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Mecenatismo Marinese

Scritto da  Gian Piero Berti Lunedì, 25 Gennaio 2016 15:34

 Gian Piero Berti: "Il Sindaco Ciumei è un incompetente, si dimetta" 

E QUELL'INGENUO DI TREMONTI DICEVA
CHE CON LA CULTURA NON SI MANGIA
In data 5 ottobre 2015 una lettera del Ministero per i beni culturali ha chiuso la contesa sulla grotta che si trova a Marciana, sotto la residenza degli Appiani: nella lettera il Direttore Generale per l'Archeologia si rimette alle valutazioni del Soprintendente per i beni archeologici di Firenze, secondo il quale non esistono elementi per parlare di una tomba etrusca.
Com'è ovvio, non si può escludere che in futuro emergano nuovi dati. Ma oggi e nel futuro prossimo questa è la situazione, nonostante che il prof. Zecchini abbia sentenziato diversamente.
Sull'argomento avevo scritto un "pezzo", di cui Elbareport ha pubblicato la prima parte nei giorni precedenti il Natale. Aggiungo ora la conclusione.
Per comodità del lettore, riassumo i temi già esposti.

 

1. IL TOPONIMO "MARCIANA"
Nel libro di Zecchini è riportato un "contributo" dell'architetto Centauro.
Centauro sostiene che ─ "onestamente" ─ il nome stesso di Marciana non può essere altro che etrusco. Lui non ha bisogno né di scavi archeologici né di testimonianze degli storici antichi: il semplice nome del paese gli è bastato per risalire al nome del fondatore eponimo: un "regale personaggio", che si chiamava larth Marcinna o qualcosa di simile.
E sempre partendo dal solo nome del paese, Centauro ha scoperto che Marciana fu una "metropoli", cioè una città che inviava colonie perfino in Campania, a Vietri sul mare.
In Internet si legge che ─ nel 1500 dopo Cristo ─ Vietri si chiamava Marcina.
Però ─ "onestamente" (come direbbe Centauro) ─ non si conosce né il nome usato prima del 1500, né il nome col quale la chiamavano gli Etruschi, né il luogo esatto dove sorgeva la città antica, della quale non sono state ancora trovate le rovine. Si ritiene che quella anonima colonia etrusca si trovasse nei pressi della foce del fiume Bonea, perché è l'unico approdo sicuro in un ampio tratto della costa campana meridionale.
Tuttavia per l'estro creativo del Centauro queste sono bagattelle: il nome Marcina è sufficiente per concludere che quella città era uno scalo marittimo fondato da coloni provenienti dalla metropoli elbana di Marciana.
Marcina − Marciana: due parole che si rassomigliano. Da questa somiglianza ─ che potrebbe essere un semplice caso ─ l'immaginifico Architetto riesce a ricavare un numero impressionante di informazioni.

 

Ciumei l'eco indefettibile
Sulla base delle inossidabili "certezze" dell'Architetto Centauro, Ciumei ─ che ha assunto il ruolo di eco indefettibile dei Grandi Scienziati ─ ha deliberato un gemellaggio col Comune di Vietri sul mare, per celebrare la gioia della comune origine etrusca e marcianese.
La delibera del Ciumei riporta anche alcune notizie insospettate: "il primo giudice regio del Comune di Vietri dei primi dell’800 si chiamava Francescantonio Claris Appiano".
Dunque un Appiano anche a Vietri sul mare.
Seppure mandato da fuori.
La coincidenza al Ciumei appare fondamentale e decisiva, perché fino al 1628 i signori di Piombino e dell'Elba appartenevano alla famiglia pisana degli Appiani.
Purtroppo Ciumei nella delibera non spiega quale fosse il nesso tra gli Etruschi e il giudice vissuto duemila anni dopo. Né chiarisce se gli Appiani di Pisa e quelli di Napoli erano parenti.
Però aggiunge una frase che è un capolavoro di esattezza scientifica:
«dal Medioevo, Vietri è stata sede di fonderie di rame e di ferro (la cui provenienza poteva essere l’Isola d’Elba)».
Si noti quel «poteva», che giunge come un sole che illumina il mondo, perché riesce a dare la percezione scrupolosa e ineccepibile di quanto fossero affini ─ quasi gemelle monozigote ─ le fonderie medievali di rame e ferro di Vietri con Marciana Marina.
Nel redigere la delibera del gemellaggio, Ciumei si è chiaramente ispirato a un principio che ai suoi occhi appare come la quintessenza delle pandette degli antichi giureconsulti: quello che non ammazza, ingrassa. E ─ per dirla papale papale ─ ha raccattato e inventato e affastellato alla bell'e meglio alcuni concetti eterogenei e disparati: e li ha infilati tutti nella delibera, saltabeccando dagli Etruschi di Marcina alla fantomatica "via del ferro", dalle fonderie medievali di Vietri a un ignoto giudice mandato da Murat o dai Borboni un paio di secoli fa.
E tutto ciò viene esposto senza un nesso logico, come si fa con i vecchi mobili un po' tarlati, che si ammucchiano a caso in soffitta.
Più che una delibera, sembra un "flusso di coscienza" dell'Ulisse di Joyce.
Veramente il sindaco Ciumei è la prova vivente che l'Italia è la patria del diritto (o del rovescio?).

