Caro direttore,
stavolta chiedo ospitalità a Elbareport non per politica, guerre, disastri e quant’altro di terribile e talvolta tragicomico occupa il nostro lavoro, ma per un semplice ringraziamento ai chirurghi, medici, infermieri e il personale sanitario dell’ospedale di Portoferraio che mi hanno avuto in cura circa un mese fa. Dato che la sanità è legittimamente al primo posto delle preoccupazioni dei residenti, (lo sono peraltro anch’io da tre anni) e il dibattito, da quel che leggo tutti i giorni su Elbareport, è complicato, non mi avventuro in giudizi e valutazioni, posso solo riportare le mie impressioni di paziente.
L’avrei volentieri evitata ma nella sfortuna la mia è stata un’esperienza positiva, un caso di ordinaria buona sanità come dovrebbe essere, non solo all’Elba, quindi la racconto sperando che serva a una riflessione al di fuori della propaganda e degli eccessi di chi dipinge un’isola abbandonata a se stessa e di chi dice che invece funziona bene tutto quel che deve funzionare.
Dunque, è andata così: sono stato operato d’urgenza all’addome per un problema potenzialmente rischioso e ho passato 8 giorni al terzo piano, reparto chirurgia.
Poiché ero solo in casa, peraltro su un cucuzzolo sperduto, e non facilmente raggiungibile, ho sperimentato anche l’efficienza dell’ambulanza che è arrivata rapidamente nel cuore della notte e che nel giro di venti minuti mi ha “consegnato” al pronto soccorso, dove ero già stato il giorno prima per le avvisaglie del problema.
Mi hanno fatto molti esami, velocemente, lastre, ecografia e Tac, e dopo un giorno si è capito che la situazione si poteva risolvere solo con un intervento. Dico la verità, ho temuto l’esperienza dell’elicottero. Lo vedo sempre, quando vado a pescare o fare un bagno con la barchetta, non pensi mai che un giorno può capitare anche a te. L’esperienza mi è stata risparmiata. Oltretutto erano i giorni dell’ennesima bomba d’acqua che ha allagato Portoferraio e il giorno dopo c’era un gran vento. Se si può, meglio evitare.
Ecco la prima cosa, banale ma sincera, che ho pensato dal mio letto al terzo piano, dove godevo di un’invidiabile vista sulla rada e sui traghetti che andavano e venivano: meno male che l’ospedale c’è. Piccolo, ma buono. Non solo per l’isola, con la sua popolazione a fisarmonica tra estate e inverno, è imprescindibile che ci sia, ma è ovvio che l’ospedale debba essere in grado di affrontare in loco se non tutte le patologie almeno buona parte delle emergenze per il semplice fatto che un’isola è un’isola, qualche volta le condizioni meteo marine sono proibitive e il trasbordo dei pazienti, che sia per nave o per elicottero, è una complicazione oggettiva, che ha anche qualche margine di rischio. Senza pensare ai problemi dei familiari al seguito. Bene rendere efficiente il collegamento con le realtà ospedaliere vicine, Piombino, Pisa, Grosseto, purchè non si lasci a Portoferraio solo uno stretto indispensabile sempre più stretto.
La seconda impressione, ma è stata in realtà la conferma di quel che ho sempre pensato, è che in una situazione difficile ho trovato efficienza e attenzione al paziente. Ho incontrato medici bravi e disponibili, personale sanitario preparato, e cosa che non guasta affatto, umanità e simpatia. Non è scontato e gli elbani dovrebbero essere orgogliosi del loro piccolo ospedale e del personale che ci lavora. Si capisce che gli organici sono ridotti rispetto alle necessità, forse non tanto per quanto riguarda i medici, quanto soprattutto per il resto del personale, costretto a turni impegnativi. Per venire a vivere e lavorare all’Elba ci vogliono incentivi importanti, perché gli affitti delle case costano, e non è facile fare una scelta di vita del genere.
Qualcosa si sta facendo, ma come mi spiegavano due infermieri, per un giovane che vuole fare questa professione, dura e faticosa, fermarsi stabilmente all’Elba è possibile solo se trovi un partner e decidi di viverci.
Quindi c’è una realtà che funziona, solo che il bicchiere mezzo pieno dovrebbe tendere a riempirsi, non a svuotarsi. La sanità toscana è una delle migliori d’Italia, (lo posso ben dire conoscendo quella di Roma, che pure conta delle eccellenze), mi pare impossibile che non si trovi un compromesso soddisfacente per tutti che tenga conto della specificità dell’Elba.
Ripeto, sono impressioni personali. Ma ci tenevo a ringraziare e inviare un doveroso saluto a chi ci lavora, all’ospedale, e lo fa con passione e in condizioni non facili. Un grazie ai chirurghi che mi hanno operato, Stefano Cucumazzo e Carlo Moretto, alle anestesiste Angela Fundarò e Martina Pardossi, ai radiologi, al personale della sala operatoria, alle infermiere e infermieri e tutti quelli che poi nel reparto mi hanno assistito, con bravura e gentilezza, giorno e notte.
Non è un lavoro facile, ci vuole competenza ma anche spirito di sacrificio. Ricordiamocelo sempre, non solo quando ci sono le pandemie. Permettimi una divagazione: un abbraccio non solo al personale ma anche a Armando, Marco e Giuseppe, e a un simpatico marittimo della Moby di cui non ricordo con sicurezza il nome (effetto dell’età, non dell’anestesia): sono stati, alternandosi, i miei compagni di stanza, con cui ho chiacchierato e riso per diversi giorni. Sì, immobilizzati a letto tra dolori e molte preoccupazioni ci siamo fatti anche qualche risata . E’ il sale della vita.
Grazie Sergio.
Bruno Miserendino
Grazie a te Bruno per averci raccontato, con la usuale maestria del proessionista, (hai voglia a anda' in barchetta, i giornalisti veri so' come i preti: sacerdos in aeternum) questo scorcio di buona sanità isolana; e per le riflessioni che, pure per esperienze personali, mi sento di condividere in toto.
Grazie anche per esserti fatto "elbano in punta di piedi", al confronto del clamore con il quale ultimamente sbarcano, in serie, pseudo-taumaturgiche mezze calzette, che - come diceva il noto - cantore - ci spiegano le nostre idee senza farcele capire.
Si l'Isola deve migliorare, saldare i suoi "gap", crescere in cultura amministrativa e politica, e farlo ancher con i contributi esterni, i confronti con altre più efficienti realtà territoriali. Ma prima di pontificare tuttologicamente occorre conoscerla questa sfaccettata realtà - isolani si nasce o si diventa, ma non ci si improvvisa - anche partendo dal bicchiere mezzo pieno, da quel poco o tanto di buono che già c'è.
Un abbraccio
Sergio