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Portoferraio 1727. Condanna alla pena di esilio a beneplacito

Scritto da  Marcello Camici Giovedì, 23 Ottobre 2025 10:51

Nel 1727 Credente Landini e Carlo Cambincoli, entrambi ferraiesi “servi e sudditi di Sua Altezza Reale”, sono condannati in contumacia dal governatore di Portoferraio alla pena dell’esilio da tutti gli stati del granducato. L’esilio è a beneplacito. Non osservando il provvedimento, è la pena del remo sulla Galera e la tortura di tre tiri di corda in pubblico.

 

Hanno aiutato a fuggire alcuni soldati disertori della piazza di Longone trasportandoli su un battello.
Supplicano il granduca di condonare le pene o permutarle in breve confino a Pisa e Livorno.

 

Carlo Rinuccini chiede al governatore di Portoferraio di informare sulla vicenda.

Qui di seguito è integralmente trascritta la carta di archivio da cui si apprende la vicenda dell’esilio a beneplacito comminato a Credente Landini e Carlo Cambincoli:

“Altezza Reale
Credente Landini e Carlo Cambincoli di Portoferraio Servi e Sudditi di Vostra Altezza Reale essendo stati condannati in contumacia dal governatore di Portoferraio per sentenza de 9 giugno 1725 in pena di esilio a beneplacito da tutti gli stati di Vostra Altezza Reale pena la Galera non osservando et in tiri tre di corda in pubblico per causa di aver imbarcati in un battelletto alcuni soldati fiorentini disertori senza patente di sanità ma a buona fede.
Supplicano Vostra Altezza Reale degnarsi condonargli le dette pene o permutargliene in breve confino a Pisa e Livorno. Che della grazia. Quam Deus

Il Governatore di Portoferraio informi
Calo Rinuccini li 9 agosto 1727”

(FILZA “ Suppliche 1600-1730”C5. Carta senza numero di pagina. Carteggio del governatore .Archivio preunitario del comune di Portoferraio.Archivio del governo di Portoferraio 1553-1799. Archivio storico comune di Portoferraio) - Foto di copertina

 

Luigi de Bardi, governatore militare e civile pro tempore di Portoferraio, informa che i supplicanti, su una loro barchetta senza patente di sanità, hanno trasportato a Piombino quattro soldati disertori della Piazza di Longone. Condannati per questo al pagamento di venti scudi e alla tortura di tratti due di tiri di fune in pubblico. Inoltre per gli accordi sui disertori vigenti tra il governo di Portoferraio e quello di Longone sono stati condannati all’esilio, a beneplacito del granduca, con comminazione di cinque anni al remo della galera in caso di inosservanza.
Il governatore aggiunge che atteso il patimento della contumacia i supplicanti sono meritevoli della grazia ma questo dipenderà soltanto dalle infallibili risoluzioni di Sua Altezza Reale alle quali si rimette baciando le mani del sovrano e inchinandosi reverendissimamente.

 

Qui di seguito è integralmente trascritta la carta di archivio con cui il governatore informa:

“Altezza Reale
Gli Oratori soprascritti restorno querelati ed inquisiti da questo ( ) perché la mattina de 9 giugno 1726 prossimo passato ad istanza di Giuseppe Biscotti, allora soldato di questo Presidio, () d’essere con loro barchetta col suddetto Biscotti da questa spiaggia a quella di Piombino, quattro soldati disertori della Piazza di Longone che uno suddito di Vostra Altezza Reale e gli altri di nazione non venuta a cognizione della Corte, senza le necessarie bollette e patenti di sanità, per lo che per sentenza di questo tribunale suddetto de’ 17 agosto 1726 restorno condannati in contumacia con precedente partecipazione e resoluzione di Vostra Altezza Reale in venti e tratti due di fune per ciascheduno.
In oltre attesi i bandi veglianti in questo Governo per la reciproca corrispondenza con la Piazza suddetta di Longone contro i prestanti aiuto a servitori della ( ), rimasero condannati per gli stessi medesimi bandi all’esilio arbitrariamente da tutti i felicissimi stati dell’ Altezza Reale Vostra e beneplacito della medesima con comminazione di anni cinque di Galera in caso di inosservanza e con riserva di giorni quindici a comparire e giustificarsi.
Presentemente supplicano la somma clemenza di Vostra Altezza Reale a loro grazio di dette pene o quele permutargli in confino di che atteso l’incommodo della sofferta contumacia gli concluderà meritevoli concedere la grazia dell’Altezza Reale Vostra ma insieme questo dipende unicamente dalle Sovrane infallibili resoluzioni di Vostra Altezza Reale così io in intenzione delle medesime le bacio le estremità della Real Mano e le fo reverendissimo e profondissimo inchino
Di Vostra Altezza Reale
Portoferraio 17 agosto 1727
Umilissimo Obbligatissimo Servitore
Luigi de Bardi”

