Se me l’avessero detto non ci avrei creduto. Questo è stato certamente l’anno peggiore della mia vita di cittadino. La rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti d’America, dopo quanto già avevamo visto in occasione della elezione del suo predecessore -il democratico Joe Biden clamorosamente contestata con tanto di assalto alla sede del Congresso USA da parte dei sostenitori del candidato repubblicano, Trump appunto-, lasciava presagire un clima infuocato, con rancori e vendette; e si è puntualmente verificato. Ma lo strumento delle vendette è stato davvero sconvolgente, senza misura: Trump ha deciso di smantellare del tutto il sistema politico che aveva guidato gli USA dalla Rivoluzione Americana, abolendo il delicato meccanismo dell’equilibrio fra i poteri dello Stato (Legislativo, Esecutivo, Giudiziario) e fra le componenti economiche, sociali e culturali della tradizione “occidentale”, affermando il principio dell’investitura diretta di chi governa da parte del popolo elettore, e il suo potere assoluto -cioè libero da vincoli che lo condizionino-, di fatto proponendosi e agendo come un sovrano assoluto. «Ei si nomò: due Secoli, / l’un contro l’altro armato, / sommessi a lui si volsero / come aspettando il Fato. / Ei fe’ silenzio ed arbitro / s’assise in mezzo a lor». Novello Napoleone, ha creato dal nulla una propria corte chiamandovi parenti e amici; dispone a sua discrezione dell’esercito e degli altri dipartimenti dello Stato, e sempre a discrezione interagisce con gli altri Stati considerati come “sudditi”, imponendo loro di adeguarsi alla sua volontà, pena il cadere in disgrazia e subire la punizione che questo comporta. E i partner, sconcertati e attoniti, aspettano incapaci di reagire, e cercando con atti di sottomissione di intercettare il favore del Sovrano.
Che, del resto, accetta di parlare da pari solo con chi -pur provenendo da sistemi e culture diverse- esercita più o meno discretamente un potere equivalente e comunque capace di “resistergli”.
Altre volte ci è capitato di dire ciò che oggi appare indiscutibile realtà: nel sistema degli equilibri mondiali -da guerra fredda, per intendersi- l’Europa Unita costituiva un impedimento all’instaurazione di un nuovo ordine mondiale basato sulla forza militare ed economica dei due (allora) poli di attrazione che avevano vinto la Seconda Guerra Mondiale -USA e Unione Sovietica-.
L’Europa Unita era una tollerabile compresenza, come erano stati gli Alleati europei nella vittoria sul Nazismo e sul Fascismo. La conclusione dell’esperienza socialista sovietica e la dissoluzione del suo impero potevano produrre la vittoria incontrastata dell’Impero Nordamericano, e gli Stati Uniti si sono mossi risolutamente in quella direzione, servendosi degli alleati europei che già gravitavano nella loro orbita: l’Alleanza Atlantica (la NATO), costituitasi in funzione antisovietica, e che con la dissoluzione dell’URSS poteva sciogliersi allentando i legami che vincolavano gli Stati europei agli USA, si trasformò in forza di complemento militare della loro politica; e il tentativo -solo in parte riuscito- di creare una terza componente autonoma nel governo mondiale apparve subito un pericolo -se non un atto di ribellione-. E subito i governi statunitensi cercarono di neutralizzarla: non con Trump, arrivato da ultimo a sferrare il colpo finale; ma già con Clinton e con Obama, se non già con Kennedy. E sempre utilizzando modalità e metodi ampiamente collaudati in America meridionale: l’intervento più o meno palese, più o meno diretto, nella stabilità dei governi locali, col sostegno alle componenti più deboli delle diverse realtà politiche -i Conservatori, la Destra autoritaria, gli eredi più o meno lontani, più o meno diretti dei Regimi che avevano creato o sostenuto i Fascismi fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale-.
