Fin dalla generazione dei nostri genitori, in quella zona venivano fatte le sassaiole tra le bande rivali dei vari rioni della città vecchia (sempre il babbo di chi scrive - a causa di una di queste battaglie - ebbe la protesi al posto di un occhio). Le nostre guerre con i sassi durarono poco e alla prima “fica in capo” (ferita in testa) capitata se non sbaglio a Fabrizio Falcone o a Carlino, smettemmo.
Tutto sommato, posso affermare che con un morso di vipera, un braccio rotto, un paio di suture alla mano, un ancorotto da pesca “incicciato” nel braccio, “strofinoni” , “stianti”, “pattoni” e “braciole” varie (noi “bastardi”), gli anni del Grigolo per me sono stati meno traumatici di quelli del mio “vecchio”. Le battute di pesca venivano effettuate con ogni genere di stratagemma ingegnosamente inventato; i nostri genitori usavano fiocine e retini costruiti con il materiale inesauribile trovato a bordo dello zatterone tedesco, compresi i “nattelli” (galleggianti con sotto il pane e gli ami).
Noi dell’epoca successiva andavamo nella vicina ferramenta che indicavamo come dal Giuntini, dall'Altini o da Triolo, oppure nell'altra dei fratelli Diversi, che era un po' meno fornita di materiale da pesca, come del resto quella dell’insuperabile Marcello Celebrini lì a fianco. I tre negozi si erano perfettamente divisi la clientela. Nel primo entravano principalmente i pescatori; nel secondo coloro che si dedicavano ai vari lavori idraulici, alla produzione di vino, alla falegnameria, alle riparazioni di casa e all'acquisto del ghiaccio. I fratelli Diversi gestivano anche la “diacciaia” (fabbrica e rivendita di ghiaccio) proprio sotto il tunnel d’ ingresso al Grigolo. Il Celebrini era specializzato in forniture navali e marine. Per il materiale elettrico, da tempo chiusa la storica bottega del Filinesi in piazza della Repubblica, bisognava percorrere qualche centinaio di metri in più, fino ad arrivare nei pressi del molo Gallo, guarda caso proprio da uno che di cognome faceva Gallo!
L'unico attrezzo artigianale con il quale per un breve periodo ci siamo dedicati alla caccia subacquea dei “pescetti” un po' meno vivaci, tipo rombi, triglie, perchie, castagnole e verdoni, è stato l'archetto con frecce ricavato dai vecchi ombrelli rotti.
Ad essere precisi, la parte selvaggia e libera del Grigolo comprendeva due sottozone: quella dei sassi e quella “degli scogli” propriamente detta. La prima è costituita da una distesa (150 mt) di massi piccoli e medi che va dal muro di cinta della LNI fino a sotto l’angolo delle antiche mura. Lì tutto era più grande: dalle “lampade”(patelle) ai favolli (grossi granchi), passando per i ricci, le “sarpe” (salpe), i gamberi e i lombrichi; i muggini che si vedevano lì erano impressionanti, tutti a partire dal KG.
Tornando alla lunga e larga fila di sassi, questa era il regno degli amanti della pesca a bollentino (bolentino) o con la canna, comunque quella che si pratica dalla barca calando la lenza sul fondale. Quando le acque erano “secche” (bassa marea) il mare si ritraeva e “svoltolando” fra quelle pietre, in quell’eccezionale humus trovavamo lombrichi a volontà. Penso che non ci sia stato un pescatore portoferraiese che non sia venuto al Grigolo a “fare” i lombrichi! Qua e là si creavano delle pozze piene di gamberetti, anche quelli ottimi come esche.
Quel pezzo di spiaggia così scomoda per passarci qualche ora a non fare il bagno e per prendere più “Blecke” (catrame, da black in inglese) che sole era la preferita dal Maresciallo Casciello e dalla sua signora, che lì evidentemente stavano più in pace che nella zona più affollata, dove tuttavia spesso era possibile incontrarli. Di sporcizia in realtà non ce ne era traccia perché il buon Maresciallo la teneva perfettamente pulita. Osservandolo, ebbi la sensazione che adorasse quella zona proprio per la presenza di tutti quei sassi che con grande dedizione spostava di continuo creando delle vere e proprie piscinette naturali, dove metteva a bagno almeno i piedi.
Per divertimento e/o per gara, facevamo delle lunghe nuotate, passando davanti all’ex Comando Marina, ora sede della Capitaneria di Porto, fino ad arrivare nella Darsena, dopo esserci fermati per fare un tuffo dalla “muraglia” (un bastione rivoltato), residuo tuttora presente, delle macerie causate da più bombe che caddero in quella zona e che colpirono anche la Torre della Linguella o del Martello, che noi portoferraiesi spesso preferiamo chiamare di Passannante, in ricordo di uno dei due suoi più famosi reclusi nei tempi nei quali era adibita a prigione. Giovanni Passanante è stato l’anarchico che nel 1878 attentò alla vita del Re Umberto I di Savoia. Mentre Sandro Pertini - il nostro amatissimo Presidente della Repubblica - ci è passato negli anni Trenta, quando dal carcere di Pianosa (dove il fascismo lo aveva incarcerato a causa del suo forte impegno politico contro il regime) fu trasferito a Portoferraio per subire un altro processo nel quale era accusato di oltraggio ad una guardia carceraria.
Michel Donati