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Come e con quali ritmi cambia l'ambiente intorno a noi (anche e soprattutto per causa nostra)?

Scritto da  Roberto Barsaglini Sabato, 09 Agosto 2025 11:14

Abbiamo appurato che gli ungulati, siano cinghiali, mufloni o altro, all’Isola d’Elba, sono animali di importazione, o, per dirla in termini scientifici, specie aliene, alloctone, altamente invasive. E sappiamo anche come ci sono arrivati, tutto è ampiamente documentato, vedi ad esempio i cinghiali ad opera dei cacciatori e, come se non bastasse, anche scegliendo ibridi con alta prolificità e di dimensioni considerevoli, in sintonia con gli scopi dell’introduzione (ampia disponibilità di capi da cacciare e adeguati “trofei”).

 

Se c’è un’attenuante è che in quegli anni il dibattito e le conoscenze sull’impatto sulla biodiversità erano scarsamente considerati o comunque materia riservata all’ “eletto” ambiente dei ricercatori e degli scienziati.

 

Gli ignari cittadini hanno assistito al (inizialmente) lento aumento della specie aliena sul territorio, magari anche, per i non cacciatori, godendo delle carni ottenute in regalo da parenti e amici amanti delle “doppiette”.

 

Del resto, e questo succede anche oggi, l’idea che ci è stata inculcata dai mezzi di informazione, ma anche e soprattutto da quello che abbiamo imparato a scuola, è la “progressione lineare degli eventi” e la tendenza a considerare ogni essere vivente, evento o cosa come soggetto a se stante.

 

Anche se da tempo dovremmo sapere che tutto è interconnesso, che qualsiasi essere vivente, evento o cosa non possa essere considerato soltanto nella sua “individualità”, ancora tutto il nostro mondo si basa su questa concezione errata.
Ad esempio prendiamo il tale farmaco per curare un sintomo anche se, magari, incide negativamente su altri aspetti: i cosiddetti “effetti collaterali”.
L’approccio “olistico” (che vede ogni organismo o sistema nella sua interezza e non solo come composto da singole parti - il tutto è qualcosa di più della somma delle parti di cui è composto), nella medicina occidentale, è ancora molto distante dall’essere applicato. Ma questo succede un po’ in tutti i campi.

 

E, purtroppo, questo nostro modo di affrontare un qualsiasi problema in modo “settoriale” si ripercuote, anzi, è intimamente connesso all’altra idea errata: quella della progressione lineare delle cose. Se la lingua di un ghiacciaio ha messo trent’anni per ridursi di alcuni metri, nei prossimi trent’anni ci aspettiamo che possa ridursi delle stesse dimensioni. Se l’anidride carbonica è aumentata nell’atmosfera di un certo valore, aumenterà forse progressivamente allo stesso ritmo in futuro, e quindi abbiamo ancora tanto tempo per valutare di intervenire per contenerla.

 

Qui “casca l’asino”: in natura il concetto di “progressione lineare” andrebbe debellato, cancellato. Adesso ognuno dovrebbe facilmente accorgersi che tutto procede con una “progressione logaritmica”.
Tanto per capirsi, non 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10 etc. bensì 1,2,4,8,16,32,64,128,256,512…
Tutte e due queste serie hanno dieci termini, ma il punto di arrivo è ben diverso: nella prima, dopo dieci gradini si arriva a 10, nella seconda a 512 !

 

Qualcuno si ricorderà dell’indovinello: “se in uno stagno una foglia di ninfea ogni giorno raddoppia, e ci mette cento giorni a ricoprirne la metà della superficie, quanto tempo occorre per ricoprirlo tutto?” Molto spesso la risposta è “altri cento giorni”… e la risposta è sbagliata: ci metterà un giorno! Perché ogni giorno ciascuna foglia si duplica. E come si vede, grazie a quello che ci hanno inculcato, la risposta non è intuitiva, serve un ragionamento.

