Allora caro Yuri, come promesso commento quanto hai scritto, scusandomi per la cosa lunga che, probabilmente, oltre a me che l’ho scritta, sarai l’unica persona che leggerà.
La maggior parte dei parchi italiani è nata tra il 1975 ed il 2000 quando la caccia aveva smesso da tempo di essere considerata una risorsa alimentare. Inoltre tu citi il parco del Gran Paradiso, istituito nel 1922 dove dici, giustamente, che si sono salvati gli ultimi stambecchi italiani. Quello che magari non sai è perché gli ultimi stambecchi sopravvivevano solo li e perché dalle altre parti dell’arco alpino erano scomparsi. Esattamente per un caccia indiscriminata, ma al gran Paradiso erano sopravvissuti perché quella era la reale riserva di caccia, dove cacciava solo il re e i suoi ospiti. Ovviamente, volendo mantenersi il divertimento, ed essendo padrone assoluto della gestione venatoria dell’area il re sapeva come farseli durare. Poi nel 1922 cedette allo stato quei territori, perché le spese di mantenimento non erano sostenibili nemmeno per la corona e cosi nacque il parco. Altra cosa che probabilmente non sai è che nel parco del gran Paradiso lo stambecco si è cacciato fino ai primi anni ‘60 del secolo scorso, con tariffe elevatissime soprattutto pagate da stranieri. Del resto anche orsi e lupi sono stati cacciati nel gemello parco nazionale d’Abruzzo, istituto nel 1923, per almeno i primi 20 anni della sua storia. Anche questo parco prima era una riserva reale di caccia. Poi ti contraddico anche sulla caccia che è la prima attività antropica a essere vietata nei parchi. Questo è vero in Italia, ma non all’estero; ad esempio nei parchi in Spagna ed in Francia si caccia. Naturalmente li il concetto di parco è un po’ diverso dal nostro, sono su estensioni molto grandi e hanno ampie zone dove la caccia è vietata, ma anche altre dove è consentita, un po’ come nelle nostre aree contigue dove sono state fatte.
Tra le cause di aumento degli ungulati in Italia tu citi i ripopolamenti o, meglio, le immissioni che in alcuni casi sono state determinanti, come all’Elba dove naturalmente non c’erano. Ma i motivi sono in generale più complessi, il raddoppio della superficie boscata in Italia dal periodo tra le due guerre mondiali ad oggi, l’abbandono dell’allevamento brado che che competeva” con il pascolo dei selvatici e la riduzione del lupo, che tu citi, sono tutte componenti che hanno contribuito. Non ultima una gestione venatoria che ha certamente favorito l’incremento delle popolazioni con immissioni e foraggiamenti, tanto che una legge dello stato nel 2015, almeno per quanto riguarda il cinghiale, li ha proibiti entrambi punendoli con sanzioni penali.
Tu dici che gli ungulati sono più abbondanti nelle aree protette che fuori?
Ti potrei dimostrare il contrario, ma mi ci vorrebbe molto spazio. Ti basti però un ragionamento che forse puoi toccare con mano anche all’isola d’Elba, ma che è sicuramente valido su tutto il territorio nazionale.
Lo abbiano detto prima, dove si caccia l’obbiettivo prevalente è quello di mantenere popolazioni abbondanti di ungulati, mentre nei parchi normalmente è esattamente l’opposto. Non nego che ci siano stati e qua e là ci siano ancora, alcuni gestori talebani che dicono cose tipo “nei parchi dobbiamo lasciare fare la natura” oppure “nei parchi non si spara, né si uccidono animali”, ma oggi, fortunatamente, sono mosche bianche.
In realtà la stragrande maggioranza dei gestori dei parchi vuole ridurre pesantemente le popolazioni di ungulati ed in alcuni casi eradicarle. Poi come succede, c’è chi ci riesce meglio e chi peggio, ma ti inviterei a riflettere sugli obbiettivi opposti tra la gestione venatoria e quella di un parco.
Tu dici che “l’unico modo possibile per risolvere il problema è la caccia, che può essere effettuata con gabbie trappole e fucili, ma sempre di caccia si tratta”. Eh no Yuri, su questo ti sbagli e cerco di illustrare la differenza tra caccia e controllo, cosi come facevo agli studenti.
Caccia è un’attività che una o più persone svolgono liberamente, decidendo loro quando effettuarla; quando abbattono un animale quello cessa di essere “proprietà indisponibile delle stato” e diventa proprietà di chi l’ha abbattuto. Se uno rispetta le regole: specie cacciabili, luoghi, tempi e mezzi di caccia consentiti (arma da fuoco, arco o falco) si appropria legalmente degli animali abbattuti, se invece non lo fa, se ne appropria illegalmente ed e, in quel caso, si definisce un bracconiere.