 

la cessione di Piombino
A proposito degli Appiani, vorrei segnalare ai cultori di storia locale questa ineffabile affermazione di Centauro (pagina 276): "…la famiglia Appiano, dopo la cessione di Piombino nel 1399…"
Se la lingua italiana ha un senso, Centauro ci vorrebbe raccontare che nel 1399 gli Appiani cedettero Piombino a qualcuno. Purtroppo non dice a chi la cedettero.
In verità "la cessione di Piombino" è destituita di qualsiasi fondamento: è un'invenzione estemporanea dell'Architetto Professor Dottor Giuseppe Alberto Centauro.
Basta una ricerchina su Internet per scoprire che il 19 febbraio 1399 ci fu un accordo fra Gherardo Appiano, signore di Pisa, e i Visconti di Milano.
Gherardo Appiano cedeva ai Milanesi non Piombino ma Pisa, in cambio di 200.000 fiorini. Invece conservava per sé e per i suoi successori la signoria di Piombino e dell'arcipelago.
Assumendo le vesti dello storico, l'Architetto Centauro discetta di vicende che ignora.
A sorpresa, si è inserito nel dibattito un popolarissimo personaggio televisivo. Per niente intimorito dall'idea di misurarsi con l'inattingibile livello culturale della delibera di Ciumei e della dissertazione di Centauro (rispettivamente Vicepresidente e Presidente della Società Ilva, che si autodefinisce Società Culturale), è intervenuto su Elbareport anche il centralinista del commissariato di Vigata, inventato da Andrea Camilleri.
Catarella ha scritto di ritenere che i coloni elbani di Vietri sul mare appartenessero all'etnia degli "Etrucchi Marcinchi".
Un'ipotesi che, inspiegabilmente, ha mandato su tutte le furie il Luminare Zecchini, il quale ha replicato piccatissimo, osservando ─ con acume ─ che il dialetto siciliano usato da Catarella è alquanto maccheronico.
La reazione stizzita dello Scienziato lascia intuire che egli cominci a sospettare che qualcuno voglia prenderlo in giro.

 

Archimede
Con la stessa disinvoltura con cui il mago Otelma scruta nel mondo dell'occulto, Centauro è risalito agilmente dal nome rinascimentale di Marcina al nome etrusco di Marciana nell'Elba.
Centauro non ha dubbi: Marciana Marcena Marcina Marcinna Marcinius: è sempre la stessa zuppa.
Una piccola annotazione: quei nostri antichi bisnonni non dimostrarono molta inventiva nella scelta dei nomi. E questa è stata una fortuna per il Centauro interprete di etimologie e di eponimie ─ fra cui la più strepitosa è l'eponima Fuliggine ─ che i francesi definirebbero un po' osées.
Del resto, anche Zecchini è stato protagonista di un prodigio simile: scoprì "scientificamente" il nome etrusco della scogliera del Cotone, seguendo una procedura rigorosamente sperimentale, che a noi gente ordinaria non passerebbe manco per la testa (o "capone", come il Chiarissimo Luminare preferisce dire).
Quando il prof. Zecchini annunciò al mondo della Cultura di aver trovato il toponimo etrusco "Catone" in una carta geografica francese d'epoca napoleonica, mi è tornato sùbito in mente, per associazione di idee, il grido "eureka" di Archimede.
Non vorrei che si offendesse: sto parlando di Archimede di Siracusa. Non di Archimede Pitagorico di Paperopoli.

 

la scoperta dell'America
Mettendo da parte gli scherzi, occorre dire che questo metodo della somiglianza di suoni fra nomi non ha nessun valore scientifico: è assolutamente privo di senso.
Ecco un esempio. Dante parla di Bellincion Berti, il cui cognome è oggi presente nell'Elba occidentale, ma anche in Versilia e in altre zone della Toscana. Si deve sicuramente escludere che tutti i Berti siano discendenti o parenti di Bellincione: è probabile che discendano da molte persone diverse, di nome Berto, e che Berti sia un genitivo che indica il patronimico: figlio di Berto.
Esistono numerosissimi cognomi simili: Bertini, Bertani, Bertarelli, Bertelli, Berto, Bertoni, Bertone, Bertocci, Bertucci, Bertuccini, Bertinelli…
All'origine di questi cognomi c'è il nome Berto, che è tratto da una radice germanica, presente anche in altre lingue europee. Dalla stessa radice derivano i nomi propri Alberto, Roberto, Umberto, Lamberto, Bertrando…, da cui si formano molti altri cognomi.
È evidente che tutti questi cognomi contengono una radice comune. Ma sarebbe assurdo pretendere che la radice comune corrisponda a legami tra famiglie e etnie.
Le affinità di suoni sono del tutto casuali. Non si può scrivere la storia su fondamenta così aleatorie.
Facciamo un altro esempio: il defunto monsignore statunitense che fu a capo dello IOR, si chiamava Paul Marcinkus. Quel cognome presenta indubbie affinità di suoni con Marcinius, Marcinna, Marcna e altri nomi simili riportati nel testo di Centauro.
Con un po' di fantasia, si possono inventare le vicende storiche più strampalate.
La butto lì: usando il metodo di Centauro, possiamo immaginare che il monsignore americano discendeva da una colonia di noi Etruschi Marcinki, giunta in America con venti secoli di anticipo rispetto alle caravelle di Cristoforo Colombo.
Di tempo in tempo si legge sui giornali che Colombo fu preceduto in America dai Vichinghi. Ma prima dei Vichinghi, giunsero in America i Marcinki, salpati da Capo Bianco (pardon: Porto Argo). I Marcinki viaggiavano con la nave Argo, in joint venture con la premiata Compagnia di navigazione "Giasone e &", gestita da un pronipote dell'eroe.
Però se io affermassi che queste stramberie sono vere, qualcuno chiamerebbe il 118.
In conclusione Marciana e Marcina sono nomi che si rassomigliano. Ma la somiglianza non autorizza a parlare di colonie elbane provenienti dalla metropoli Marciana. Occorrerebbero concreti dati di fatto: epigrafi, testimonianze attendibili degli storici…
Centauro si limita a usare in modo molto opinabile alcune etimologie: ma non presenta nemmeno una prova vera.

