Il varco sommerso
La fortezza di Santa Fine per un certo verso è quasi come la spiaggia delle Ghiaie: non finisce mai di sorprendere per tutti i segreti che porta con sé e che al momento opportuno si presentano a chi osserva, non per essere scoperti ma per confermare che questi esistono. L’estate scorsa, in una giornata di mare calmo, alcuni appassionati decisero di riprovare ciò che per anni era rimasto solo voce tra i più audaci: raggiungere il nero laghetto di pochi metri di larghezza , esteso sotto la fortezza di Santa Fine. Tra questi vi era Carlo Gasparri, campione mondiale di pesca subacquea, noto per la capacità di interpretare il mare come altri leggono le stelle. Scopo dell’impresa: attraversare un condotto subacqueo che collega direttamente il mare aperto a una larga cavità interna alle rocce, una sorta di piccolo stagno scuro. Sul gommone, mentre altri spiegavano per esperienza passata, il percorso di sicurezza, Carlo ascoltava con un sorriso discreto: lui non conosceva il passaggio, ascoltò con calma dopodiché non si volle tuffare all’ingresso del tunnel, ma a una ventina di metri di distanza. Quando gli fu chiesto il perché, scese in acqua senza parlare, poi alzò la maschera e rispose con un commento asciutto: «Tra i vostri consigli questo non c’era!». Vestito di muta, bombole, telecamera e piccozza e torcia, mostrava che ogni dettaglio contava; dopo di che salutò con un braccio e lentamente scomparve alla vista verso il fondo del mare.
Il sussurro del mare
L’immersione doveva durare circa 30 minuti; invece fu interrotta da un gesto inaspettato. A metà percorso tra il gommone e la roccia della fortezza Carlo riemerse, sollevò la maschera e disse: «C’è qualcosa… che non mi convince». «Cosa senti?», chiesero. «Rumore… vibrazioni». In apparenza nulla cambiava, ma chi ha confidenza con l’acqua sa che i pericoli parlano sempre sottovoce. Qualcuno rise: «Si sarà fatto suggestionare dal laghetto». Ma lui restò in attesa, prima di scomparire nuovamente nella trasparenza. Poco dopo, l’illusione del mare fermo svanì in un rigonfiamento lento e profondo: un “mare lungo” che innalzava e abbassava la superficie con scioltezza inquietante. In meno di un minuto tutto tornò calmo, come se nulla fosse accaduto, ma per chi stava cercando un passaggio angusto era un segnale inequivocabile.
L’irruzione dell’onda
Bastò poco tempo perché quella calma apparente si mutasse in furia. A non più di cento metri, avanzava una serie di cavalloni scuri, carichi di schiuma e impeto, capace di sollevare il gommone come fosse un giocattolo. Il legno rimbalzava sulle onde, gli zaini volavano, la risacca vomitava un vortice di schiuma e detriti contro gli scogli. Dove fosse Carlo, allora, nessuno lo sapeva: dentro la galleria o ancora in acqua? Appena l’onda principale si ritirò, una mano si aggrappò alla corda: era Carlo, che tornava sul gommone con la calma di chi aveva già previsto tutto. Passò l’attrezzatura e si tolse la maschera. Il mistero era svelato: non si trattava di una mareggiata improvvisa, ma dell’effetto delle tre onde generate dal passaggio della “nave gialla”, il traghetto Piombino–Portoferraio.
Tre onde e un avvertimento
La dinamica è nota agli esperti: la prima è la breve serie delle “onde veloci” che viaggiano molto più rapidamente delle altre; sono basse e larghissime anche centinaia di metri e si avvertono per chi è in acqua solo come una sorta di leggero sfregamento; dopo del tempo (dipende dalla distanza) si presenta la serie delle onde di prua che se arrivano nella stessa direzione del mezzo che le produce portano con sé gran parte della potenza iniziale; la terza è la serie delle onde di poppa che (se non bastasse), aggiunge il resto. Carlo raccontò di aver sperimentato nei pressi dell’ imboccatura del varco una sorta di “stantuffo idraulico”: l’acqua compressa nel passaggio angusto della galleria entrava e usciva con violenza, come un pistone naturale. Solo aggrappandosi a un tenace appiglio era riuscito a evitare di essere trascinato all’ interno in avanti e indietro dal riflusso, in un canale roccioso buio e privo di punti di riferimento.
Il valore dell’intuizione
Con il senno di poi, tutto appare evidente: bastava conoscere i segnali del mare. Ma quella volta, in un attimo, Carlo comprese la differenza tra una scelta rischiosa e una scelta lungimirante. L’acqua torbida dopo quella tempesta ridusse la visibilità a pochi decimetri, rendendo folle ogni tentativo di proseguire. Ciò che sembrò un’avventura si rivelò un monito: il mare non si sfida con presunzione. Quando si torna a riva con la propria vita, ogni altro risultato perde d’importanza. In Aeronautica militare riferendosi ai voli acrobatici, si incontra nei circoli di ritrovo un bellissimo quadro dalla cornice dorata. L’immagine raffigura un campo verde che si estende fra il mare e il cielo, entrambi tinti di un azzurro sfumato e immobile. Al centro una sinuosa forma simbolicamente dorata come una traiettoria di volo che ha per soggetto queste semplici parole: “Quando ti senti sicuro smetti di volare”. Questo è un principio rivolto alla saggezza di chiunque, ognuno nel su genere, che Carlo da campione del mondo, autonomamente conosce anche quando tutto sembra essere ciò che si crede certo.
Alberto Zei