I cambiamenti climatici degli ultimi decenni sono ormai un dato accertato scientificamente, anche se le loro cause sono tuttora oggetto di studio, in quanto come sistema sperimentale il pianeta Terra è certamente molto complesso e pieno di variabili dipendenti le une dalle altre [1, 2]. Sta di fatto che uno degli effetti più evidenti ed ormai tangibili, anche individualmente, di questi cambiamenti climatici è il “Global warming” ovvero il riscaldamento medio della superficie terrestre, mari compresi.
Un progetto tutto italiano nacque ormai più di 5 anni fa per dare un significativo contributo nella raccolta dei dati di temperatura del Mare Nostrum, con la precisa intenzione di attivare stazioni di misura distribuite lungo l’intero perimetro della penisola italiana per poter fornire un quadro quanto più possibile completo del fenomeno. Il progetto si chiama, forse con poca fantasia, “Marecaldo” ed è stato fortemente voluto da Greenpeace Italia, che ne ha dato fattivamente il via realizzando la prima delle stazioni di rilevamento, scegliendo come sito per questa “stazione zero” l’Isola d’Elba.
Ma un vero progetto scientifico non può esistere senza una struttura riconosciuta nel campo, che nel caso di Marecaldo è il Dipartimento di Scienze della Terra, dell'Ambiente e della Vita dell’Università di Genova (DISTAV) [3]. La parte tecnica, quella riguardante i sensori, è gestita da Elbatech, l’azienda elbana che progetta e realizza strumentazione scientifica per la ricerca [4]. In questo articolo non si parlerà dei risultati delle misure, per i quali si rimanda ai rapporti pubblicati annualmente [5], bensì della tecnologia e del metodo utilizzati.
Innanzi tutto perché misurare proprio la temperatura, utilizzandola come indicatore primario dello stato del mare e non ad esempio la salinità, l’acidità o altri parametri? La ragione non sta nell’ovvia inferenza riscaldamento globale => temperatura, per cui sembrerebbe logico associare proprio questa misura alla descrizione del fenomeno in mare, ma nel fatto che tutte le altre grandezze subiscono alterazioni come effetto secondario. Quindi se una misura multi parametrica sarebbe certamente utile, l’indicatore primario per studiare gli effetti dei cambiamenti climatici in mare è decisamente la temperatura della colonna d’acqua fino alla zona del coralligeno, che in Mediterraneo corrisponde in media ad una profondità di 40m sotto la superficie del mare.
La temperatura è infatti legata direttamente alla quantità di calore ricevuta o ceduta da una sostanza e la costante di proporzionalità è la così detta “capacità termica” che si preferisce esprimere nella sua forma indipendente dalla massa chiamata “calore specifico”, indicato con la lettera c minuscola:
dove m è la massa dell’acqua presa in considerazione, Q è la quantità di calore ceduta o acquistata dal corpo preso in esame e ΔT è la conseguente variazione di temperatura.
L’acqua ha uno fra i più elevati calori specifici, pari a 4186 J/(kg·°K). Giusto per confronto, materie comuni come il vetro e gran parte dei metalli hanno valori molto inferiori a 1000. Questo è un altro degli aspetti che rendono l’acqua un elemento davvero speciale: avendo un calore specifico così elevato può acquistare o cedere molto calore variando di pochissimo la propria temperatura, il che spiega perché è molto più probabile bruciarsi la lingua con la marmellata in un pezzo di torta appena sfornata piuttosto che con la crosta, che è più secca e contiene quindi molta meno acqua della frutta.
Per lo stesso motivo se la temperatura del mare si alza in media anche di pochissimo significa che la quantità di calore ricevuta è enorme. Ecco perché misurare la temperatura del mare è un’evidenza diretta del Global Warming: un aumento della temperatura di una grande massa d’acqua come il Mar Mediterraneo o peggio un Oceano, anche di pochi decimi di grado centigrado, è sempre causata dall’acquisizione di un’abnorme e straordinaria quantità di calore.