 

fornisca le prove

Alla tesi di Centauro ho contrapposto due obiezioni.
Sull'etimologia di "Marciana" l'architetto Silvestre Ferruzzi ha formulato una sua ipotesi: poiché nell'isola esistono sette toponimi simili a "Marciana", è probabile che quei nomi si riferiscano a una attività produttiva: la macerazione della canapa e del lino, per ottenere fibre da tessere.
La seconda obiezione è che ─ dal Portogallo fino alla penisola balcanica ─ sono addirittura molte migliaia i nomi di località che sono formati allo stesso modo di Marciana, cioè con i suffissi latini −(i)ana, −(i)anus, −(i)anum, variamente trasferiti nelle lingue nazionali.
Queste due obiezioni non sono incompatibili fra loro, nel senso che il nome "Marciana" appare un nome latino e che, se non è un toponimo prediale, può riferirsi proprio alla macerazione delle piante tessili.
Nessuno nega a Centauro o a chicchessia il diritto di immaginare che ─ tra tutti i numerosissimi toponimi latini composti con quel suffisso ─ la parola "Marciana" costituisca un'eccezione e non sia latina. Però Zecchini dice che chi fa un'affermazione, ha il dovere di dimostrarla.
Perché ─ è ancora Zecchini che parla ─ "immaginare" non basta. E lo Scienziato si rivolge al suo interlocutore, intimando in modo perentorio: "fornisca le prove".
Egli dà anche un prezioso consiglio di deontologia archeologica per i casi di "congetture" prive di concretezza: in attesa delle "certezze", si deve "tacere".
Un consiglio molto saggio. Tra Socrate e Wittgenstein.
In quell'imperativo etico del tacere è riconosciuta ─ universalmente ─ la cifra della ricerca dell'Archeologo con la A maiuscola (ormai con questo appellativo, che è tratto dalla prefazione del suo stesso libro, lo chiamano tutti i Critici).

 

un dubbio
Tuttavia, mentre sto ricopiando i comandamenti del Mosè dell'Archeologia per applicarli all'Architetto Centauro, mi sorge un dubbio.
Forse quelle regole "metodologiche" non valgono per tutti.
Sono state confezionate su misura per Aithale, cioè per i "nemici" che hanno osato invadere pascoli di cui Zecchini è morbosamente geloso perché li considera suoi.
Ma non sarebbero norme cogenti né per Zecchini, né per Centauro, né per i fratelli, per i quali è ormai un diritto acquisito condire i manicaretti dell'archeologia con abbondante garum: una salsetta saporita e scoppiettante, a base di interviste autocelebrative e fantasticherie di cavalli galoppanti all'interno delle fogne di Lucca.

 

il prediale Marcinius
Infine ricorderò, en passant, che nella sua esposizione l'Architetto Professor Centauro parla anche di un "prediale Marcinius": una locuzione misteriosa che è immaginazione allo stato puro.
Ma fermiamoci qui. Infierire su questo spassoso svarione del Chiarissimo Professore sarebbe una inutile crudeltà.
Meglio stendere un velo pietoso.

 

2. IL TOPONIMO "VIA DELLA TOMBA"
Per Zecchini, l'esistenza a Marciana di una via, che si chiamava "via della Tomba", è un dato "scientifico" nodale, che dimostra ─ al di là di ogni ragionevole dubbio ─ che la grotta denominata "zecca degli Appiani" non fu mai una zecca, ma è una tomba etrusca: anzi una delle più belle tombe dell'antica Etruria (sic).
Purtroppo per Zecchini e Centauro, l'unico ingresso della grotta non si trova in via della Tomba, ma in una strada diversa, che non si è mai chiamata via della Tomba: oggi si chiama via del Giardino e prima si chiamava via del Cantone.
Nonostante le acrobazie funamboliche dei due volenterosi Scienziati, fra la via della Tomba e la grotta di via del Cantone non si ravvisano collegamenti né spaziali, né logici: si tratta di due entità che restano estranee l'una all'altra.
Zecchini ironizza spesso e volentieri sulla zecca dove non sono state mai trovate monete.
Non arriva a capire che ─ sostituendo la parola zecca con la parola tomba ─ la stessa argomentazione si applica anche alla "tomba etrusca", dove non sono stati mai trovati né frammenti di sarcofagi, né frammenti di corredi funebri, né frammenti di iscrizioni, ma soltanto "interessanti incisioni secondo il costume etrusco " (sic!), rimaste tuttavia indecifrabili perché "compromesse dall'umidità" e non tempestivamente restaurate (come qualcuno aveva avuto la bella faccia tosta di proporre).
Le "interessanti incisioni secondo il costume etrusco" ─ come le ha definite Zecchini ─ erano i segni lasciati dagli scalpelli degli operai che scavarono la grotta.
Ma si sa: anche il Massimo Etruscologo Italiano Vivente può distrarsi e scambiare la roccia scheggiata dagli scalpellini con un'opera d'arte "secondo il costume etrusco".
Sono dichiarazioni preziose, che rivelano il livello estremo di acribia con cui l'Etruscologo Massimo domina la materia. Nel mondo intero, nessuno riesce a contemplare al pari di lui l'idea stessa della tipologia dell'arte etrusca.

