Si vota per i referendum e davanti al seggio a Marciana Marina ci sarà sicuramente il fantasma imbrillantinato di Cesarino – Cesare Baroni – che aspetterà che aprano per votare per primo.
Sì, perché Cesarino ad ogni elezione era inesorabilmente primo di fronte al seggio alle scuole – che prima era a quelle elementari e poi, ed ancora, quelle medie - per votare il primo simbolo in alto a sinistra, quello del Partito Comunista Italiano. Se ne stava lì, spesso tornato all’alba dalla pesca, imponente e bello, abbronzato dal mare e con i suoi baffetti e i capelli nerissimi e impomatati come una star dei film americani, con la sua catenina massiccia d’oro con appesa una falce e martello, ad aspettare - che piovesse o ci fosse il sole – per votare senza essere visto, ma con un enorme piacere e dovere di farlo.
Sì perché Cesarino era un comunista un po’ strano: nonostante la sua incrollabile fede elettorale, non aveva mai preso la tessera del PCI. Non era insomma un’ape da alveare, uno da riunioni e discussioni, ma era più un grosso bombo solitario e marino, irto di peli urticanti, come a volte le sue risposte e i suoi modi.
Si dice che il rapporto problematico di quest’uomo forte e bello con le donne fosse stato segnato da una delusione d’amore (forse due). Cesarino si era perdutamente innamorato di una ragazza ed è di fronte al suo terrazzo che Cesare Baroni contava e suonava le sue serenate ed è dalla finestra della casa della sorella Beppa – che non ne poteva più di averlo tra i piedi con una scusa o l’altra - che Cesarino guardava innamorato una porta dall’altra parte della via, sperando in un’apparizione della sua amata, in un sorriso e in un saluto. Poi tutto finì e Cesarino restò solo con le sue serenate che non cantò più se non nei sui ricordi e forse qualche strofa a qualche sua amante occasionale.
E Cesarino si sposò con le barche e con il mare. Aveva un harem di guzzi neri attraversati da fini strisce di colore che teneva sotto l’Atore e che sorvegliava come odalische. Un giorno, mentre parlavamo di un’estate particolarmente capricciosa di burrasche seduti alla panchina del distributore di Remo Adriani, Cesarino disse a Remo: «Venisse una tromba marina, entrasse in porto, facesse tavolelli di tutti i liotti (yacht, ndr), arivasse a le mi’ barche, li facesse il giro intorno, ricominciasse dopo a fa tavolelli, schivasse anche il tu’ pontile, rientrasse e facesse tavolelli fino al Moletto».
Come avrete capito, Cesarino non amava molto le barche dei ricchi che considerava intrusi in un mare che non capivano e che trattavano come un salotto di rappresentanza o un parco giochi, ma a volte metteva a disposizione la sua perizia di marinaio per portare a spasso i ricchi sulle loro barche, a scoprire cale e fondali ai quali loro non avrebbero avuto il coraggio o la perizia di avvicinarsi e fu dopo una settimana di questo lavoro ben pagato su una grossa e lussuosa barca che Cesarino si licenziò in tronco non appena il panfilo attraccò al molo galleggiante del distributore di Remo. Per giorni, mentre al timone seguiva la rotta, quel che aveva visto erano la moglie e le bellissime figlie del suo principale completamente nude che prendevano il sole a prua, beate in mezzo al mare blu, cullate dalle onde, mentre Cesarino soffriva di un desiderio che alla fine non risultò più sopportabile, una pena senza prezzo e possibilità di guarigione.
A Cesarino piacevano le donne e probabilmente avrebbe potuto avere molte donne, ma ormai nel suo cuore era entrato il salmastro della disillusione e preferì la solitudine di pensieri raccontati al mare e alle sue creature e non sapremo mai cosa pensava di fronte ad albe e tramonti di fuoco, o sulla sua barca nera e arcobaleno nella patana del mare bianco, mossa solo dalla pinna e dal dorso arcuato di un ferone, o cosa si sono detti con la gigantesca leccia che abboccò al suo amo e con la quale spartirono miglia di mare e fatica prima che il pesce si facesse tirare a bordo esausto, per poi portarlo come un segreto alla spiaggia del Capitanino, di fronte alla sua casa in via del Sette, imballato in un sacco perché nessuno lo vedesse. Perché nessuno doveva sapere mai dove Cesarino pescava e cosa aveva pescato, e a volte questo rendeva la vendita del pesce difficile e la sua casa odorava come una pescheria di altri tempi.
Quando io ho conosciuto meglio quest’uomo che non dava confidenza avrò avuto vent’anni, facevo il benzinaio da Remo e cesarino aveva già iniziato il suo lento e inesorabile ritiro dal paese, strada per strada, all’ultimo non oltrepassava più il Moletto e il suo mondo era incorniciato dalla diga del porto e dal mare infinito. Ma quella panchina accanto al distributore di Remo – che era il capo dei comunisti - era l’ancoraggio fondamentale, il cenacolo e il giornale parlato di Cesarino. Ed è lì che ho sentito discussioni memorabili e surreali, molte delle quali non raccontabili, ed è lì che a volte i malcapitati turisti venivano a chiedere informazioni sul tempo. Lo fece anche una signora un giorno d’agosto con un abbacinante cielo celeste e senza nubi: «Signor Cesare, mi hanno detto che il tempo potrebbe peggiorare, lei che ne pensa?». E il Baroni, senza nemmeno voltarsi verso di lei: «Piovesse tanto che si dovesse anda’ a pesca’ su le secchette di Monte Capanne». La signora fuggì atterrita di fronte al nuovo diluvio universale.
Alla fine, Cesarino si era ritirato come un irsuto bombo di mare nella sua tana in cima alle scale e con di fronte l’imbocco del porto, il mare, l’Enfola e il continente e il ricordo dell’oceano che aveva solcato. Non gli mancò fino alla fine l’amore delle sorelle e dei nipoti, non gli mancò mai il rispetto dei marinesi e mai rinunciò ad essere il primo a mettere la scheda dentro l’urna elettorale, per poi andare a far l’amore con il mare. Se lo cercate bene, se vi fermate ad ascoltare l’immenso respiro del mare, Cesarino è ancora lì, seduto su un panchino di alibe e coralli, a parlare della bellezza crudele delle donne con la tacca di fondo, la leccia, la balena e Remo.
Umberto Mazzantini
Grazie ad Antonio Mattera per le foto e le cose che mi ha raccontato
Umbero Mazzantini