Erano di quei giorni che il sole fa fatica a spuntare, ma dopo illuminò un cielo pulito, quasi diafano, e montagne con la neve spruzzata come farina sulle case di sughero di un presepio.
Era la vigilia, ma il ragazzo si infilò le scarpe e la tuta e dal mare corse verso il paese in collina che trovò gelato e quasi deserto, con poche luminarie accese e fumo dai comignoli, silente di freddo e granito. Poi risalì la scalinata penitenziale che porta al santuario, tra i castagni coperti di neve e le cappelline della via crucis che sembravano strani igloo. In basso l’sola stesa, col fiato sospeso, su un mare quasi bianco, opalescente.
L’orizzonte seminato di isole, vivide, vicine, balene bianche. E poi di un tratto la grande isola a chiudere l’orizzonte, ricoperta di neve.
Solo i passi veloci, ritmati. scricchiolanti di neve della corsa e l’ansare ghiacciato che usciva dalla bocca come fumo e pensieri.
Bacche rosse di corbezzoli superstiti, avvizzite, come su mistici alberi di Natale, silenzio e solitudine.
Sparite le vipere nei loro rifugi sotterranei, scomparsi i rumori degli animali, nemmeno un fruscio, un trillo, un richiamo, un ronzio. Il letargo della terra. Ibernata come un orso o un pipistrello.
E, dopo il fosso ghiacciato, la lunga salita verso il faro abbandonato, tra gli alberi che la neve faceva sembrare quasi neri. Cuore che batte nel petto, in gola, nelle tempie, respiro mozzo, gambe ancora forti, sudore e ghiaccio. Meraviglia di vivere. Solo.
Poi, al bivio per la discesa, le scarpe nel ghiaccio che si rompe in acqua e, a una svolta, posati su due rocce nelle quali come in una porta si infila il sentiero allagato, due corvi enormi, nerissimi, con becchi come grossi pugnali di ossidiana.
Imperatori della montagna, forse i primi, forse arrivati dalla grande isola innevata a conquistare altre isole.
Il ragazzo si ferma, i corvi lo guardano con occhi implacabili. E’ un incontro tra due mondi in un mondo comune, in un momento non replicabile, congelato nel tempo e nella neve, di comune stupore e di fiducia senza ragione. Lì, sul crinale di una montagna che precipita verso il mare.
Fumo ansante dalla bocca del ragazzo immobile, un cenno del corvo più vicino, quasi un riflesso blu e notturno sulle piume nerissime nella neve bianca.
Il ragazzo passa camminando piano tra i due corvi imperiali, loro lo guardano, lui non li guarda, per rispetto. Li supera, si volta, lo guardano, poi comincia a correre in discesa, con i piedi bagnati e la schiena ghiacciata, felice, grato di un incontro con la bellezza e l’inspiegabile.
Più in basso, mentre il ragazzo corre ancora verso il paese e il pullman che lo riporterà al caldo di una casa, un corvo lo sorvola da vicino, come per un saluto e, più in alto nel cielo, l’altro corvo gracchia un richiamo sonoro, che squilla pulito nel cielo freddo, come uno strano inno natalizio, una preghiera o una magia che risveglia la natura dal silenzio dell’inverno.
Umberto Mazzantini