 

3. L'ANALISI TIPOLOGICA
E per dimostrare che la grotta è una tomba etrusca, Zecchini ricorre proprio all'analisi tipologica.
Ho avuto gioco facile nell'osservare che l'analisi tipologica (in parole povere, le classificazioni degli oggetti sulla base della somiglianza) ha prodotto errori clamorosi.
Basta ricordare le teste di Modigliani, i graffiti etruschi di Pino Fabbri, il pesciolino a cui accenna Catarella (e che io ignoravo), il cunicolo segreto della cavalleria di Castruccio Castracani…
Qualche settimana fa, nella notte di Natale, ero a Roma, nella basilica di San Pietro, alla messa di papa Francesco. Stavo a circa quindici metri dalla statua bronzea di San Pietro: una statua nota a molti perché il piede destro è stato levigato dalle mani di milioni di fedeli che l'hanno toccato nel corso dei secoli. Guardando la statua, mi tornava in mente che talora l'analisi tipologica brancola nel buio perfino intorno a opere molto importanti per il loro significato simbolico, come, appunto, la statua del primo papa o quella della lupa capitolina: proprio l'analisi tipologica è all'origine di eclatanti e insanabili disparità di opinioni, con datazioni che divergono addirittura di quindici secoli. E ciò significa che ─ in questi casi estremi ─ l'analisi tipologica ha lo stesso valore "scientifico" del lancio della monetina nel gioco chiamato "testa o croce".
Ovviamente Zecchini dirà che lui è arcisicuro di non sbagliare, perché quella è veramente una tomba etrusca con "interessanti graffiti". Ma, come lui, erano sicuri di non sbagliare gli illustri storici dell'arte che ritenevano autentiche le teste false attribuite a Modigliani. E lo stesso Zecchini pensava ─ e anche scriveva! ─ che erano autentici i graffiti etruschi di Pino Fabbri e la carta geografica etrusca e il ghiozzo cenobitico menzionato da Catarella (su cui cercherò di approfondire).
In conclusione, ha ragione Zecchini quando afferma che occorre "fornire le prove".
Una regola che deve valere per tutti. Anche per il Centauro Presidente della Società Culturale "Ilva insula", di cui è Vicepresidente il Ciumei.
Questi erano i temi della prima parte dell'articolo. Possiamo ora sviluppare gli ultimi due argomenti.

 

4. L'EMPORIO DI MARCIANA MARINA
Nell'antichità i Fenici, i Greci e i Romani crearono importanti empori: luoghi in cui i mercanti provenienti da paesi diversi avevano l'opportunità di incontrarsi, scambiare le loro merci e concludere buoni affari.
Anche Roma fu un emporio. In tutti i libri sulle origini di Roma si racconta che nei pressi dell'isola Tiberina convergevano e si incrociavano diverse vie di comunicazione. La principale di queste vie era lo stesso Tevere, che ─ fino alla costruzione degli ottocenteschi muraglioni dei Piemontesi ─ era comodamente navigabile dalla foce fino a Orte.
C'era poi una strada, che collegava l'Etruria con le colonie etrusche della Campania e con le ricche città della Magna Grecia. Questa strada attraversava il Tevere con un comodo guado, che tuttora esiste a valle dell'isola Tiberina.
Dunque, dai quattro punti cardinali confluivano nei pressi dell'isola Tiberina i mercanti che trasportavano pesci, sale, prodotti della pastorizia e dell'agricoltura, legname, minerali, merci pregiate di fabbricazione greca...
Su due piccole colline prossime al guado − il Palatino e il Campidoglio − furono costruite fortificazioni che garantivano la protezione e il controllo del commercio. Così nacque Roma, aldilà della leggenda della lupa e dei due gemelli.
E anche nella Roma repubblicana e imperiale, proprio in quegli stessi luoghi c'erano il foro boario (per il commercio degli animali), il foro olitorio (mercato della frutta e della verdura), l'emporio e il porto fluviale di Ripa Grande.

