravissima, ma forse la sua ascendenza non è stata indifferente al conseguimento dei ruoli che ricopre. Del resto anche la ‘nobiltà’ non era virtù esclusiva degli aristocratici, ma il potere era appannaggio esclusivo dei ‘nobili’ che erano anche aristocratici.

La Borghesia ha sostituito dappertutto l’Aristocrazia, malgrado i disperati tentativi di quest’ultima di salvare il salvabile –si pensi al Dispotismo Illuminato prima della Rivoluzione Francese, o alla ‘condivisione’ presto rientrata dei sovrani europei all’epoca del Risorgimento (persino papa Pio IX concesse una ‘costituzione’, rapidamente rinnegata), per lasciare poi definitivamente il posto a governi borghesi, magari guidati e formati da aristocratici. Si è allora creato come uno sdoppiamento fra le funzioni di amministrazione degli Stati e di gestione dell’economia, e quest’ultima, dagli inizi dello scorso secolo, ha assunto un carattere prevalente. Persino la drammatica esperienza del Socialismo di Stato nell’Unione Sovietica e nei Paesi ‘satelliti’, quando è arrivato al suo triste epilogo, ha reso manifesta la dicotomia fra il potere della burocrazia statale e il potere del management economico che, deposto il manto ‘socialista’, ha rivelato la sua natura capitalistica; e lo stesso sembra avvenire oggi nell’esperienza della Repubblica Popolare Cinese.

Ma la realtà presente non riesce più a nascondere il tremendo stato di crisi cui la borghesia capitalistica e finanziaria ha portato gran parte degli Stati del mondo, se non il mondo tutto intero. Chi sa leggere la storia economica ci dice che la crisi attuale è figlia di quelle analoghe che hanno percorso tutto lo scorso secolo, trovando tamponi –per lo più guerre- che oggi possono essere usati solo con gravi rischi e risultati modesti. Così a partire dagli anni ‘70 la crisi si è andata complicando gravemente, fino a esplodere negli ultimi quattro o cinque anni, rendendo evidente il fallimento del sistema capitalistico, che ha variamente guidato il mondo dopo la Rivoluzione Francese. ‘Sostenuto’ dalla guerra ideologica con il Socialismo sovietico, nel momento in cui quest’ultimo si è liberato da ogni maschera e si è presentato col suo volto di sistema capitalistico e di competitore, il capitalismo ‘occidentale’ si è accasciato, e tenta ora di sopravvivere ricorrendo a vecchie parole d’ordine (la nazione: Germania, Francia, Inghilterra, l’Italia; il Continente: l’Europa, il Nordamerica, il Sudamerica, l’Asia, l’India, ecc.) e a vecchissimi metodi (paternalismo); oppure ai richiami tribali del cosiddetto Territorio (la Padania, il Comune, il Rione, la Squadra di calcio, ecc., con tanto di rituali vecchi o inventati –l’acqua del padre Po, le sagre, i palii, le feste, ecc., quando da festeggiare c’è davvero poco-. Dalla parte opposta si trova la massa sempre più vasta di coloro che vedono le loro risorse diminuire, e la loro capacità di spesa (e di consumo) ridursi rapidamente, segnando con ciò la sconfitta di un sistema che prometteva un benessere diffuso e dinamico. I ricchi accumulano patrimoni ‘immobili’, i poveri accumulano debiti. I Governi come il nostro cercano di prendere tempo come i Sovrani Illuminati e risorgimentali, e di salvare il salvabile di questo sistema, sperando che nessuno si accorga della sua malattia mortale.

A metà dell’‘800 Marx ed Engels scrivevano: “La storia di ogni società finora esistita è storia della lotta di classe”, e parlavano dello spettro del Comunismo che si aggirava per l’Europa. Oggi ad aggirarsi per l’Europa e per il mondo è più solo la realtà della miseria. Possiamo sperare che qualcuno –che non sia un ragioniere pur bravissimo, o un rassegnato ‘moderatore’- ci indichi un orizzonte al quale guardare per non morire di disperazione?

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