Una frase del vangelo di oggi ha l'effetto del prendere-o-lasciare: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Esprime la vita e il mondo visti con gli occhi di Dio. E non a caso, l'evangelista la colloca subito dopo l'annuncio di Gesù che dovrà soffrire ed essere ucciso da chi si oppone al suo progetto di vita e fraternità. Seguire Cristo, allora, è far propria la logica della croce. Vuol dire identificarsi con i servi e con i bambini. Condividere la vita di Gesù è scegliere il servizio ai fratelli, come il maestro che ha lavato i piedi ai discepoli. Essere servi è riconoscere la propria realtà, è vivere in semplicità davanti a Dio, agli altri e alla natura. Le scienze umane ci dicono che molte delle insoddisfazioni e crisi derivano dalla non accettazione di sé, dal non sentirsi adeguati alla competizione sociale. Così argomenta un maestro spirituale: “Chi vuol essere più grande, è perché si ritiene insignificante e senza valore. Non si sente amato, e quindi non può accettare se stesso e tanto meno gli altri” (Fausti).
Dio ha creato tutto per la vita e ha affidato alla libertà responsabile degli esseri umani la sua custodia e promozione. Ognuno salva la propria umanità se sceglie di servire la vita e in questo modo salva il mondo.
Ricollegandoci al Tempo del Creato, di cui ho detto qui e qui, occorre interrogarsi sul nostro servire o non servire la vita. Andando dietro alle nostre paure e alla volontà di potenza (essere-più-grandi economicamente e socialmente), abbiamo abusato e continuiamo ad abusare della vita e della natura. Non riconosciamo il valore di ogni singola realtà del creato, non rispettiamo i ritmi naturali, inquiniamo l'aria, l'acqua e la terra, sfruttiamo e sprechiamo i beni comuni. Gli scienziati dicono che solo cambiando modello di vita è possibile invertire la rotta dei cambiamenti climatici e dare un futuro al pianeta. Qualcosa si può e si deve fare, ad ogni livello.
Concludo con il caso della foresta amazzonica, la cui distruzione è portata avanti da latifondisti, cercatori d'oro e tagliatori di alberi dal legno pregiato. Si tratta di un biocidio e di un genocidio (degli indios che vi abitano). In questo contesto e con diverse modalità, cresce la resistenza indigena. Vorrei segnalare almeno la figura del settantatrenne vescovo Damiani che con la canoa raggiunge i più lontani confini della diocesi, per partecipare alle gioie, ai dolori e all'impegno attivo per la difesa di un bene comune che è dei popoli indigeni ma anche di tutta l'umanità. Di fronte a questa situazione (e a tante altre) non si può restare indifferenti, perché ci appartiene e ci tocca.
(19 settembre 2021 – domenica 25 ordinario)
Nunzio Marotti
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.