Fino a qualche mese fa, quando qualcuno parlava dell’ospedale dell’Elba, io e la mia compagna pensavamo – come tanti – che fosse un luogo carente, con servizi minimi e personale spesso in affanno. Non avevamo idea di cosa significasse realmente vivere una gravidanza, figuriamoci essere seguiti da un consultorio.
Nella nostra immaginazione, una donna resta incinta, poi scopre se è maschio o femmina, passa un po’ di tempo, si fa qualche visita e un giorno si rompono le acque, si corre in ospedale e si partorisce. Fine della storia.
E invece, la nostra storia è stata un’altra, molto più ricca e profonda, e oggi voglio raccontarla soprattutto per dire grazie.
Il primo giorno al consultorio ci siamo trovati di fronte a una domanda che ci ha colti un po’ di sorpresa: “Come pensate di affrontare la gravidanza? Privatamente o con noi?”
Non sapevamo bene cosa volesse dire “il percorso della gravidanza” e, di fronte a un bivio incui una scelta sembrava escludere l’altra, ci siamo sentiti spaesati e un po’ impauriti.
Abbiamo deciso di affidarci al Servizio Sanitario Regionale, soprattutto perché era il percorso “comune” e ci sembrava la cosa più naturale da fare, senza immaginare davvero cosa ci aspettasse. Solo col passare degli incontri abbiamo capito quanto fosse importante quella decisione: visita dopo visita, dalla primissima, avvenuta un mese e mezzo dopo il test di gravidanza abbiamo iniziato a capire quanto fosse importante quel percorso, accompagnati con una cura che non ci aspettavamo.
Il Dottor Angeletti, con uno sguardo che comunicava competenza e umanità, ci ha confermato ciò che il tampone diceva, ma non ci ha fatto gli auguri, ha preferito dire, con un’espressione che non dimenticheremo: “Gli auguri ve li faccio al terzo mese”. Un modo per trasmettere quanto sia delicata, fragile e preziosa la gravidanza, soprattutto all’inizio.
Poi il Dottor Gallo, che ha saputo spiegarci con chiarezza e anche ironia l’universo dei test prenatali, tra bitest, NIPT e analisi genetiche. Ricordo ancora come scherzava sul fatto che, essendo uomo, sembrava quasi incredibile che stessi seguendo e comprendendo tutto. Inpochi minuti, era riuscito a informarci, farci sorridere e tranquillizzarci.
Ricordiamo anche un medico che ci ha seguito all’ottavo mese per l’ecografia morfologica, di cui non ricordiamo il nome ma il volto sì. Aveva un tono severo e tecnico mentre dettava le misure degli organi della nostra bambina, ma a un certo punto è riuscito a inquadrarne ilviso e a scattare una foto. Ci siamo commossi entrambi. Anche questo, in un piccolo ospedale isolano.
Il consultorio è stato il cuore del nostro percorso. Silvia, Giusy e Debora ci hanno accolti e accompagnati come solo chi sa bene cosa vuol dire “cura” può fare. Visita dopo visita, hanno trasformato l’ospedale – luogo spesso associato a dolore, ansia, paura – in un ambiente sicuro, familiare, come un nido costruito pazientemente da una madre uccello, raccogliendo fili d’erba secca, capelli umani, pezzetti di stoffa rubati dai panni stesi. Un lavoro silenzioso ma costante, fatto di pazienza, ascolto attivo, intelligenza emotiva, empatia.
Concetti che conosco bene – quest’anno mi sono specializzato come insegnante di sostegno – e che ho visto applicare da loro con una aturalezza disarmante.
E poi ci sono stati i corsi preparto. Nonostante la stanza fosse piccola, le ostetriche hanno accolto la richiesta di alcuni babbi– me incluso – di partecipare almeno a una lezione sulle tre fasi del travaglio.
Di solito si pensa che queste cose riguardino solo le donne ma personalmente penso che, se davvero vogliamo parlare di parità, anche la nascita vada condivisa. La maternità non può essere un’esperienza da vivere in solitudine, gli uomini devono sapere, capire, esserci.
Forse, se tutti partecipassero a momenti come questi, ci sarebbero meno incomprensioni, meno abbandoni e chissà forse anche meno violenze e divorzi.
Poi è arrivato il grande giorno.
In sala parto abbiamo trovato Francesca e Valentina, ostetriche straordinarie, e con loro Ilaria, Gaia, Giorgia, Chiara oltre a tante altre infermiere che non possiamo nominare tutte, ma che sentiamo di ringraziare dal profondo.
Francesca ci ha accolti con dolcezza e determinazione. Ha preso una palla morbida e ha insegnato all’istante a Fabiana come gestire il dolore delle contrazioni, assegnandomi anche un piccolo ruolo: io, emozionatissimo, mi muovevo accanto a lei, partecipe e presente.
Valentina, attraverso esercizi di mindfulness, luci soffuse e rilassanti, ma soprattutto con una guida costante, flessibile, chiara, ha accompagnato Fabiana fino in fondo, lucidissima anche nel momento più intenso. A un certo punto ha detto: “Vedo la testa!”, e Fabiana che in quel momento aveva la potenza di una libecciata a fine estate, tra una spinta e l’altra, le ha chiesto urlando: “Di che colore sono i capelli?” alentina ha risposto: “Biondi come voi due!”
Io, guardando bene, ho fatto notare che sembravano neri, e lei ha riso: “Forse sono un po’ daltonica!” In quel momento abbiamo riso tutti e tre, nel mezzo della nascita. Pura vita.E poi, mi hanno fatto partecipare davvero, con le mani e con il cuore. Ho aiutato a far nascere Libera, 3 chili e 764 grammi di bellezza, nel modo più naturale e coinvolgente possibile. È stata un’esperienza che mi ha cambiato per sempre.
Accanto a noi c’era Monica, un’infermiera che conoscevamo già, moglie di uno dei migliori maestri di nuoto dell’isola. È stata fondamentale: nei primi attimi di vita della piccola ci ha spiegato tutto con chiarezza, dolcezza e una calma contagiosa.
Infine, la Dottoressa Ginecologa Landucci– riservata, presente, salda. Con il suo sguardo attento e la capacità di intervenire solo quando necessario, ha dato un senso di sicurezza e competenza che non dimenticheremo. Mai invadente, sempre precisa, ci ha fatto sentire in mani esperte. La sua è stata una presenza che ha completato, in modo perfetto, quell’equipe meravigliosa.
E ora che tutto è passato, mi chiedo: com’è possibile che una realtà così preziosa debba convivere con l’incubo dei tagli? Che per un cesareo, o per un problema anche risolvibile, molte persone debbano prendere l’elisoccorso? Che reparti importanti siano stati chiusi, spostati o svuotati?
Viviamo in un mondo in cui, anziché rafforzare ciò che cura – la sanità pubblica – si taglia, si svuota, si rinuncia.
E intanto, si continuano a finanziare guerre, armi, distruzione. Si nutre il cancro del mondo: l’industria bellica.
Ecco, oggi che sono diventato babbo, tutto questo mi fa ancora più rabbia.
Perché so quanto conta avere qualcuno che ti aiuta a nascere bene, con dignità, con rispetto.
E so che su quest’isola, questo è ancora possibile.
Grazie. A tutte e tutti.
Alessandro, Fabiana, Libera
(la foto è di Matteo Migliozzi)






