La dignità negata
Da come la ASL Toscana Nord Ovest ha presentato sui quotidiani regionali la soluzione al problema della mancanza del reparto cardiologico, anche per l’Ospedale di Portoferraio, sembrava di assistere a una svolta epocale. Si è parlato di una “rivoluzione digitale”, di una tecnologia d’avanguardia capace di colmare le distanze e superare le carenze strutturali con la sola potenza dei dati. Ma portando questa notizia alle sue conseguenze logiche, ci si accorge che l’innovazione annunciata, invece di risolvere il problema, rischia di cristallizzarlo per sempre. Dietro l’entusiasmo delle parole si nasconde una verità scomoda: un’Isola che può solo diagnosticare, ma non curare, non è più un presidio sanitario, è un laboratorio di impotenza. La tecnologia diventa così un alibi, non una risposta.
Il reparto cardiologico non è negoziabile
Molte patologie cardiache acute, infarto STEMI, alcune forme di NSTEMI ad alto rischio, aritmie maligne, shock cardiogeno, dissezioni coronariche, complicanze meccaniche post infarto, non sono malattie da diagnosi: sono malattie da riperfusione immediata. Il paradigma è semplice, eppure terribile nella sua evidenza: diagnosi + azione tempestiva = miocardio salvato; diagnosi senza azione locale = tempo che passa = miocardio che muore. Questo non è un parere medico, è fisiologia pura. Il muscolo cardiaco ha una soglia di sopravvivenza all’ischemia oltre la quale il danno diventa necrosi, e la necrosi diventa invalidità o morte. Ecco perché la cosiddetta “rivoluzione digitale”, se non è accompagnata da una reale presenza cardiologica sull’Isola, non è progresso: è una sofisticata forma di auto assoluzione. È il modo moderno di dire: “Tutto bene, Madama la Marchesa!” mentre la gente continua a morire di lontananza. L’elicottero, in questo contesto, non è una terapia: è un compromesso rischioso, una roulette meteorologica e logistica. Si può continuare ad avvalersi dell’elicottero per morire tra le nubi, è brutale dirlo, ma è la verità che nessuno ha il coraggio di pronunciare.
L’illusione del volo salvifico
Il trasporto aeromedico è prezioso quando rappresenta l’eccezione; ma si trasforma in una violenza sanitaria quando diventa la regola per una comunità stabile di residenti e per un territorio che accoglie ogni anno oltre due milioni di presenze turistiche giornaliere. Ogni minuto di volo in più, ogni condizione meteo non ottimale, ogni attesa per la disponibilità del mezzo, ogni spostamento di personale significano una dilatazione della fase ischemica. E la cardiologia d’urgenza è l’unico campo della medicina in cui trenta minuti possono decidere tutto: tra il ritorno al lavoro e la pensione d’invalidità, tra la vita e la morte improvvisa a distanza di mesi. Il paradosso è feroce: più si diventa bravi a diagnosticare da remoto, più rapidamente si riconosce che “questo paziente deve andare subito in emodinamica”; ma proprio per questo lo si invia altrove, fuori dall’Isola, con tempi di trasferimento che violano sistematicamente le linee guida internazionali. In queste condizioni, e l’Elba lo sa bene, non si ottiene un miglior risultato: si ottiene solo una certificazione più rapida dell’impossibilità di curare.
Il costo sociale dell’abbandono
Un infarto che poteva essere riperfuso in tempo e che invece arriva tardi sviluppa una necrosi miocardica più estesa, riduzione della frazione di eiezione, scompenso cronico, terapie protratte, controlli ricorrenti: limitazioni lavorative, carico familiare, pensioni o indennità. La catena è perfetta nella sua crudeltà: ogni anello perso in emergenza diventa un peso economico e umano che si moltiplica negli anni. Non è solo il paziente a pagare. È la famiglia che si impoverisce, l’attività produttiva che si ferma, la sanità regionale che si svuota, lo Stato che spende di più per non aver voluto spendere molto meno in tempo utile. È l’intera comunità nazionale che si impoverisce, mentre la terza Isola d’Italia continua a vivere in un paradosso sanitario: essere parte dello Stato, essere corpo della propria Regione, ma curarsi come se fosse altra nazione da soccorrere… tempo permettendo.
Alberto Zei