Ieri avrei preferito cadere dalle scale, fratturarmi un braccio, un'ustione di terzo grado, un'invasione di cavallette, le cose peggiori, piuttosto che ricevere la telefonata di Valerio che mi annunciava che te n'eri andato, così senza una parola, senza un saluto.
Cosa si fa quando muore un grande amico? Cosa si dice?
Siamo nati nella stessa piazza, si abitava uno di fronte all'altra: io, sopra il bar del tuo babbo, tu nella casa di Ifigenia, sopra il negozio di alimentari del mio nonno Agostino.
Ci divideva il dualismo dei due bar del paese, il tuo "Il bar da Aldo" , il mio "Il Gran bar La Perla". I bar erano importanti, o di qua o di là.
La sera, inverno e tramontana o estate, caldo da savana, tutti pronti a vedere le due televisioni.
Io mi ricordo com'era il nostro Paese, un mondo tanto diverso. La nostra piazza piena di negozi, di gente e bambini.
Mi ricordo i giochi in piazza, e poi il pullman, la mattina alle sette, per andare alle "superiori" a Portoferraio. Tu ti ricordi quanto si cantava? Intonava sempre Italo Giretti. L'hai incontrato sulle nuvole?
E dopo: la gloriosa sezione del P.C.I.
Le sezioni: ne abbiamo cambiato diverse prima di arrivare a quella di via Garibaldi. Siamo passati anche da quella topaia in Via Vadi dove, quando pioveva, l' acqua a fiumi entrava da sud e usciva a nord.
Un pomeriggio di naufragio eravamo, come sempre, io e te a buttare l'acqua fuori. Passò Mario Papi, stette un pochino zitto sulla porta a guardarci e poi ci disse: "Voi due vi dovevate sposa'".
E lui l'hai visto? Vi siete abbracciati?
E le feste dell'Unità? I tornei di biliardino, da lì iniziasti a chiamare mio figlio Secondo perché lo battevi sempre.
E le cene a Monte Perone? Una volta ti si disse che mancava qualcosa e tu, svelto, andasti a Poggio a comprarla. Quando tornasti eravamo tutti nascosti e avevamo fatto sparire ogni traccia di noi, bambini compresi. Tu ci chiamavi e ti guardavi intorno con un' aria desolata finché non iniziammo a ridere come matti. Che tempi belli! Avevamo il pane e le rose.
E quando affrontavamo i viaggi a Pisa per andare da mio nipote in ospedale? Non eravamo mai meno di dieci.
Una volta salimmo tutti sull'autobus e lasciammo mia figlia, piccolissima sul marciapiede. Quando tu te ne accorgesti "La Tita!!!!" iniziammo tutti a urlare e Giulio Busdraghi (col vestito di lana a quadri e sotto un maglione pesantissimo con le gocce di sudore che gli colavano sulla fronte, era caldissimo) iniziò a dare pugni al finestrino, urlando come un ossesso.
L'autista e gli altri passeggeri ci guardavano sgomenti, convinti che fossimo un' intero reparto di qualche ospedale psichiatrico in permesso
Mi dimenticavo sempre qualcosa sulla nave e me ne accorgevo sempre quando ero seduta in treno, fu quella volta che mi dicesti: Si dice: chi non ha capo abbia gambe, ma tu perché devi usare sempre le mie?
Ma quella che non mi hai mai perdonato fu quella volta che si arrivò tardi al porto di Piombino, la nave stava mollando la banchina ed eravamo senza biglietto. Tu ti precipitasti alla biglietteria ed io, pensando di riuscire a fermare il traghetto mi misi alla guida e arrivai al molo. Fu nello specchio retrovisore che ti vidi: correvi dietro di noi rosso come un pomodoro, senza fiato e incazzato come una biscia.
E ti ricordi la Festa dell'Unità Nazionale a Firenze? Io e i miei figli in macchina con te, non si trovava un parcheggio ed io" Mettila qui Gigi, è un posto tranquillo".
Te la portarono via con un camion: era l'ingresso principale della festa.
E al ritorno, in autostrada, ti feci seguire una Uno grigia, convinta che fosse quella di Beppe. Ci perdemmo naturalmente, ma quando gli altri ci videro arrivare in piazza del Palio a Siena ci fu un'ovazione. Avremmo potuto proseguire fino a Reggio Calabria, tu a guidare e io a leggere e commentare l'Unità.
Potrei continuare all' infinito con i ricordi che sono ancora moltissimi, è come passare al setaccio la vita e lasciare dentro le cose più belle.
Tu, l'amico di una vita.
Mi hai chiamato poco tempo fa per chiedere naturalmente di me e alla fine, come se fosse nulla, mi hai detto che dovevi iniziare la dialisi. Non mi sei sembrato molto preoccupato ed io nemmeno ho immaginato che stessi così male.
Tu, un altro pezzo di vita che se n'è andato.
Troppi.
Sappi però che ti ho voluto bene ed oggi sono annichilita dal dolore.
Sappi che nel mio cuore c' è una stanza dove abiti e finché io vivrò sarai vivo anche tu.
Sappi che sono certa che leggendo quanto scritto riderai come un matto. Tu ridevi sempre.
Mi ha fatto bene scrivere di noi, mi ha alleviato il dolore che batte a cento sopra il cuore. Perché questo abbiamo vissuto e questo resta.
Pier Luigi, detto Pigi, è il primo a destra.
É il matrimonio di Lucia, c'è anche Mario Papi e mia sorella.
Io sono quella piccolina (non so perché, ero la più alta).
Maria Grazia Mazzei