Si è conclusa venerdì 21 novembre la COP 30 di Belém, nella Nazione dove la consapevolezza dei danni del cambiamento climatico era nata: il Brasile.
Nel grande parco di Belém (città con 1,4 milioni di abitanti), alla foce del rio Guamà e nella baia di Marajò a 140 km dall’oceano Atlantico, l’ambiente è quello naturalistico dell’Amazzonia: grande vegetazione e grande distesa d’acqua; quasi un Eden perduto. Il contatto con la natura quasi selvaggia, dopo precedenti COP svoltesi in Paesi petroliferi o affini, si è toccato con mano.
Nel parco di Belém è stata creata la sede della conferenza divisa in due parti: la “zona blu” (24 ettari) gestita dalla UNFCCC e riservata ufficialmente alle Nazioni partecipanti ed ai loro padiglioni e la “zona verde” (16 ettari) gestita dalla Presidenza Brasiliana aperta al pubblico, a manifestazioni popolari, a conferenze aperte ad ogni organizzazione e a manifestazioni artistiche. E’ questa ultima zona la novità perché assente nelle precedenti COP.
Mi è sempre rimasto incomprensibile, forse per mia forma mentis tecnico-positivista, il fatto che una realtà possa avere due nature apparentemente inconciliabili ed andare contro il principio di non contraddizione.
Nella meccanica quantistica questo accade, basta ricordarsi del famoso gatto di Schroedinger che può essere contemporaneamente morto e vivo!
Confesso che è un mio limite, perché con i “qubit” ci stanno costruendo i computer! Ma ormai l’idea si sta estendendo alla realtà politica. Sarà forse la fine di un
manicheismo? Il rosso ed il nero non sono distinti ma possono coesistere in un’unica realtà.
Alla COP 30 la teoria suddetta si applica benissimo.
Una struttura dove i collegamenti tra i vari padiglioni sono attuati da macchine elettriche cinesi, ma con condizionatori funzionanti con combustibile fossile R10 (fornito da Petrobras con il 10% di rinnovabile), aerei di Stato e privati ( 211 jet) che hanno trasportato le circa 50000 persone e due navi ormeggiate per accogliere molti degli intervenuti per la scarsa ricettività alberghiera con i prezzi che sono schizzati alle stelle mettendo in difficoltà i bilanci delle Nazioni partecipanti (tutto il mondo è paese). Si calcola che 1602 intervenuti siano lobbisti di Paesi legati ai combustibili fossili.
Lo stesso Brasile, che ha una importante quota della sua produzione energetica fatta con fonti rinnovabili (prevalentemente idroelettrico con grandi centrali come quella sul Paranà da 10000 Mw), ha autorizzato perforazioni profonde (sotto strati geologici salini nell’Atlantico a 5000 metri di profondità) anche al largo dell’Amazzonia. Dal marzo 2025 il Brasile fa parte dell’Opec (nel 2024 estratti più di 3 milioni di barili di petrolio al giorno).
Nel campo della protezione delle foreste il progetto lanciato all’inizio della COP 30 dal Presidente Lula (TFFF) è encomiabile, ma il Brasile esporta in tutto il mondo soia come mangime per gli allevamenti intensivi e, quindi, ha bisogno di campi per la sua coltivazione riducendo l’estensione delle foreste.
Foreste che purtroppo stanno diminuendo anche per giganteschi incendi scoppiati in tutto il mondo. Solo nel 2024 14 milioni di ettari di bosco sono andati in fumo e ciò si aggiunge alla deforestazione per scopi agricoli.
Altro tema controverso, in cui è coinvolta anche l’Italia, è quello di incrementare la produzione di biocarburanti ( vedi nel piano Mattei) che richiedono vaste aree dedicate alle piante utili ( palme da olio, canna da zucchero). Da tali piante, con opportuni processi chimico-fisici, si può ricavare gasolio e benzina bio per alimentare gli attuali motori a combustione interna. Il Brasile già da decenni mescola benzina ed alcol ricavato dalla canna da zucchero.
A mio parere tale soluzione può essere interessante anche se “grigia” nei confronti del problema ecologico. Un’ottima cosa sarebbe di ridurre molto il trasporto su gomma.
Altro fenomeno “quantistico” è la Cina che emette circa 10 miliardi di tonnellate l’anno di CO₂ (un terzo di quella emessa al mondo), ma investe molto nelle rinnovabili e l’Economist l’ha definita “ la superpotenza dell’energia rinnovabile”. Nei primi 6 mesi del 2025 ha installato 250 Gw di pannelli solari e sono stati venduti i due terzi dei veicoli elettrici prodotti al mondo. E’ anche leader nelle vendite dei pannelli fotovoltaici e dei generatori eolici.
Ma la sua quota di produzione di energia rinnovabile è il 20% del totale; il resto è prodotto da carbone e petrolio. Costruisce ancora centrali a carbone.
A mio giudizio, poiché è ormai la fabbrica del mondo, la fame di energia è enorme e serve anche per costruire pannelli solari, generatori eolici e macchine elettriche. Bisognerebbe valutare attentamente gli EROEI dei prodotti (rapporto tra quanta energia danno nella loro vita e quanta ne richiedono per la loro costruzione e smaltimento o riciclo).
In mezzo a queste contraddizioni, si sono svolte varie manifestazioni partite dalla “green zone”.
Folcloristiche processioni di indios, con bellissimi piumaggi indossati, hanno attraversato le vie di Belém. Nella “cupula dos povos” (COP30) il leader indigeno Metuktire ha richiesto la “demarcazione”, cioè l’assegnazione in proprietà o diritto di vivere, delle terre occupate dagli indios nei Paesi dell’America meridionale.
Alla COP30 sono emerse, quindi, queste contraddizioni e con il consueto “forcing finale”, come da copione, si è raggiunto un accordo (global mutirao) senza una “roadmap” per uscire dal fossile e con qualche promessa di investire di più nei Paesi in via di sviluppo per la transizione energetica.
Tutti contenti, o meno, ripresi i centinaia di jet, dopo 2 belle settimane passate in Amazzonia, sono rientrati nelle rispettive Nazioni.
Mio pensiero: non sarebbe più ecologico far viaggiare gli elettroni (che hanno massa trascurabile) invece dei jet? Si potrebbero attuare videoconferenze senza spostarsi! Tanto gli interessi economici e, quindi di potere, si impongono sugli altri temi!
Prossima COP31 (2026) ad Antalya (Turchia) e la storia infinita continua ormai quasi oscurata dai media che ne hanno parlato pochissimo.
Giampaolo Zecchini