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Brani di Storia Sportiva 2 - 1993 quando il Giro d'Italia partì dall'Elba (la semitappa con le scalate)

Scritto da  Andrea Galassi Domenica, 21 Aprile 2024 08:33

Nel 1993 la società elbana è divisa dall'istituzione del parco nazionale. Anzi, si potrebbe dire che a tratti è surriscaldata, con una discussione che non poche volte trascende quasi in teppismo. E anche questa volta arriva all'Elba il Giro d'Italia a dare un po' di pace.

Questa volta gli enti locali, con uno sforzo economico superiore a quello di 13 anni prima, hanno fatto il colpaccio. L'Elba ha il privilegio di rappresentare la partenza della corsa rosa. Gli organizzatori propongono una formula adattisima all'isola, ormai non più adottata dai grandi giri a tappe, ma in passato molto diffusa: quella delle due semitappe. Ovvero, anziché un'unica lunga tappa giornaliera, due frazioni corte, da svolgersi una la mattina e l'altra il pomeriggio. La prima sarà un percorso in linea e la seconda a cronometro. Il giorno è il 23 maggio.

La prima semitappa partirà da Porto Azzurro e arriverà a Portoferraio, questa volta in via Manganaro. Il percorso toccherà Mola, San Giovanni, Procchio, Marciana Marina, Marciana, Pomonte, Marina di Campo, scalerà il Monumento (dalla parte opposta rispetto al 1980), scenderà a Lacona, proseguirà per il bivio della Valdana, e punterà all'arrivo. Sono appena 85 chilometri. E anche questa volta molti tirano fuori la tiritera del percorso banale e con arrivo in volata generale. E ancora una volta si ricrederanno.

A quel Giro si presentano i migliori corridori. Soprattutto Miguel Indurain. Il navarro è il dominatore delle corse a tappe: ha già vinto gli ultimi due Tour de France e difende la maglia rosa dello scorso anno. È un campione di una solidità assoluta: scava distacchi abissali nelle cronometro, di cui è uno specialista sopraffino, talvolta andando anche a riprendere avversari partiti minuti prima e stracciandoli. In salita poi è difficile da staccare: non maramaldeggia, come i campioni del passato, anzi, nella tappe di montagna non è raro che lasci vincere i diretti concorrenti, a patto che non lo distanzino troppo.
E poi ci sono i due alfieri del ciclismo italiano, che dividono il tifo nazionalpopolare: Claudio Chiappucci e Gianni Bugno. Claudio è vulcanico, coraggioso al limite della divina follia, un personaggio mediatico come pochi, troppo generoso ed esuberante. Il suo estro è ben rappresentato da un'impresa compiuta l'anno prima al Tour: una fuga a lunghissima gittata nel tappone alpino di Sestriere. Una pazzia, un suicidio tattico, ma quanto spettacolare! E che gli porterà il secondo posto della classica generale finale. Gianni è l'opposto: corridore completo, classe purissima, potenza inaudita; ma un carattere poco cattivo, agonisticamente parlando, che troppo spesso lo frena. Ha vinto tanto, ma in molti sono sicuri che avrebbe potuto vincere tutto. È stato forse l'ultimo campione totale del ciclismo italiano, prima dell'arrivo di Vincenzo Nibali.

Quel Giro rappresenta anche una novità: per la prima volta viene trasmesso da una rete Fininvest. La maggiore televisione privata italiana infatti strappa l'evento alla Rai, scatenando un'ondata di polemiche. Sarà il momento dell'apoteosi di quell'imprenditore milanese tanto giustamente discusso, che poi metterà tutto all'incasso pochi mesi dopo con la scalata al governo del paese. Al di là di tutto però va riconosciuto che Italia 1 farà un ottimo lavoro di programmazione, rappresentando una formidabile cartolina per l'isola.

E arriviamo al 23 maggio. Questa volta è un giorno bellissimo di primavera. L'Elba non potrebbe presentarsi più in ghingheri di così agli occhi d'Europa. Molti tratti di asfalto sono stati rifatti da poco, e addirittura gli ultimi lavori si concludono a pochissimi giorni dal via. Anche questo creerà non poche polemiche.
Il raduno di partenza, nella piazza di Porto Azzurro, è un'occasione per i tifosi di avvicinare i corridori. Gli juventini braccano Chiappucci, noto tifoso bianconero. E le foto con lui, tra sciarpe e gadget della squadra, si sprecano. Bugno sfoggia l'invidiatissima maglia iridata di campione del mondo, vinta per due anni consecutivi: a Stoccarda nel 1991 e a Benidorm nel 1992.