(FILZA. Idem come sopra)

 

Dopo tale informativa inviata dal governatore la risoluzione del Granduca è la permuta dell’esilio a beneplacito con il confino a Pisa o Livorno, pena la reincidenza dell’esilio a beneplacito non osservando la sua risoluzione. Sua Altezza Reale decide inoltre la grazia per quanto riguarda la tortura ai tratti di fune e di tre quarti della pena pecuniaria.

 

Qui integralmente trascritta è la risoluzione del granduca alla supplica:

“Permutasi la detta pena d’esilio in tanto confino a Pisa o Livorno e loro capitanati, pena la reincidenza non osservando, abbiano grazia della fune e di tre quarti della pena pecuniaria e compongasi il non graziato in tre anni.
Il Gran Duca di Toscana

Carlo Rinuccini 23 agosto 1727”

(FILZA. Idem come sopra)

 

benepalcido 2

 

Il confino è richiesto dai supplicanti come pena in permuta all’esilio in quanto meno pesante dell’esilio.
L’esilio comporta la perdita della cittadinanza e dei beni con la confisca, il confino non ha questi effetti permanenti. Il confinato, al termine della pena, può tornare al suo luogo di origine, se la pena non è a vita. 
Nel settecento, confino ed esilio, sono due modalità di pena che consistono nell’allontanamento coatto dal luogo abituale di residenza.
Nel granducato di Toscana sono questi i metodi di allontanamento forzato, esilio e confino, con cui possono essere condannati i sudditi.
Nel confino l’allontanamento forzato o coatto avviene dentro in confini nazionali mentre con l’esilio avviene fuori i confini nazionali.
Con l’esilio comminato a “beneplacito” si vuole significare che l’allontanamento forzato avviene secondo la volontà o a discrezione di un'autorità superiore, senza che ci siano necessariamente cause legali o specifiche per tale decisione, ma piuttosto per l'approvazione o la decisione di chi ha il potere di disporre di un cittadino che è suddito. “A beneplacito” è locuzione che significa "a piacere", "a proprio arbitrio", o "con il consenso".
L'espressione “esilio a beneplacito” descrive dunque una forma di esilio che non è una punizione specifica: è piuttosto l'allontanamento forzato di una persona per volontà arbitraria o approvazione di un'autorità che ha il potere di decidere. L’autorità può essere quella del granduca o del tribunale o del governatore.
Nel caso specifico è quella del granduca.

 

Pochi anni dopo, nel 1789, con la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della rivoluzione francese scompare questa modalità di pena tramite la quale l’autorità poteva disporre a beneplacito della libertà individuale di ogni singola persona.

 

Marcello Camici

 

Foto di copertina - Portoferraio 1727. Credente Landini e Carlo Cambincoli supplicano l’Altezza Reale di condonare o permutare l’esilio a beneplacito in breve confino a Pisa o Livorno.

Foto 2 - Portoferraio 1727. Informativa del governatore di Portoferraio Luigi de Bardi con la risoluzione del granduca di Toscana.

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Ultima modifica il Giovedì, 23 Ottobre 2025 11:07