 

il lago dei cigni
Torniamo a Marciana Marina, che ─ secondo l'architetto Centauro ─ fu un grande emporio etrusco per gli scambi nel Mediterraneo. Confrontiamo le vie di comunicazione dell'Elba occidentale con quelle del Tevere e di Roma.
A Marciana Marina non c'è un fiume navigabile. Non passa nessuna strada importante. Non esiste un porto naturale, come quello di Portoferraio. Non ci sono miniere di ferro.
E mancava un hinterland con un consistente mercato di consumatori.
Ma all'assenza di un porto ha posto rimedio la provvida matita dell'arch. Centauro, che ha dotato il paese addirittura di due attracchi.
A pagina 278, presso la foce del fosso di San Giovanni, che allora sboccava in mare all'altezza di Risecco, Centauro ha disegnato una specie di laghetto dei cigni, che egli chiama "sinus portuale": un'insenatura di dimensioni lillipuziane, che fungeva da porticciolo al servizio del grande mercato dell'emporio.
E a pagina 279 ha disegnato alcuni pontili su palafitte, non molto lontani dal porto attuale ma in posizione più arretrata: pontili esposti a tutte le mareggiate perché privi di una scogliera protettiva.
L'Architetto si rende conto che, se il fosso di San Giovanni sfociasse all'interno dell'insenatura, la riempirebbe di detriti in una sola stagione. Perciò ha pensato bene di far scorrere il torrente a qualche metro di distanza dal piccolo porto, in modo che fango e sassi fossero scaricati nel mare. Insomma un torrente giudizioso e lungimirante, che si preoccupava di non cancellare l'insenatura: un torrente furbo come il suo inventore.

 

l'approdo "sicuro e segreto"
Le navi di ogni parte del Mediterraneo ─ dice il Centauro ─ trovavano rifugio in questo approdo "sicuro e segreto" (pag. 271).
Non capisco perché l'approdo doveva essere anche "segreto".
L'esistenza dell'insenatura a Risecco si scontra con quanto scrive a pagina 294 del medesimo libro il geologo David Fastelli, il quale spiega che tra il terzo e il secondo millennio avanti Cristo il clima era stato arido; però successivamente ─ cioè nel primo millennio a.C. ─ con l'instaurarsi di un clima più umido, la regressione marina fu molto rapida a causa di ripetuti fenomeni gravitativi. Per fenomeni gravitativi il geologo intende «lo scivolamento di grandi corpi sedimentari dai rilievi nelle valli ai piedi dei versanti».
In altre parole, il geologo ci informa che, nel corso dei secoli in cui avvenne l'insediamento degli Etruschi, ci furono alluvioni frequenti e frane gigantesche, che colmarono rapidamente la baia ai piedi delle montagne e spostarono verso nord la battigia: lo stesso architetto Centauro spiega che in epoca etrusca il mare arrivava fino all'attuale via del Toro e a Risecco. Gli scogli su cui ora sorge la Torre costituivano un isolotto, ma le alluvioni e le frane lo collegarono alla piana.
Nelle carte dell'Istituto geografico militare si legge che a valle di Rotone l'altezza sul livello del mare è di 40 metri; e raggiunge i 15 metri a valle dell'Orzaio. Noi tendiamo a pensare che dietro il paese ci sia una piccola pianura: in realtà la pendenza del terreno è notevole.
Alla base di un pendio così accentuato, sul quale si abbattevano alluvioni e frane, era possibile che si formasse e che persistesse per lungo tempo una piccolissima insenatura?
L'ipotesi di una insenatura di lunga durata è incompatibile con la rapida regressione marina, di cui parla Fastelli. E se Fastelli ha ragione, allora Centauro ha torto.
Chi ha vissuto a Marciana Marina prima che fosse prolungata la diga foranea, sa bene che le mareggiate invernali e i torrenti in piena avrebbero inesorabilmente spazzato via tutto: insenatura, scalo, palafitte.
Soltanto un turista estivo ─ che vive abitualmente nei pressi del Bisenzio ─ può immaginare che un tratto di matita possa dotare di un porto sicuro il Grande Emporio degli Etruschi.
Si ha la poco simpatica sensazione che l'Architetto ci stia prendendo bellamente in giro.
Gli stessi residui della lavorazione del ferro, che nelle vallate marcianesi si trovano in molti luoghi ma sempre in quantità esigua, sono la prova che il commercio di prodotti siderurgici era modesto nell'Elba occidentale, a differenza di quanto accadeva a Populonia.

 

qualche muro a secco
Nelle carte dell'arch. Centauro sono anche indicati nell'abitato di Marciana Marina molti siti archeologici (e persino un'area teatrale): forse si tratta di qualche muro a secco, la cui origine è attribuita da Centauro agli Etruschi. Però potrebbe trattarsi di muri a secco costruiti dai Romani oppure ─ perché no? ─ dai contadini degli ultimi secoli: sui blocchetti di granito non ci sono bolli.
Quanto alla "centuriatio" (divisione del terreno agricolo secondo maglie geometriche ortogonali), l'Architetto Centauro ─ che cita il bel libro del senatore Emilio Sereni "Storia del paesaggio agrario italiano", che ho letto molti decenni fa ─ certamente sa che non era una pratica esclusiva degli Etruschi e che fu largamente adottata dai Romani in tutta Europa.
Ma Centauro ragiona sulla base dell'assioma che i Romani non si sono mai insediati all'Elba, perché gli storici antichi non riportano questa notizia. E perciò può concludere che i muri a secco non possono essere altro che etruschi.
Una conclusione che vale quanto l'assioma dell'Elba "Romani free". Cioè nulla.
È vero che l'architetto in più occasioni precisa prudentemente che le sue sono ipotesi. Ma a che servono ipotesi vistosamente improbabili? E tutta la "proiezione immaginaria" (parole di Zecchini) del regale personaggio larth Marcinna si può fondare su ipotesi così labili e irreali?

