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Le "lecce" di Solana

Scritto da  Antonio Berti Lunedì, 25 Luglio 2022 09:44

Le ho viste nascere, crescere, dove un tempo regnavano le vigne, padrone incontrastate del nostro paesaggio.
Dico nostro perché ognuno di noi, seppure in modo diverso e per diverso tempo, ha sudato e versato lacrime in quelle vigne.
Perché lacrime? Perché quando altri bambini erano dediti al gioco ed al divertimento, a noi toccava aiutare i genitori nel lavoro che diventava sempre più duro e impegnativo con il nostro crescere.
Le nostre vigne erano disseminate lungo i crini assolati, dalla spiaggia della Cala fino alle lisce più alte all'ombra del masso dell'Omo, recentemente decapitato da un fulmine. Ognuna di quelle viti era il risultato di una somma di fatiche inimmaginabili per le generazioni di oggi.
Una infinita gradinata di muri a secco che sostenevano i salti, i più larghi dei quali ospitavano, raramente, fino a quattro passate di capannelli, nella maggioranza dei casi solo una o due passate.
Un'opera d'arte a cielo aperto, splendidi in quel rude paesaggio.
Fu così fino all'alba degli anni sessanta, quando il turismo cominciò a sostituire l'economia agricolo-pastorale dell'isola.
Le vigne furono progressivamente abbandonate ed il leccio (che io continuerò a chiamare leccia) ne divenne il padrone incontrastato. Dove prima si vendemmiava imparammo, col tempo, a fare legna e funghi.
Presto il paesaggio si trasformò ovunque, anche a Solana, i salti, costellati di schiumoli, antiche scorie della fusione del ferro, furono nascosti dalle chiome delle lecce che crescevano altissime.
Scomparve alla vista anche la capanna, dove Eduardo teneva il gregge quando era tempo di tosatura. Lo faceva scendere dai pascoli per tosare le pecore vicino all' uviale dove le donne potevano lavare la lana e stenderla al sole sulle lisce immacolate di granito, le stesse lisce che usavamo come scivolo per i nostri giochi di bambini e sulle quali, spesso, lasciavamo parte dei poveri calzoni facendo disperare le nostre mamme che facevano miracoli di restauro.
Oggi, di quelle lecce, rimane ben poco.
Le vedo ogni giorno cadere, inesorabilmente, una alla volta, sfinite dell'aggressione di troppi mufloni, dalla limantria e dalla siccità.
Un triplice assalto mortale.
Lo so, può sembrare banale, accade in molti luoghi e per tante ragioni, ma per me il pensiero che questo mio mondo, piccolo, povero, certamente vero, come vera era la gente che lo abitava, dove ogni cosa aveva una storia, anche solo una leccia,
scompaia, mette tanta tristezza.


Antonio Berti

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Ultima modifica il Lunedì, 25 Luglio 2022 09:55