In tutto il discorso è fondamentale usare e sottolineare la parola ‘media’ poiché la temperatura del mare ha ovviamente variazioni naturali molto grandi durante il ciclo delle stagioni. Quella di un bacino circoscritto, per quanto esteso, come il Mediterraneo può ad esempio raggiungere in alcuni casi particolari anche i 30°C in piena estate e scendere fino a 12-13°C in pieno inverno. Ecco dunque che è necessario procedere ad un’attenta elaborazione dei dati acquisiti ad intervalli prefissati allo scopo di estrapolare valori statisticamente significativi e tali da descrivere correttamente fenomeni termici che si sviluppano lungo un arco temporale lungo, quali appunto il valor medio, la mediana, la distribuzione in frequenza e molti altri. È infatti solo da un’analisi statistica rigorosa che si possono trarre conclusioni scientifiche su una serie di misure.

Figura 1. Grafico delle temperature acquisite da un singolo sensore durante l’arco di un anno, in cui sono evidenti variazioni stagionali e puntuali, queste ultime più ampie nei mesi caldi.
Altrettanto importante è poter disporre di un numero di stazioni di misura consistente, le quali siano posizionate in modo il più possibile uniforme lungo la costa perimetrale del territorio di interesse. Per questo il progetto Marecaldo vede coinvolte molte Aree Marine Protette (AMP) che hanno aderito all’iniziativa e provveduto ad installare cloni locali della pristina stazione elbana. La mappa di figura seguente mostra i siti di rivelazione, ad oggi, del progetto:

Figura 2. Distribuzione al 2025 delle stazioni del progetto Marecaldo lungo il perimetro della penisola italiana. In rosa le stazioni più antiche, in verde quelle di recente ingresso.
Il protocollo di misura prevede l’acquisizione dei dati a profondità che vanno dai 5 ai 40 metri a passi di 5 metri, per cui ogni stazione ha 8 sensori di temperatura (più 2 di backup installati a -5 e -10m rispettivamente, che sono le batimetriche alle quali con maggior probabilità le sonde potrebbero essere strappate via dalla forza dei marosi).
Questo tipo di configurazione permette di mappare con buona risoluzione la così detta “colonna d’acqua”, ovvero la zona di mare che si sviluppa verticalmente dalla superficie fino alla profondità massima considerata. Si riesce così a studiare la variazione di temperatura in funzione della profondità e a dare evidenza di fenomeni di particolare irraggiamento, così come di risalita di masse d’acqua profonde, o di altri fenomeni fisici.
Poter contare su stazioni dislocate in zone diverse permette di gestire eventuali dati “anomali” attribuendoli alla giusta causa che li ha generati. Il tipico esempio è quello di una misura molto fuori media riscontrata da una stazione ad una certa profondità. In questo caso la prima verifica da fare al momento dell’analisi dei dati è se tale riscontro è presente solo in quella stazione, oppure anche in quelle ad essa più prossime, oppure addirittura in tutte le stazioni. Ciò permette di capire se si è trattato di un fenomeno molto localizzato, del quale poi si potranno investigare le cause, oppure parzialmente o ampiamente diffuso.
A titolo di esempio la figura seguente mostra un insolito aumento della temperatura verificatosi nella stazione elbana nel 2020. La rappresentazione grafica lega fra loro tre dati: la profondità sull’asse y, il mese dell’anno sull’asse x e la relativa temperatura con la codifica a colori riportata a destra. La Figura seguente mostra questo inconsueto surriscaldamento dell’intera colonna d’acqua nel mese di giugno, ristabilitosi poi nel successivo mese di luglio:

Figura 3. Mappa colorimetrica delle temperature della stazione Elba di Marecaldo dell’anno 2020. Le frecce indicano l’anomalia riscontrata nel mese di giugno.
Con questo tipo di analisi si riesce a seguire con buona approssimazione la quota del “termoclino” (o di multipli termoclini), cioè della quota in cui si ha una netta variazione di temperatura fra due strati d’acqua a differente densità.