 

5. QUANDO TOTO' VENDEVA LA FONTANA DI TREVI
Particolare attenzione è dedicata dall'Architetto al paesaggio dell'Elba nordoccidentale sotto due profili: quello del Piano paesaggistico regionale (che colloca l'isola nell'Ambito 16) e quello del riconoscimento dei siti "patrimonio dell'Umanità" da parte dell'Unesco.
Quali scopi perseguiva l'Architetto al momento della stampa del libro?
Forse aspirava, due anni fa, a essere coinvolto nella definizione degli elaborati del Piano paesaggistico regionale. Ma oggi l'iter di approvazione del Piano è ormai concluso.
È più probabile che aspirasse a ottenere dai due Comuni l'incarico di predisporre la documentazione per chiedere all'Unesco il riconoscimento delle due Marciane come patrimonio dell'Umanità.
Due incarichi comunque prestigiosi e anche ─ il che non guasta ─ remunerativi.
Per l'Unesco sono corse voci di un possibile compenso di trentamila euro. Forse quindici per ciascun Comune?
Ma la candidatura a sito dell'Unesco appare del tutto velleitaria.
Infatti l'Italia è lo Stato che vanta il numero maggiore di siti riconosciuti dall'Unesco: 51.
Subito dopo vengono la Cina (con 48 siti), la Spagna (44), la Francia (41) e la Germania (40). Però si deve considerare che la superficie della Cina è trentadue volte più grande di quella italiana.
Di conseguenza, è comprensibile che l'Unesco sia orientata a rivolgere altrove le sue scelte.
Da tempo il Governo italiano (che in materia ha una competenza esclusiva) ha proposto all'Unesco la candidatura di città come Bergamo, Volterra, Orvieto, i centri storici di Lucca, Pavia, Parma, gli affreschi di Giotto nella cappella degli Scrovegni di Padova, la via Appia…
Sono ambienti e opere d'arte di indiscusso valore: ma per il momento restano esclusi.
Poiché l'Unesco sceglie come suoi siti paesaggi o ambienti di "eccezionale valore universale", proviamo, con un po' di obiettività, a valutare se le due Marciane corrispondano alla definizione dell'Unesco. In modo istintivo noi siamo legati ai nostri paesi da un affetto tutto particolare, perché li sentiamo come il "paese dell'anima" (per usare il titolo di un libro famoso): per noi questi luoghi hanno un valore unico.
Ma dov'è l'universalità e l'eccezionalità dei nostri due Paesi?
Sul mare o sui laghi o sui monti d'Italia e di tantissimi altri Stati del mondo esistono centinaia e migliaia di altri paesi con caratteristiche non dissimili.
Se poi i pregi delle due Marciane sono i monumenti archeologi, domandiamoci se i nostri monumenti superano per importanza quelli delle città che ho elencato sopra.
L'Unesco dovrebbe forse dare il suo riconoscimento ai disegni dell'Architetto Centauro e all'etimologia di Marciana da un fantomatico larth Marcinna?
Non ha senso che fingiamo che i nostri due paesi conservino una inconfondibile impronta etrusca. Non convinceremmo nessuno, nemmeno noi stessi, perché noi sappiamo bene che non è vero.
Prima che dall'Unesco, la candidatura delle due Marciane in quanto città etrusche sarebbe respinta dallo stesso Governo italiano. Se proprio i paesi elbani vogliono candidarsi alla "tentative list", scelgano di segnalare altri valori.
Anche Totò perorava con tante parole il grande affare della vendita della fontana di Trevi. Ma soltanto l'improvvido turista italoamericano poteva abboccare all'amo.
A meno che non si pensi di ricorrere alle pacche sulla spalla, agli ammiccamenti, alle raccomandazioni degli amici degli amici: insomma il classico repertorio della peggiore tradizione italica e massonica. Un sistema massonico che per l'Unesco non sembra aver funzionato, perché ─ tanto per fare un esempio che ho scelto, ovviamente, a caso ─ Lucca non è stata ancora riconosciuta come sito patrimonio dell'Umanità. Eppure a Lucca, se non sbaglio, c'è anche un ufficio periferico dell'Unesco.

 

meno male che Ciumei c'è
L'architetto Centauro aspirava all'incarico per l'Unesco? Non lo so.
Se poi la candidatura delle due Marciane fosse stata respinta, per l'architetto sarebbe cambiato poco: la produzione di relazioni, filmati, documentazione fotografica e altri fascicoli vari era sufficiente a giustificare l'emissione della notula.
Comunque è certo che ─ per decisione del sindaco Ciumei ─ l'Architetto a Marciana Marina ha già collezionato un bel numero di incarichi.
È lui il progettista dei lampioni tecnologici. I quali, in quanto lampioni, fanno poca luce. E in quanto tecnologia per la diffusione di Internet, non sono mai entrati in funzione. Ma mi dicono che sono costati 82.000 euro.
È lui che ha redatto il piano del colore, che è costato 23.000 euro. A cui si aggiungono altri 4.500 euro per stampare un libro che divulgherà il testo del piano fra i cittadini.
È lui che ha avuto l'incarico del progetto per il restauro della Torre, che costa circa 50.000 euro, A cui si aggiungerà una spesa simile per la direzione dei lavori.
Oltre a queste notule dell'Architetto Centauro, c'è stata anche una generosa elargizione di 5.000 euro alla Società Culturale "Sbisbiglio" di Campi Bisenzio. L'Architetto Centauro, che abita anche lui ─ quando si dice il caso ─ non lontano dal Bisenzio, ha mai conosciuto questa Società Culturale?

