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Nella foto Violeta Parra Nella foto Violeta Parra

Luigi Totaro: Auguri… Domani è un altro giorno - I versi di Violeta Parra

Scritto da  Luigi Totaro Martedì, 30 Dicembre 2025 10:20

In conclusione di questo 2025, annus horribilis, che sembra imporsi alla nostra riflessione come fonte di una invincibile disperazione essenziale, è necessaria una reazione capace di farci superare l’idea di essere abbandonati a una deriva incontrollabile. Michele Serra su Repubblica di sabato 28 dicembre ci apre la strada: «Sapere di che cosa stiamo parlando, quando parliamo di guerra, è della massima importanza (nel senso che non riesco a vedere, in questo passaggio della nostra storia, argomenti altrettanto importanti). Dunque muniamo i nostri discorsi, per favore, di quell’arma indispensabile che è l’amore per gli esseri umani, per i bambini, le città, le scuole, i teatri, i negozi, i campi, gli alberi e gli animali. Senza temere che qualcuno faccia osservare che è la solita melassa. In quella melassa la vita vive, la vita è la regola, non il sospiro dello scampato». Non è una strada facile da percorrere, e richiede una nuova rivoluzione culturale che ci conduca a riappropriarci dei sistemi di valori che sono cresciuti con la nostra storia millenaria.

 

Ogni giorno, come in uno spettacolo di fuochi d’artificio, il mainstream -la cosiddetta nuova egemonia culturale- ci propone una nuova mitologia con nuovi eroi e imprese straordinarie, connotate dal tratto comune dell’esasperazione della performance: a cominciare dal piano economico -i compensi miliardari degli amministratori delle grandi Corporation americane fino ai più prossimi europei e italiani-; per proseguire con il culto del potere di chi governa per “mandato popolare” (come si dice) che deve essere illimitato e incontrollato -dai Decreti esecutivi di Trump alla Decretazione d’urgenza del nostro Governo (certo con diverso rilievo commisurato alla rispettiva potenza e alle differenza di vantaggi economici che ne derivano)- e sull’esercizio del quale si misura il valore del potenti; per finire alle performance meno rilevanti ma alla portata di tutti, come i successi sportivi dei grandi e dei piccoli, in una continua esportazione del proprio valore fuori dalla dimensione dell’essere verso la dimensione dell’apparire -donde il mistero degli influencer-.

 

L’estraniazione di sé, divenuta gara in cui si vince o si perde, tende a elidere la possibilità di recuperare il senso e il valore del dono come fondamento di relazioni gratuite: osserva Massimo Recalcati (Repubblica,23.12.2025) «L’amore non si realizza nell’essere amati ma solo nell’amare. Allo stesso modo si tratta sempre di donare ciò che non si può possedere. Per esempio il tempo. Ecco un dono che sarebbe davvero segno dell’amore nel nostro tempo. Donare non qualcosa, ma il tempo che ci manca… Ogni vero dono implica una dissimmetria, una non prossimità, una lontananza. Quando c’è troppa familiarità i doni non sono più sorprese ma abitudini, rituali spesso anonimi. Il dono non diviene più il segno della mancanza, ma viene assorbito dal regime del calcolo e dell’utile. In questi casi prevale uno scambio commerciale: bisogna dare perché si è ricevuto e viceversa. Il rituale assoggetta così l’imprevedibile di cui il dono dovrebbe invece nutrirsi».

 

Recalcati sottolinea il valore del tempo come reale patrimonio degno di essere oggetto del dono d’amore. Umberto Galimberti (Repubblica, 28.12.2025) approfondisce il concetto del tempo come patrimonio per lo più alienato, partendo dal senso della vacanza: «Non è un incontro facile con noi stessi, ridotti come siamo a funzionari di apparati, dove quotidianamente dobbiamo compiere le azioni descritte e prescritte dall’apparato, secondo quei valori oggi imposti dalla tecnica e dal mercato, che sono efficienza, funzionalità, produttività e velocizzazione del tempo che ha già superato le capacità temporali della nostra psiche, con conseguenti fenomeni d’ansia e vissuti, più o meno giustificati, di inadeguatezza rispetto agli obbiettivi da raggiungere che l’apparato di appartenenza di volta in volta ci assegna. A questo punto la nostra identità non è più nostra, ma dipende dal nostro livello di funzionalità all’interno dell’apparato, per cui se l’apparato ci promuove in carriera abbiamo un consolidamento della nostra identità, se invece ci mette da parte con pratiche di mobbing, abbiamo un indebolimento della nostra identità con demotivazione, depressione e in alcuni casi anche il gesto estremo. E allora la pausa lavorativa, la vacanza, il ponte cambiano volto al vuoto che creano, che non è più una ripresa di forze e motivazioni, ma un incubo con margini di speranza ridotti al minimo. A questo ci porta l’aver affidato ciò che “siamo” a ciò che “facciamo”».