Il controllo è invece un’attività condotta dalla pubblica amministrazione (un parco, una regione) che decide quando, chi ed in che modo effettua gli interventi. Il controllo può essere fatto in luoghi, in tempi e con mezzi assolutamente vietati nella caccia (nei parchi, di notte, durante tutto l’arco dell’anno, utilizzando trappole etc.). Gli animali abbattuti, indipendentemente da chi li abbatte restano di proprietà dello stato nelle sue varie articolazioni che può venderli, donarli, incenerirli o metterli in un carnaio per avvoltoi. Che poi un mezzo di caccia sia utilizzato anche per attività di controllo (l’arma da fuoco) è solo un dettaglio.
Chiarito questo punto arriviamo al tuo ragionamento successivo, con una premessa: dentro al parco, almeno negli ultimi 10 anni ci sono 3 soggetti diversi che intervengono nelle attività di controllo sul cinghiale e sul muflone: ditte specializzate, polizia provinciale e cacciatori volontari.
Mi soffermo sull’ultimo soggetto: ogni anno ci sono oltre 100 cacciatori (prevalentemente elbani) che abbattono gratis (come piace a te) cinghiali e mufloni nel parco, nell’ultimo anno erano 116 per la precisione che hanno abbattuto 89 Cinghiali e 191 Mufloni.
Un’altra cosa sulla quale ti devo correggere e che negli ultimi anni, sull’isola d’Elba, il rapporto tra cinghiali prelevati nel parco e quelli fuori non è “equamente distribuito” siamo a 55-60% nel parco contro 40-45% fuori, non una differenza straordinaria, ma significativa. Potrei anche dirti che dopo anni di prelievi nel parco privilegiando le femmine in periodo riproduttivo è probabile che di cinghiali ce ne siano meno rispetto a quelli che sono fuori, ma per il ragionamento che sto per farti non è determinante.
Tu proponi per ridurre ulteriormente il numero dei cinghiali di fare delle braccate all’interno del parco. Ti premetto che, a differenza di altri tecnici che seguono le attività di controllo, io non sono ostile all’utilizzo dei cani per queste operazioni, anzi, in determinate situazioni lo ritengo indispensabile. Gli ultimi 4-5 mufloni per completare l’eradicazione all’isola del giglio sono stati proprio trovati con i cani, senza i quali sarebbe stato molto complicato raggiungere l’obbiettivo.
Ma, al di la delle tecniche che si possono utilizzare e delle persone che possono attuarle, insisto che a monte di tutto ci deve essere la condivisione dell’obbiettivo.
Quello che avrei io sarebbe quello dell’eradicazione, sia del cinghiale che del muflone, altri, te compreso, mi sembra di capire, vorrebbero una forte riduzione delle consistenze di queste due specie. I due obbiettivi sono solo apparentemente in antitesi, anzi.
Mi spiego meglio, raggiungere l’eradicazione di queste due specie sull’isola d’Elba non è affatto una cosa semplice. È vero che eradicazioni simili sono state realizzate in altre parti del mondo, anche in isole molto più grandi , ancorché disabitate, oppure di dimensioni analoghe ed altrettanto antropizzate (Santa Catalina, California), ma ciò non toglie che sia un’azione impegnativa più facile per il muflone, meno per il cinghiale.
Ma avendo l’obbiettivo dell’eradicazione un risultato è sicuro, anche se non ci si arriva, ci si va molto vicini e di conseguenza la consistenza delle due specie decresce in maniera esponenziale.
E torniamo alla tua proposta di effettuare braccate nel parco. In questa fase e io te ne faccio un altra: fare fuori dal parco le stesse cose che si fanno dentro nei 9 mesi in cui la caccia è chiusa: catture, abbattimenti con la polizia provinciale, con cacciatori, con ditte specializzate. Se aggiungi questo a quello che fanno i cacciatori di cinghiale nei 3 mesi di caccia sono convinto che la densità si abbassa tantissimo.
Però si torna al punto di partenza: i cacciatori di cinghiale sono d’accordo con l’obbiettivo? E la regione Toscana competente per il territorio fuori dal parco?
Vedi Yuri, ribadisco di tecniche e di chi le attua si deve parlare dopo che c’è un obbiettivo condiviso e, come ti dicevo, eradicazione e forte riduzione necessitano delle stesse azioni.
Giampiero Sammuri
Tecnico faunistico






