Parole chiave: cambiamento climatico, alluvioni, ungulati fuori controllo, trasporti in crisi, diritto alla salute, privatizzazione delle spiagge, consumo di suolo, acqua, accesso alla cultura…
Tutte queste parole, diversissime tra loro, hanno un’unica matrice e spiegazione: il (NON) governo del territorio. Governo del territorio vuol dire tutela, conservazione, valorizzazione del patrimonio, tutto in un quadro di sostenibilità ambientale generale. Governo del territorio NON è consumo di suolo e NON è crescita dello sviluppo economico a danno del progresso della collettività. Queste indicazioni di massima figuravano già nel Piano Indirizzo Territoriale approvato dalla Regione Toscana dieci anni fa, un documento prezioso ma ignorato deliberatamente dalle amministrazioni e mai posto in essere (www.regione.toscana.it/documents/10180/12604324/16+_Colline_Metallifere_e_Elba.pdf/3a283254-71e7-4bf8-a0b8-66368c4acace).
Tutelare l’ambiente, ormai è dimostrato, non basta. Bisogna tutelare anche il paesaggio, che è sempre una costruzione umana e che, in quanto tale, è fragile e bisognosa di continui e costosi interventi di restauro, consolidamento, miglioramento. Un ambiente perfettamente tutelato è una buona cosa ma non basta se questa tutela non comprende anche la vita, la salute, il benessere della comunità. È un bene che riusciamo a far nascere le tartarughe sulle nostre spiagge, meno bene è che i cittadini che frequentano quelle stesse spiagge vivano in un territorio potenzialmente pericoloso.
Da tempo i nostri territori stanno lanciando segnali sempre più frequenti e più forti di disagio. Sono dei malati che, invece di essere curati, vengono alimentati con cibi grassi, pesanti, troppo elaborati, tossici. Ma tutte queste cose le ha dette più volte, e molto meglio di me, Andrea Galassi, nel pensiero del quale mi riconosco pienamente.
Mentre nascono tartarughe sulle spiagge e tornano a nidificare falchi pellegrini e berte minori (e queste sono buone notizie) cresce però la distanza fra la comunità e i luoghi, sempre più percepiti come mucche da mungere fino allo stremo.
Nel contempo, il cittadino isolano vede sempre più erosa la piattaforma dei propri diritti essenziali, ad esempio quello alla mobilità. È anche il tempo del fumo negli occhi, degli specchi per le allodole, delle formule usa e getta: se protesti per la perdita progressiva di questo diritto ti viene risposto che solo il tunnel potrà risolvere i tuoi problemi, altrimenti arrangiati con il Moby Kiss. Come se essere cittadini non fosse una garanzia di avere anche una libertà di discussione e, alla fine, libertà di scelta. Peraltro, il taglio dei trasporti e della sanità sono due delle molte facce di uno stesso prisma. A chi reclama un sacrosanto diritto si risponde: eh, mi dispiace ma siete su un’isola e costa troppo (una nave nuova, un reparto di cardiologia…). Quando mai i diritti essenziali dell’individuo e della comunità sono diventati monetizzabili e oggetto di mercanteggiamento?
Subordinare i servizi essenziali al loro costo è un atto di eversione verso quella medesima comunità. Così come il pensare che “fra poco arrivano i turisti e saranno contenti tutti…”. In realtà, oggi si può anche misurare il grado di soddisfazione/preoccupazione dei cittadini e delle comunità per il paesaggio del luogo in cui vivono.
L’ISTAT pubblica annualmente il Rapporto BES (Benessere Equo Sostenibile). In questo rapporto il benessere della società viene valutato tramite dodici indicatori di percezione: 1 Salute, 2 Istruzione e formazione, 3 Lavoro e conciliazione dei tempi di vita, 4 Benessere economico, 5 Relazioni sociali, 6 Politica e istituzioni, 7 Sicurezza, 8 Benessere soggettivo, 9 Paesaggio e patrimonio culturale, 10 Ambiente, 11 Innovazione, ricerca e creatività, 12 Qualità dei servizi.
Come si vede, il “Paesaggio e patrimonio culturale” è un parametro importante. Bene, a partire dal 2017 sono cresciute sia l’insoddisfazione per la qualità del paesaggio nel luogo in cui si vive sia la preoccupazione per il deterioramento del paesaggio: sono aspetti sempre più sentiti sulla qualità della vita individuale e collettiva e sempre più italiani considerano il paesaggio del proprio luogo di vita affetto da degrado e fonte di malessere invece che opportunità per un maggiore benessere.
Mi chiedo: quanti dei nostri amministratori (non solo quelli elbani, beninteso) pensano al Benessere Equo e Solidale della propria comunità? Per eventuale interesse: https://www.istat.it/statistiche-per-temi/focus/benessere-e-sostenibilita/la-misurazione-del-benessere-bes/il-rapporto-istat-sul-bes/
Peraltro, il paesaggio, il nostro paesaggio, è anche il piano in cui i nostri diritti vengono o dispiegati o negati. Nel primo caso cresce il benessere collettivo. Nel secondo, siamo solo una somma algebrica di individui che si muovono a tentoni, tra i privilegi dei pochi e il disagio dei più.
E allora, va tutto male, è tutto negativo? No di certo ma serve costruire una politica che tolga spazio all’economia pura e ripristini il senso della comunità, del territorio come bene comune, del quale rispettare le ormai evidenti fragilità, nel quale spendere per creare benessere e sicurezza per tutti.
Ciò detto, andiamo a votare.
Franco Cambi