Avvistano anche una leggenda del ciclismo: Gino Bartali. E soprattutto i tifosi più anziani si affollano intorno a lui. Ginettaccio, con un bel sorriso e la sua classica voce arrochita, si concede a tutti, dispensando ricordi personali e commenti sul ciclismo di oggi. Qualcuno gli fa notare che l'Elba era il buen retiro preferito del suo rivale Coppi, a cui hanno anche dedicato una fonte. Gino lo sa: Fausto glielo aveva sempre detto.
Le squadre arrivano quasi tutte in bici dagli hotel, tranne la Banesto di Indurain, che scende dal pullman di squadra. È uno sbizzarrirsi a prendere souvenirs, soprattutto cappellini, con sopra magari un autografo. Io non mi faccio mancare niente: conquisto un cappello della Carrera di Chiappucci e uno della Gatorade di Bugno. Forse li ho ancora da qualche parte.

Pochi si accorgono di un fatto storico. Il campione d'Italia Marco Giovannetti, nella sua maglia tricolore, guida una piccola squadra, la Eldor Viner, fondata a inizio anno. Pochi giorni prima del Giro però lo sponsor lo abbandona, non pagandogli lo stipendio. Giovannetti, in fretta e furia, cerca un nuovo sponsor per non dover abbandonare le corse. Si fa avanti un imprenditore lombardo, proprietario di un'azienda di materiali edili, Giorgio Squinzi. All'ultimo minuto subentra quindi la nuova squadra, la Mapei, tanto che sul foglio di partenza di Porto Azzurro è cancellata a penna la vecchia denominazione e aggiunta la nuova, sempre a penna. La divisa della nuova squadra, anch'essa disegnata all'ultimo minuto, è decisamente accattivante. Nessuno, in quella bella mattinata longonese, immagina che sta assistendo al debutto di una delle squadre ciclistiche più forti della storia, vincitrice praticamente di tutto (tranne il Tour de France), in cui militeranno tra i più grandi campioni degli anni '90; e la cui maglia sarà una delle più iconiche e ricercate dai tifosi, anche anni dopo la chiusura dell'attività agonistica.

Il gruppo parte, e fino a Bivio Boni sfila compatto. Sulla salita del Capannone la corsa si accende: la Carrera di Chiappucci vuole già mettere in difficoltà Indurain. Si muove una fuga, animata da un signor corridore: l'irlandese Stephen Roche, appunto della Carrera. Nel 1987 Stephen aveva realizzato un'impresa da leggenda, riuscita al solo Eddy Merckx: la tripletta Giro-Tour-Campionato del mondo. Nonostante questo, il rapporto con la Carrera s'interruppe, perché al Giro aveva attaccato il capitano designato della squadra Roberto Visentini, strappandogli la maglia rosa, uno dei più clamorosi “fratricidi” della storia del ciclismo: il cosiddetto tradimento di Sappada, dal nome della località d'arrivo dove avviene il fatto. Dopo sei anni passati in squadre minori, raccogliendo poco, nel 1993 la Carrera lo fa rientrare come gregario di Chiappucci. Compito che questa volta svolge al meglio, già nella tappa elbana.

La fuga è interessante, e la Banesto di Indurain deve controllare. I fuggitivi passano da Marciana Marina. Da qui inizia il collegamento televisivo, che regalerà immagini splendide dell'isola. Deviando dalla provinciale, la corsa passa dal lungomare (dove è posto un traguardo volante), risale da via Aldo Moro, dove si reimmette sulla provinciale per affrontare il primo gran premio della montagna di giornata, quello di Marciana.

Sulla salita di Poggio continuano i fuochi d'artificio. All'altezza di villa Balmain, attacca un pezzo da novanta per la classifica generale: Franco Chioccioli. L'aretino è detto Coppino, soprannome che a lui non piace, per l'incredibile somiglianza con Fausto Coppi. Ha vinto il Giro del 1991, uno dei più spettacolari. È molto temuto da Indurain per i suoi devastanti attacchi e il coraggio di tentare azioni da lontano.
Alle sue costole la Carrera gli mette un corridore. È un neoprofessionista di Cesenatico, molto promettente. Nonostante i suoi 23 anni ha già un'estesa calvizie.
Pochi mesi prima ha firmato il contratto con la forte squadra italiana: il general manager Davide Boifava gli dice “Hai fatto un buon affare a venire a correre con noi”; e lui risponde “No, voi avete fatto un buon affare a prendermi”. E se state pensando che sia lui, avete indovinato. È Marco Pantani. Quel giorno lo conoscono in pochissimi, e nella 18° tappa si ritirerà senza risultati di rilievo. Ma sullo strappetto di Poggio farà le prove generali per la fortuna di chi lo vedrà sbocciare appena l'anno dopo, sempre al Giro. Come il sottoscritto che lo vedrà vincere a Merano, e all'attacco sul Mortirolo, il giorno dopo.

