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Aree Protette, cassaforte del clima

Scritto da  . Martedì, 26 Novembre 2013 10:07

via essenze 620Sammuri: Non possiamo permetterci di perdere la biodiversità

Nell'ultimo giorno della COP19 di Varsavia gli organizzatori della conferenza "La Natura dell'Italia" ricordano il ruolo dei parchi nella lotta all'effetto serra.

Vittime nella guerra del clima e allo stesso tempo attori di primo piano nella battaglia contro i cambiamenti climatici. Si tratta del sistema dei parchi italiani: argini all’effetto serra e contemporaneamente tra le aree più sensibili ai rischi causati dal global warming. Lo ricorda, nei giorni conclusivi del Summit mondiale sul clima a Varsavia, il Ministero dell’Ambiente che si prepara ad organizzare l’11 e 12 dicembre prossimi la Conferenza nazionale “La Natura dell’Italia. Biodiversità e aree protette: la green economy per il rilancio del Paese”, in cui si parlerà tra l’altro del ruolo della conservazione e valorizzazione sostenibile delle risorse naturali anche nella guerra al clima che cambia.

Nelle foreste e nel suolo delle aree protette italiane è immagazzinata una quantità di carbonio che – se si trasformasse in CO2 – sarebbe di circa quattro volte superiore alle emissioni che alterano il clima prodotte ogni anno nel nostro Paese: circa 460 milioni di tonnellate di carbonio stoccate nei parchi e nelle riserve contro 433 milioni di tonnellate di CO2 (il carbonio ‘pesa’ 3,6 volte in meno rispetto alla CO2). È quindi una vera e propria funzione di cassaforte del clima quella che viene fornita dalla protezione della natura. In termini economici, il valore complessivo di questo servizio al mantenimento della stabilità climatica è di 1 miliardo e 200 milioni di euro ogni anno: un pezzo non indifferente del risanamento del nostro bilancio, se venisse contabilizzato in termini economici.

Allo stesso tempo, di fronte al clima che cambia, gli ecosistemi boschivi e montani protetti in buona parte nella rete delle aree protette italiane rischiano un cambiamento dagli esiti drammatici: le proiezioni dell’IPCC (il panel di scienziati Onu che studiano l’effetto serra) indicano che tra un quinto e un terzo delle specie vegetali europee sarebbe a rischio di estinzione se la temperatura media globale salisse oltre 2-3°C sopra i livelli pre-industriali (oggi il riscaldamento globale viene valutato in 0,8 gradi di aumento). A rappresentare una minaccia sono anche conseguenze apparentemente favorevoli del riscaldamento: più caldo significa più foreste in alta quota. Nel secolo scorso nell’ambiente alpino c’è stato uno spostamento di 0,5-4 metri per decennio delle specie vegetali verso altitudini maggiori. Entro il 2080 è previsto un avanzamento della linea boschiva nelle zone alpine di centinaia di metri con una conseguente perdita del 62% delle specie vegetali montane cui si aggiunge l’estinzione prevedibile di specie animali anche fortemente simboliche, come il lupo, l’orso e il camoscio.
Inoltre, con il mutare delle condizioni meteo-climatiche, molte specie di piante stanno migrando di centinaia di chilometri rispetto al loro habitat tradizionale, nel nostro paese soprattutto in direzione Nord Ovest, mentre si prevede che le foreste tenderanno a ridursi nel Meridione. La velocità di questo cambiamento, aggravata dalla frammentazione del territorio, determinerà un aumento delle estinzioni delle specie montane.

“Non possiamo permetterci di perdere biodiversità: assieme agli elementi costitutivi della natura e del paesaggio italiani perdiamo servizi fondamentali per il mantenimento degli equilibri climatici, per la stabilità dei versanti montani, per l’approvvigionamento di acqua e per la produzione di aria”, afferma il presidente di Federparchi Giampiero Sammuri. “Non lo possiamo fare soprattutto nella settimana in cui – una volta ancora – si contano i morti per eventi meteorologici estremi, collegabili almeno statisticamente al cambiamento climatico in atto”.
“Inoltre - prosegue Sammusi - non si esce dalla crisi economica e occupazionale se non si pone mano alle cause che stanno scatenando la crisi climatica. In Italia questa realtà è forse più chiara che altrove. Lo dimostrano, al di là dell’inaccettabile tributo di vite umane agli eventi climatici più severi, anche le cifre dei danni da catastrofe rispetto a quelle, molto minori, della prevenzione e della strategia di adattamento al clima che cambia”.
"La Conferenza ‘La Natura dell’Italia’ rappresenta il momento in cui si potrà fare il punto su molte delle politiche ambientali e di protezione del territorio e della biodiversità", conclude Sammuri. “Il nostro Paese ha il più alto indice di biodiversità in Europa: questo è il nostro record, il nostro spread positivo. Nella Conferenza di dicembre si incontreranno mondi diversi che raramente dialogano fra loro: l’obiettivo è che l’intero sistema Paese si accorga del giacimento di opportunità che possono nascere dalla gestione accorta, sostenibile e sobria delle risorse naturali".

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