 

il piano del colore
Marciana Marina è l'unico comune dell'Elba che disponga di un piano del colore.
Dal piano resta esclusa buona parte delle case del paese, perché il nuovo strumento riguarda soltanto il lungomare, la piazza della chiesa e il Vicinato (via Garibaldi).
In questa parte del paese i numeri delle facciate ridipinte sono veramente da capogiro.
In media, una o due facciate all'anno.
Per completezza di informazione, bisogna aggiungere che Marciana Marina disponeva già di un piano del colore, redatto da un architetto che allora lavorava per il Comune.
Ma per la gestione di un fenomeno così massiccio, potevano essere sufficienti le indicazioni preesistenti? Al sindaco Ciumei è sembrato di no.
E perciò ha dato l'incarico all'arch. Centauro per un secondo piano del colore.
L'Architetto Centauro ha suddiviso il lungomare in ben otto zone diverse; e ha previsto una gamma di 105 colori.
Mi sorge una curiosità: sono più numerosi i colori o gli edifici?

 

per Ciumei "è del tutto evidente"
Per coinvolgere tutti i cittadini intorno al piano del colore, Ciumei ha deciso che sarà stampato un libro e che ne sarà mandata una copia a tutti. Anche a chi abita fuori dalle zone vincolate?
A un consigliere comunale di opposizione, che segnalava che si tratta di una spesa superflua, il sindaco ha risposto ─ con l'abituale sicurezza di sé ─ che "è del tutto evidente che la pubblicazione a stampa si rende necessaria in questo genere di divulgazione".
Sarà anche "del tutto evidente", come afferma il Ciumei. Però io ─ s'intende, per colpa dei miei limiti intellettivi ─ non riesco a cogliere questa cartesiana "evidenza" della necessità di stampare un libro.
Se è "necessaria" la divulgazione del piano del colore, allora è "evidente" ─ a maggior ragione ─ la necessità che Ciumei stampi e spedisca a tutti i cittadini anche una copia del regolamento edilizio, una copia del piano del commercio, una copia del regolamento per gli animali da compagnia: cani, gatti, galline, pesci rossi, criceti dorati, serpenti, iguana e pappagalli…
E anche ─ non se ne scordi ─ una copia del regolamento di polizia mortuaria…
È sufficiente un po' di buon senso per capire che la scelta del colore di una facciata potrebbe essere fatta in modo molto semplice e non costoso: convocando l'interessato in un ufficio del Comune.
Non pare che la convocazione in municipio provocherebbe grandi resse e blocchi del traffico.
In questa contesa politica fra il sindaco e l'opposizione, l'unico aspetto (per usare le parole di Ciumei) "del tutto evidente" è il conflitto di interesse: il Ciumei (vicepresidente della società culturale Ilva) vuole la stampa di un libro che appare utile soltanto per un fine: il prestigio dell'architetto Centauro (presidente della medesima società culturale Ilva).
Ma se il libro serve al prestigio e alla gloria del Centauro, perché il Centauro non si paga il suo libro di tasca sua?

 

allergico alle gare
Capisco che farlo pagare ai cittadini di Marciana Marina è molto più comodo per Centauro, perché così risparmia. Ma l'Architetto dovrebbe considerare che il totale delle notule ─ passate e future ─ pagate dai cittadini di Marciana Marina costituisce una bella sommetta, e che tutti gli incarichi che il Ciumei gli ha conferito non sono mai passati attraverso un concorso di architettura, perché Ciumei è allergico alle gare.
Si sa: in Italia le gare e gli appalti sono sempre stati un problema molto delicato. E le gare non sono lo strumento tipico della massoneria.
Centauro compia un gesto di generosità: con la sua innegabile fantasia, immagini di essere indifferente ai quattrini. E dica al suo fraterno amico Ciumei: "facciamo un dispetto al Berti: questo libro me lo voglio pagare io con i soldi miei".
L'Architetto mi smentisca: mi infligga questa cocente umiliazione: mi provochi questo dolore.
E paghi il suo conto.
Un'altra idea per finanziare il libro senza oneri per i cittadini potrebbe essere quella di battere cassa presso la Camera di Commercio e presso qualche benefattrice. A volte funziona.

 

Mecenate
Ciumei è convinto che gli investimenti culturali siano il modo migliore di spendere i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini.
Non sto insinuando che ci sia qualcosa di formalmente illegale. Ma mi chiedo se è normale che ─ senza mai un concorso di architettura ─ Centauro collezioni tutti questi incarichi del Comune di Marciana Marina.
Non mi meraviglierei se il Ciumei, dopo il libro sul colore delle facciate, ne finanziasse sùbito un altro, in cui l'architetto Centauro potesse illustrare a ogni famiglia il suo progetto di intonacare la Torre, per ringiovanire di secoli l'aspetto della fortezza, che apparirà nuova e pimpante come un giocattolone di vetroresina appena uscito dal kit di montaggio dell'IKEA.
Assistiamo dunque a un'importante svolta nella politica dell'Amministrazione comunale: il sindaco Ciumei − novello Mecenate − ha capito l'importanza della cultura come motore dell'economia.