Il termoclino è un indicatore molto importante dal punto di vista ecologico perché fotografa situazioni di particolare stress del mare. Ad esempio se è troppo basso anche fuori estate, racconta di una fascia superficiale di acqua particolarmente compatibile con l’adattamento di specie aliene, quelle che vanno a popolare una parte di mare diversa dal proprio areale storico.
Proprio per questo il progetto Marecaldo prevede, oltre e al di là dell’acquisizione dei dati di temperatura, attività di monitoraggio delle specie bentoniche e pelagiche, cioè rispettivamente quelle che vivono fisse sui fondali e quelle che sono in grado di spostarsi liberamente in mare. E quando questo monitoraggio si sviluppa lungo una linea definita, come in questo caso lungo la colonna d’acqua fino ai 40 metri di profondità, prende il nome di “transetto”.
Due ecologhe del DISTAV eseguono regolarmente transetti in tutte le aree di studio e rilevano la presenza consolidata oppure casuale di un gran numero di specie, così come fenomeni di particolare rilevanza biologica quali ad esempio l’ingresso di specie aliene o la moria diffusa ed improvvisa di una popolazione. Incrociando queste osservazioni con i dati rilevati dalle sonde di temperatura riescono così a ‘disegnare’ un quadro dettagliato dello stato del nostro mare.
Molto rilevante è il fatto che il protocollo del progetto Marecaldo per il monitoraggio della temperatura è stato sviluppato sul modello di quello utilizzato dalla rete mediterranea T-MEDNet in modo da poter inserire i dati delle stazioni italiane in un più ampio network di monitoraggio e favorire la comparazione dell’evoluzione delle temperature nelle diverse aree del bacino.
Per completare la fotografia del progetto non resta che dare uno sguardo ai sensori utilizzati, che più correttamente andrebbero chiamati “Data Logger” in quanto non si limitano ad effettuare una misura, ma ne memorizzano i risultati all’interno di una memoria non-volatile. Due volte all’anno le sonde vengono prelevate, ripulite dalle concrezioni e ricontrollate, provvedendo al cambio batteria. I dati fino allora acquisiti vengono scaricati su computer e inviati al DISTAV e le sonde riposizionate.
Si tratta di dispositivi commercialmente disponibili e accuratamente selezionati per soddisfare le condizioni operative nel nostro mare, i quali vengono sottoposti ad una fase di calibrazione iniziale prima di essere effettivamente installati nelle varie stazioni, allo scopo di verificarne il funzionamento e la perfetta rispondenza alle specifiche previste.
I Data Logger sono installati su fondali duri o su corpi morti mediante chiodi da roccia, per garantire il minimo impatto all’ecosistema, oppure lungo le catene di ancoraggio di boe di delimitazione delle AMP, a seconda dei casi e dell’opportunità.

Figura 4. A sinistra il Data Logger utilizzato nel progetto Marecaldo e a destra un esemplare fissato sulla catena di una boa.
Il progetto è tutt’oggi molto attivo e nuove Aree Marine Protette si aggiungono ogni anno all’insieme di quelle che già ne fanno parte, contribuendo così a dettagliare sempre meglio lo stato del mare lungo tutta la costa italiana, isole comprese. Marecaldo è importante per dare il polso della situazione del mare italiano ma la sua fondamentale caratteristica (e rara, nel panorama scientifico) è quella di fornire una ‘mappatura’ non-puntuale, bensì diffusa lungo tutto il perimetro delle coste italiane. Inoltre la sua rilevanza è anche dovuta alla nascente ‘storicità’ dei dati: ormai è in atto dal 2020 e oltre ai dati annuali Marecaldo sta iniziando a fornire scientifiche indicazioni sul ‘trend’ ecologico, che verranno ulteriormente arricchite in futuro.
Marco Sartore
Riferimenti bibliografici
1. “Climate change and human behaviour”, Nature, Volume 6, 1441, (2022)
https://doi.org/10.1038/s41562-022-01490-9
2. IPCC. Climate Change 2022: Mitigation of Climate Change (IPCC, 2022).