Intanto l'attacco di Chioccioli sprona la Banesto a chiudere sulla fuga. Avverrà proprio allo scollinamento di Marciana, lasciando però lo spazio a Francesco Casagrande, tra i corridori in fuga, di vincere il gpm. Casagrande che poi, anni dopo, sarà un assiduo partecipante della Legend cup di mountain bike, a Capoliveri.
Nella discesa verso Patresi parte un'altra fuga. La promuove Bruno Leali, uno dei pochissimi presenti anche nella tappa del 1980. Lo seguono Cassani (futuro ct della nazionale italiana), Colagè, il polacco Jaskula, Ghirotto, l'ucraino Pulnikov (anch'egli della Carrera, che ormai ha messo a fuoco la corsa), Saligari e Argentin. Grazie al percorso vallonato prendono subito un bel vantaggio e mandano in pezzi il gruppo. Marco Saligari, oggi apprezzato commentatore della Rai, vince il traguardo con abbuoni di Marina di Campo, in viale degli Etruschi.

Il gruppetto affronta quindi la seconda salita di giornata, il Monumento. Colagè si stacca, e verrà ripreso dal gruppo. Ma il protagonista è Moreno Argentin. Stacca i suoi compagni di fuga, e transita da solo sulla cima. Io mi trovavo a 200 metri dallo scollo, e penso di non aver mai visto tanta gente al bordo di una strada elbana, se non in pochi punti nevralgici di alcune prove speciali dei rallye del passato. Ricordo che prima e dopo il passaggio dei corridori, seguivamo trepidanti le fasi della corsa trasmesse dalla tv, affollati davanti a uno di quei minitelevisori da 8 pollici al massimo, attaccati alla presa di un'auto, aguzzando la vista per la scarsa qualità dell'immagine e manovrando l'antenna per trovare il segnale migliore. Roba da preistoria tecnologica, confrontati a uno smartphone o tablet di oggi.

Nel precedente articolo dicevo che le strade dell'Elba sono in piccolo una classica delle Ardenne. E chi meglio di un plurivincitore di queste classiche può interpretarlo meglio? Vincitore di ben 4 Liegi-Bastogne-Liegi e 3 Freccia Vallone (nonché un Giro delle Fiandre e un Lombardia), il trentatrenne Argentin è ormai considerato un corridore che ha fatto il suo tempo. L'anno prima era arrivato a un pelo dall'unica perla che gli manca, la Milano Sanremo. Era riuscito a staccare tutti sul Poggio, e sembrava fatta. Ma in discesa gli era piombato addosso come un razzo Sean Kelly, che lo aveva infilzato sul traguardo. Quasi uno shock. Tutti temono che dal Monumento a Portoferraio qualcuno gli faccia lo stesso scherzo.

E invece no. Arriverà in via Manganaro da solo, conquistando la sua undicesima vittoria di tappa, ma, soprattutto, per la prima volta la maglia rosa. E la porterà per ben dieci giorni. I suoi ex compagni di fuga riescono a tagliare il traguardo, dopo 34 secondi, con il gruppo che li ha ormai ripresi. Consentendo a Saligari di prendersi almeno il secondo posto. Un altro gruppo arriverà ancora più staccato, e ancora più staccati arriveranno una dozzina di corridori, tutti fuori tempo massimo, quindi esclusi dalla corsa. La media della corsa è di ben 41,5 km/h.

Niente male per una tappetta di appena 85 chilometri. È stata una battaglia, i distacchi già si contano, gli spettatori si sono goduti uno spettacolo pirotecnico. Alla faccia di chi diceva che era una tappa banale. Non c'è niente da fare: quando il Giro viene all'Elba, nessuno se ne pente.
E la giornata non è ancora finita.

Andrea Galassi

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Ultima modifica il Domenica, 21 Aprile 2024 09:03