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L’incontro di Federparchi a Roma

Scritto da  Renzo Moschini Sabato, 02 Febbraio 2013 08:02

Gli esiti dell’’incontro a Roma di Federparchi sulla situazione dei parchi, meritano qualche riflessione e approfondimento  per cogliere se ci sono delle novità. Finora, nonostante l’aggravarsi allarmante della condizione dei parchi nazionali e regionali a partire soprattutto dalla gestione del ministro Prestigiacomo, l’attenzione si era concentrata unicamente sulla esigenza di rivedere la legge 394. Insomma i tagli, i commissariamenti senza fine, l’assenza di qualsiasi politica di sistema del ministero sempre più impegnato in una gestione burocratica paralizzante, le regioni  avevano lasciato il posto  ad un'unica opzione: modificare con il testo della legge. Una legge  che per alcune  parti decisive è rimasta lettera morta, specialmente negli ultimi anni. Questa  operazione - che ha avuto il carattere di un vero e proprio ‘condono politico’ - è risultata via via sempre più strumentale e pretestuosa perché volta soprattutto a far passare in seconda fila – anzi ad ignorare - i nodi politico-istituzionali di una gestione ministeriale rovinosa, tanto da innescare  contrasti e polemiche mai così vivaci anche tra le stesse associazioni ambientaliste.