 

Dunque torniamo a munirci -come ci invita a fare Serra- di quell’arma indispensabile che è l’amore (senza lasciare solo il Papa a predicarlo), perché è condizione necessaria della vita: «la vita vive, la vita è la regola, non il sospiro dello scampato». Rompiamo il sortilegio mainstream del Cowboy americano e dei suoi rancheros -o dei coatti nostrani con la loro insensata fedeltà al Cavaliere Nero della bellissima barzelletta di Gigi Proietti-; e torniamo alla ricchezza della nostra cultura millenaria -al suo Diritto, alle teorie dello Stato e dei poteri che lo governano, al sistema dei diritti di cittadinanza da tutelare e far crescere (Istruzione, Salute, Previdenza)-; torniamo a proporre il Lavoro come attività di compartecipazione allo sviluppo di tutti, e per questo identitario, fatto personale e non merce da vendere -basta con il concetto di capitale umano e con la conseguente competizione all’interno delle attività produttive-. Torniamo alla complessità che ha caratterizzato la progressiva capacità di modificare la realtà; opponiamoci alla monotonia della contrapposizione “noi/voi” per confrontarci su idee e progetti. Rifiutiamo il dibattito urlato che, come la musica House, si esaurisce nella ossessiva ripetizione di ritmi cadenzati con poche variazioni armoniche; e ritroviamo l’infinita e complessa ricchezza di armonie e di dialoghi della Politica, simboleggiata -per restare nella metafora musicale- dalla tradizione classica -Mozart, Chopin, Bernstein, Piovani- o popolare -senza paura di tornare ai pensieri e alle parole di un secolo di musica leggera che ancora oggi coinvolge un pubblico enorme di tutte le età -De André, Dalla, Rossi, Gaber, appunto Battisti-Mogol, per limitarsi a qualcuno degli italiani-.

 

Torniamo alla letteratura e alla poesia, patrimonio sconfinato da condividere; torniamo al cinema, al teatro, alle arti figurative. Torniamo alla Filosofia e alla Storia, indispensabili per leggere il mondo intorno a noi.

 

Non si tratta di puntare a ristabilire un’egemonia culturale da contrapporre al mainstream: benvenuto sia ogni impulso di crescita, perché implicitamente rivolto al futuro. Ritorniamo a credere che l’emancipazione dall’ignoranza o dalla stagnazione culturale sono l’unica guerra da combattere, perché precondizione della crescita degli individui e delle comunità.

 

Certo è difficile, è impegnativo, è persino rischioso; può anche apparire velleitario. Ma è possibile. L’augurio che faccio a noi tutti è di trovarci a cantare con Violeta Parra -artista cilena scomparsa a cinquant’anni nel 1967 dopo una vita dedicata alla liberazione e all’emancipazione delle popolazioni latinoamericane, tra l’altro amica di Neruda e ispiratrice degli Inti-Illimani- l’ultima splendida sua canzone, scritta peraltro nel momento più difficile della sua vita, e cantata dopo di lei da artisti celebri e appassionati (da Mercedes Sosa a Joan Baez, a Gabriella Ferri, a Parodi-Ledda, a Jovanotti e tanti altri).

 

Con l’animo pur rivolto alla morte Violeta cantava*:

 

Grazie alla vita che mi ha dato tanto
Mi ha dato due luci che quando le accendo
Mi fanno ben distinguer il nero dal bianco
E nell'alto del cielo il suo sfondo stellato
E tra la folla il volto di chi amo

 

Grazie alla vita che mi ha dato tanto
Mi ha dato il suono e la scrittura
E con loro le parole che penso e dico
Madre, amico, fratello e luce che splende
Sul cammino dell'anima di chi sto amando

 

Grazie alla vita che mi ha dato tanto
Mi ha dato l’orecchio che con tutta la sua capacità
Registra notte e giorno grilli e canarini
Martelli, turbine, cortecce, docce
E la voce tenera del mio bene amato

 

Grazie alla vita che mi ha dato tanto
Mi ha dato il cammino dei miei piedi stanchi
Che mi han portato per città e pozzanghere
Spiagge e deserti, montagne e pianure
E alla tua casa, alla tua strada e al tuo cortile

 

Grazie alla vita che mi ha dato tanto
Mi ha regalato il riso e regalato il pianto
È così che separo felicità e tristezza
I due componenti che dan forma al mio canto
E al tuo canto che è lo stesso mio canto
Grazie alla vita che mi ha dato tanto

 

*Grazias a la vida (Violeta Parra, 1966)

 

Luigi Totaro

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Ultima modifica il Martedì, 30 Dicembre 2025 11:06