Nel frattempo, realtà fino ai primi anni del nuovo millennio marginali e quasi defilate -ma che assieme costituivano e costituiscono la maggioranza degli abitanti della Terra- si imponevano come presenze potenti e crescenti, ponendo fine all’illusione di un dominio incontrastato di coloro che se ne sentivano investiti dopo la fine dell’Unione Sovietica: Repubblica Popolare Cinese, India, ricchi Stati del Medio Oriente, dell’Africa e dell’America latina -già oggetto di uno sfruttamento coloniale e neocoloniale durato secoli- entravano senza timori reverenziali nella competizione economica e di potere del mondo già dominato dall’Impero russo nelle sue varie incarnazioni e dall’Impero occidentale, rendendo intollerabile la pretesa europea di essere considerata un attore equivalente. La guerra di Ucraina era un primo fattore di intralcio alla pretesa di una politica indipendente della sedicente Unione Europea: a spese dello Stato Ucraino -inizialmente utilizzato come esca- e soprattutto della popolazione trascinata in una guerra feroce e sanguinosa senza speranza di vittoria; ma con l’esito di una divisione lacerante fra le Nazioni europee chiamate ad assumere un ruolo di protagonista militare senza averne la forza, gli strumenti e la vocazione.
La competizione economica ha finito per assumere un carattere sempre meno dialettico, virando verso una rivalità selvaggia. Si è perduta ogni patina ideologica, o per meglio dire la si è cancellata: si è tornati alla brutale legge della forza che regolava i rapporti fra le società e nelle società prima della Rivoluzione Francese e poi con le rivoluzioni industriali. La cultura del potere si è dotata di una comunicazione semplificata, che vede due soli attori -e infatti si basa sui media che ne narrano le performance-: i sovrani (d’onde il richiamo al sovranismo) e i sudditi, con il velo del periodico riconoscimento tramite il consenso elettorale, finché sarà necessario. È la cultura della Destra a tutti i livelli e in tutte le dimensioni: nazionale, continentale, mondiale, sociale. Al di fuori del Potere consegnato dal Popolo, in un rapporto personale con il Leader-Sovrano, non c’è bisogno di intermediazioni istituzionali, fastidioso impaccio alla politica dell’agire, del fare. Il Potere del Sovrano non riconosce la divisione dei poteri -Legislativo, Esecutivo, Giudiziario- che ne infrange l’esclusività e ne impaccia l’operatività. E lascia il campo libero alla guerra economica che si svolge fuori dalla politica, o al più utilizzandola e sottomettendola.
La Sinistra si scontra con questa rinvigorita realtà basata sull’individualismo che non conosce confini. Non riesce a trovare il grimaldello capace di riaprire la consapevolezza degli esclusi dal potere per riportarli a essere di nuovo attori della propria vita. Il richiamo al sistema di valori di convivenza che hanno segnato il passaggio dal bellum omnium contra omnes (la guerra di tutti contro tutti) a una società tendenzialmente regolata da un contratto sociale fondato sulla sostanziale uguaglianza degli individui, s’infrange contro il canto delle sirene del narcisismo che non conosce altro valore, altro significato che non la conquista e l’esercizio del potere. La voce arrogante del potere, urlata in ogni occasione e capace solo di disprezzo verso tutti coloro che non ne sono a parte, si trova davanti un controcanto disfonico, tramortito dall’aggressività verbale e pratica di chi si fa forte del gradimento che deriva dall’immagine in formato ridotto o solo evocata di coloro che prestano la narrazione dell’esercizio del potere a chi quel potere non ha e che comprende solo nella forma schematica del noi/loro, includendoli nel noi dell’“ora comandiamo noi”, anche quando in realtà non comanda niente.
Di fronte al grigio manifestarsi di un potere impotente, l’unica speranza che si profila è ritrovare il coraggio e la forza dell’Utopia: perché la Destra esiste solo come specchio realistico dell’egoismo, e ne fa l’unica sostanza del proprio agire. Per questo riesce a vincere solo scontri provvisori.
Non è pensabile che la storia dell’umanità debba finire così. Debba finire.
Luigi Totaro