Gli esiti dell’’incontro a Roma di Federparchi sulla situazione dei parchi, dove  per il Gruppo di San Rossore è intervenuto Carlo Alberto Graziani, meritano qualche ulteriore riflessione e approfondimento  per cogliere se ci sono delle novità.
Finora, nonostante l’aggravarsi allarmante della condizione dei parchi nazionali e regionali a partire soprattutto dalla gestione del ministro Prestigiacomo, l’attenzione si era concentrata di fatto unicamente sulla esigenza di rivedere la legge 394, nella quale si sarebbero annidate la cause delle crescenti difficoltà. Insomma i tagli, i commissariamenti senza fine, l’assenza di qualsiasi politica di sistema del ministero sempre più impegnato in una gestione burocratica paralizzante, le regioni sempre più anch’esse alla deriva, avevano lasciato il posto   ad un'unica opzione: modificare con il testo del senato la legge 394. Una legge – bisogna pur ricordarlo - che per alcune  parti decisive è rimasta lettera morta, specialmente negli ultimi anni. Questa  operazione - che ha avuto il carattere di un vero e proprio ‘condono politico’ - è risultata via via sempre più strumentale e pretestuosa perché volta soprattutto a far passare in seconda fila – anzi ad ignorare - i nodi politico-istituzionali di una gestione ministeriale rovinosa, tanto da innescare  contrasti e polemiche mai così vivaci anche tra le stesse associazioni ambientaliste.
Nell’incontro romano sembra che per fortuna tanto entusiasmo –potremmo dire accanimento terapeutico - si sia un po’ ridimensionato. E’ vero che tra i protagonisti, specie senatoriali, sembra permanere una grande   soddisfazione per essere riusciti all’ultimo momento ad approvare un testo considerato una pregevole anticipazione della agenda della nuova camera - insomma il carbone della calza. Ma di entusiasmo anche a Roma,  complice  l’impatto elettorale per  questo passo falso, se ne è registrato piuttosto poco. Meglio tardi che mai.
Anche dopo l’incontro resta però il mistero del perché  nessuno citi e non ricordi, da D’Alì alla Bianchi fino ai relatori, lo sbrego maggiore di quel testo, ossia la cancellazione dalla legge 394 dei “brevi tratti di mare prospicienti” alle regioni. Personalmente non ho memoria di un precedente del genere, ossia di un dibattito su una legge quadro in cui si continui a far finta di niente su un passaggio così decisivo. Anzi ho letto che D’Alì ha  persino affermato: “abbiamo anche disciplinato in modo più moderno e funzionale i parchi terra-mare e le servitù”. E' proprio per questo che mi sarei aspettato almeno dal relatore Sanna - per di più presidente di un’area protetta marina - una minore e silente acquiescenza.
E tuttavia il clima sta cambiando e in qualche misura lo si avverte anche dal resoconto del dibattito in cui forte e diffuso risulta l’allarme per le crescenti difficoltà dei parchi e le aree protette a svolgere quel ruolo complessivo, non settoriale, non marginale che gli compete, il che fa sperare che si riesca finalmente a mettere mano, anzitutto da parte dei parchi, a proposte politico-istituzionali che non sta ad altri scodellare affinché Federparchi le adotti.
Certo, specie per chi ha qualche dimestichezza con questi problemi suona singolare l’appello insistito di alcuni ad uscire da logiche di conservazione e aprirsi al contesto sociale e territoriale o, come ha ribadito l’assessore regionale della Lombardia, a politiche integrate con quelle del paesaggio quasi questo non fosse stato scolpito già dalla legge quadro fino al momento in cui il nuovo codice dei beni culturali lo ha depennato senza che al Senato nessuno abbia mosso un dito. Davvero i nostri parchi a partire da quelli regionali - nonostante Uomini e Parchi e il parco ‘laboratorio’ - sono rimasti prigionieri di quelle logiche da cui oggi dovremmo finalmente liberarci? I piani dei parchi a cosa dovevano puntare se non a questo ‘concerto’ con le molteplici tematiche ambientali del territorio oggi richiamate dall’assessore lombardo che penso dovrebbe conoscere la storia del parco del Ticino Lombardo? Il Presidente Sammuri - dice il resoconto - ha dato una stoccata agli ambientalisti del “sempre no”. Davvero risiede lì la causa – mentre si trivella a destra e a manca e i leghisti continuano qua e là dopo Calderoli a chiedere lo scioglimento di parchi - del mancato rilancio delle nostre aree protette ormai alla canna del gas?
E veniamo alla questione delle alleanze che come si è detto nel dibattito  devono e possono essere positivamente ricercate sulle “nostre” posizioni, posizioni che però dovrebbero discendere da quella piattaforma di Federparchi di cui si sarebbe dovuto discutere a quella conferenza nazionale mai convocata. Le alleanze, in ogni caso, non vanno confuse con la rappresentanza. Chi ha gestito i piani dei parchi sa benissimo che il loro allestimento è l’ occasione  – come il PRG per un comune ma per il parco di più perché il piano del parco è più di un piano regolatore - per confrontarsi e concordare con la comunità e quindi con gli agricoltori come con i pescatori, i gestori del turismo e così via. Certo, molto dipende dalla sensibilità del parco di non tirarsi indietro o chiudersi a riccio. Personalmente  ricordo le riunioni e gli incontri anche vivaci con le associazioni degli agricoltori in tempi in cui non solo non si discuteva di agricoltura sostenibile ma di agricoltura avvelenata che era meglio estirpare.
I portatori di interesse nei confronti di un parco insomma non sono le categorie, bensì i cittadini titolari del diritto a vivere in un ambiente pulito, sano, accogliente, usufruibile ben tenuto, perché possano goderne anche le future generazioni. Questo significa il riferimento  della legge quadro agli art. 9 e 32 della Costituzione. Il che spiega perché negli enti parco siedono le rappresentanze istituzionali, le associazione ambientaliste e della ricerca scientifica: perchè essi non rappresentano categorie ma interessi generali riconducibili ai riferimenti costituzionali. Ecco perché nei parchi non devono esserci rappresentanze che hanno senso in altri contesti; le comunità montane dove ci sono ancora, nei consorzi di bonifica e così via. Chiaro? Ed è proprio per questo che le aree protette devono gestire il territorio sulla base di piani e progetti idonei ad aiutare quella riconversione agricola che finora è mancata (a partire dalla PAC) come stiamo vedendo proprio in questi giorni. Piani e progetti che si avvarranno anche naturalmente del mondo agricolo per essere messi a punto come si dovrà fare per tutti gli altri aspetti determinanti nella politica di un parco; la gestione costiera, il turismo sostenibile, l’educazione ambientale che i parchi – e non solo in Italia- hanno dimostrato di potere e sapere fare grazie proprio alle legge 394.

Renzo Moschini

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