 

Ecco, il succo di tutto quanto sta qui… e anzi, ancora non basta! (ohi ohi, che mal di testa…).

 

Sì, non basta perché considerare solo la riproduzione della foglia di ninfea non è sufficiente. La foglia di ninfea che ricopre uno stagno cambia tutto il paradigma di quello stagno: impedirà alla luce di penetrare nell’acqua, assorbirà sempre più velocemente le sostanze nutritive presenti, etc. etc. incidendo su tutto il sistema stagno.

 

Ogni cosa è interconnessa e deve essere vista in modo “sistemico”, ovvero si devono considerare come le relazioni tra tutti gli aspetti si influenzino reciprocamente, provocando un effetto a cascata: il vecchio esempio della farfalla che batte le ali a Los Angeles e provoca un tifone in Indonesia…

 

Cari amici animalisti, questo vale anche per l’impatto degli ungulati sul nostro territorio.

 

In un “sistema” tutto si è evoluto arrivando ad un certo equilibrio, nel quale ogni “cosa” si relaziona con le altre. L’uso indiscriminato di pesticidi per eliminare un insetto (magari anche lui alieno) avrà ripercussioni su tutto l’ambiente, oltre che impattare sulla nostra stessa salute. Oppure: l’immissione di una specie aliena, che non si è evoluta in quell’equilibrio, lo altera in modo gravissimo, provocando finanche l’estinzione di una serie di altre specie (animali o vegetali che siano). Cosa sappiamo di come incide sul nostro ambiente un qualsiasi altro, anche minuscolo, essere vivente che reputiamo “insignificante”, secondo i nostri parametri?
Oggi sappiamo che le api (non solo quelle da miele) sono ciò che in gran parte ci permette di godere di frutta e verdura, e che quindi ci rendono un servizio “ecosistemico” anche quantificabile in soldoni. In certe parti del mondo dove gli impollinatori sono stati sterminati grazie all’uso massiccio di prodotti chimici, si deve ricorrere all’impollinazione manuale: riuscite a pensare quanto questo incida economicamente?

 

Ecco, allora perché contano solo gli animali “grandi”, perché si difendono solo loro? Ecco che si grida contro l’eradicazione del muflone al Giglio, o del ratto a Montecristo, si reputa inutile l’estirpazione del “fico degli ottentotti” (le cosiddette “dita di strega”, il Carpobrotus), o ci si oppone all’eradicazione degli ungulati all’Elba, anche se hanno le dimostrate ripercussioni su tutta la biodiversità?

 

Mi direte, nella storia del pianeta ci sono sempre state alterazioni dei vari ambienti a causa, ad esempio, della comparsa di nuove specie. Certo, ma è un problema “di numeri e di tempi”: senza l’intervento umano i vari equilibri hanno avuto modo man mano di adeguarsi e di evolvere.

 

Oggi, particolarmente per causa nostra, più o meno volontariamente, la rapidità e il numero di introduzioni di nuove specie, o l’immissione in atmosfera di sempre più massicce dosi di anidride carbonica non danno tempo all’evoluzione verso un nuovo equilibrio. Rischiamo il collasso di tutto il sistema, perché una cosa influenza l’altra, provocando accelerazioni “inaspettate” dei vari fenomeni.

 

È vero che meno interveniamo e meglio è, perché di danni ne abbiamo fatti tanti, ma interventi ponderati e svolti con rigore scientifico, con lo scopo di cercare di salvaguardare qualcosa dell’ambiente naturale che ci circonda e ci permette di sopravvivere sono diventati inevitabili.

 

E se questo significa anche il sacrificio dei cinghiali, comunque oggetto di strage infinita da parte dei cacciatori e loro stessi, anche se inconsapevoli, agenti di distruzione della biodiversità della nostra isola, e nonostante che “ogni” essere vivente meriti rispetto (ma veramente “ogni”), sembra essere, purtroppo, ai nostri giorni il male minore.

 

Roberto Barsaglini

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Ultima modifica il Sabato, 09 Agosto 2025 11:24

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