 

Tremonti sbagliava
Forse il merito di questa scelta a favore della Cultura e dei suoi operatori deve essere attribuito proprio ai suggerimenti dei suoi fratelli e alla Società Ilva, che evidentemente dissentono dal ministro Tremonti, il quale sosteneva che con la cultura non si mangia.
Nella delibera per il restauro della Torre si prevede la sostituzione degli infissi: speriamo che l'infisso della seconda porta (aperta abusivamente a nord) non sia sostituito, ma che sia invece ripristinato il muro che fu illecitamente sfondato. E speriamo anche che l'architetto si ricordi di recuperare i due cannoni che un tempo erano stati collocati in via Aurelio Saffi, per sbarrare il transito alle auto, e che poi furono riposti nel magazzino comunale.
Gli euro per il secondo piano del colore si potevano spendere meglio? Molti pensano di sì.
E anche la spesa per i dieci lampioni tecnologici non era proprio indispensabile, visto che il collegamento a Internet non è mai avvenuto.
Ma queste sono le scelte del sindaco: i cittadini devono adeguarsi. È il sindaco che decide come spendere. Ai cittadini compete soltanto di pagare il conto.
Per il restauro della torre i lavori costeranno complessivamente oltre quattrocentomila euro.
Sarà realizzato anche uno speciale ponteggio rinforzato, che provocherà un aumento di spesa (tanto pagano i cittadini), ma che consentirà ai visitatori (per esempio, i bambini delle scuole) di arrampicarsi lungo il muro perimetrale della Torre.
Nessuno ha capito a che servirà portare i bambini a passeggiare sul ponteggio della Torre: basterebbe che salissero sulla copertura a terrazza, per guardare il panorama e scattare selfies.
Ma le elezioni amministrative non sono lontane: queste scenette a volte sono utili a ingraziarsi i genitori (e Ciumei ha già deciso ─ così si dice ─ di ripresentare la sua candidatura: a grande richiesta).
I lavori di restauro saranno eseguiti da un'impresa specializzata. Siamo sicuri che tra Prato, Campi Bisenzio e Firenze ce ne sia una molto competente.
Dico "competente" nel senso di "tecnicamente esperta".
Non nel senso che "competa" per i costi, perché dei costi nessuno si preoccupa, essendo un'opera pubblica pagata dai cittadini.

 

la nuova tassa di scopo
Dove prenderà i soldi il sindaco Ciumei?
Nella delibera è prevista l'istituzione di una tassa di scopo.
In altre parole, a Marciana Marina sarà inventata una nuova tassa comunale, che servirà proprio per finanziare il restauro della torre e per pagare l'architetto.
Intanto si fa il progetto. E si paga la notula del progettista. Poi si vedrà.

 

lo scandalo del progettista privato
Ma perché il sindaco ha deciso di far redigere il progetto da un professionista privato?
La Torre è un bene indisponibile dello Stato italiano. E tra le articolazioni periferiche dello Stato italiano c'è anche la Soprintendenza per le belle arti e il paesaggio, che ha sede a Pisa e che ha il compito istituzionale di tutelare il patrimonio architettonico e paesaggistico dello Stato, tra cui, appunto, la Torre di Marciana Marina.
Perché il sindaco non ha chiesto al Soprintendente che il progetto del restauro e la direzione dei lavori fossero affidati a un architetto di quell'ufficio?
Perché il sindaco non ha chiesto, in alternativa, la collaborazione del Genio Civile o di un altro Ente pubblico, come la Provincia?
Si sarebbe risparmiata una bella somma.
Capisco che la Soprintendenza non abbia disponibilità di fondi per finanziare le opere murarie: ma non è credibile che la Soprintendenza possa aver rifiutato la progettazione e la direzione dei lavori per il restauro di un bene che rientra tra quelli affidati alla sua tutela.

 

"è del tutto evidente" che Ciumei come sindaco è unfit
La scelta del sindaco di incaricare un architetto privato comporta dunque uno spreco di denaro pubblico, che appare incomprensibile.
Anzi: mi correggo. La scelta appare perfettamente comprensibile.
E vorrei che fosse compresa da tutti i cittadini, perché sono loro che devono pagare.
Recentemente lo Zecchini ha scritto di ritenere che "in una situazione di crisi economica che impone scelte e rinunce, le cure prioritarie debbano essere prestate non ai codici bianchi (scavi e scavetti), ma ai codici rossi che implorano interventi urgenti".
Ha proprio ragione. Però non si comprende perché Ciumei spenda soldi per spese inutili o inopportune. Se si fa la somma di tutte queste spese, si arriva intorno ai duecentomila euro.
Uno spreco enorme: scandaloso.
Non intendo discutere se gli atti rispettano formalmente la normativa: ma sotto il profilo politico è inammissibile che in un piccolo comune come Marciana Marina siano sperperate in questo modo somme tanto rilevanti.
"È del tutto evidente" che Ciumei non sa fare il sindaco.
Anni fa il giornale inglese The Economist scrisse che come leader dell'Italia Berlusconi era "unfit".
Anche Ciumei è unfit: inadatto. Non all'altezza. Incompetente.
Come si può altrimenti definire un sindaco che butta via duecentomila euro?
Si dimetta.

 Gian Piero Berti

 

(nella foto: Busto di Gaio Cilnio Mecenate,  aretino e quindi "etrusco" [lui sì] almeno di origine familiare) 

 

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