«Buongiorno, mamma!»
«Buongiorno.» La voce è incrinata, lo sento fin dalla prima consonante B. Lei non vive all'isola e da anni, da quando è rimasta sola, le telefono tutte le mattine, qualche volta anche a sera.
«Come stai?»
«Non tanto... così, così!»
E' triste, parliamo poco di noi. Questa volta, da alcuni giorni, ci sono argomenti più pressanti. Mi dice che sta male per quello che vede in TV, le immagini orrende di guerra rilanciate al mondo da telegiornali e corrispondenti di guerra.
«Ma poco dopo spengo» continua «ho già visto tutto: bombardamenti, gente che scappa, morti per strada, case e città ridotte a montagne di calcinacci.»
Lei le ha viste queste violenze, sentite le sirene, sentite le "botte" dei cannoni, le raffiche delle mitragliatrici e gli schianti delle bombe sganciate. Armi superate oggi. «Oggi è peggio» dice «hanno altre armi, ma il resto è uguale a quello che ho visto io».
Aveva dieci anni nel 1943, e addosso la sopravvenuta sfortuna - tra le tante di tutti gli altri - di abitare con i genitori e la sorella, più piccola di due anni, in un paesino dell'Abruzzo attraversato da una linea micidiale che tagliava l'Italia in due: la Gustav.
A sud di quella linea che Hitler fece fortificare in tempi strettissimi, c'erano gli Alleati che premevano; a nord le divisioni tedesche e la Repubblica Sociale Italiana, che non intendevano lasciarli passare. In mezzo c'era la gente, i civili, senza armi e con addosso e intorno le miserie pregresse che la guerra aveva portato ovunque. In quel paesetto abruzzese, dove nonno faceva "lu guardiabosche", come affettuosamente lo chiamavano gli abitanti, la vita era diventata quasi una scommessa. Fuggire verso sud, andare incontro agli Alleati comportava quasi sempre la possibilità di saltare in aria sui campi minati o la fucilazione, senza tante cerimonie, per mano nazi-fascista. Prendere verso nord significava correre il rischio di essere catturati e deportati, o incorrere nelle incursioni aeree alleate che martellavano le retrovie tedesche.
Ma restare sulla Gustav era sicuramente le scelta peggiore.
Nonno e nonna a piedi, con un cavallo e le due bimbe di dieci e otto anni in sella (mamma e zia), partirono i primi di dicembre '43, di notte, in direzione della Toscana, verso la loro famiglia, verso la libertà e una nuova vita... ammesso e non scontato di riuscire a conservarla. E di notte viaggiarono. Neve e ghiaccio, temperature siberiane tra valichi e valli dell'Appennino, stenti e fame, furono i compagni di viaggio per oltre cinquecento chilometri. Arrivarono a destinazione poco meno di un mese dopo, riconosciuti da nessuno tanto erano miserabili le loro condizioni, con indosso tutto ciò che possedevano, vita inclusa. E questo era già andato oltre ogni ragionevole aspettativa. Strada facendo avevano incontrato morte e distruzione, gente fucilata, una donna con in braccio una bimba piccolissima che non avrebbe mai visto la fine di quella atrocità che si chiama guerra. Ovunque era devastazione. Ma non mancarono gesti di solidarietà, in tempi in cui un umile pezzo di pane può fare la differenza.
Viste da lontano potevano sembrare Maria, Giuseppe e due Gesù bambine su un cavallo, con qualche coperta logora come unico riparo, quasi niente da mangiare, e tanta paura nelle bimbe che nonno cercava di contenere con tutto ciò che aveva: mitezza, bontà d'animo, buon carattere e la forza che gli veniva spontanea, con nonna, a sostenere quell'insieme che somigliava in tutto e per tutto ad un incubo. Invece era tutto reale.
Come tutto è reale, di nuovo, ancora, oggi. Quelle immagini di violenza scorrono con rinnovato orrore sugli schermi televisivi di questi giorni, modernizzate ma simili a otto decenni fa; occupano la gran parte dei notiziari, raccontano storie allucinanti... come nessuno avesse mai scritto (o letto) un solo libro - uno solo - di storia dal quale imparare qualcosa.
Immagini che impattano fortemente sulla nostra percezione di ciò che accade non lontano da noi, immagini che coprono e cancellano gesti ordinari, quotidiani fino ad appena una settimana fa.
Immagini alle quali - dice mamma - non ci si deve assuefare per la frequenza con cui ci vengono proposte, non ci si deve abituare alla sofferenza e alla disperazione altrui. Lei lo sa.
«Non li guardo più i TG» dice quando ci salutiamo «ho già visto tutta quella gente». Ma so che non è così, lo capisco quando la richiamo la mattina seguente.
Da un lato proclami, rivendicazioni (!?) e colonne di carri che occupano città e centrali nucleari, dall'altra - semplificando - civili resistenti che non si arrendono e trasformano bottiglie di birra in Molotov.
Da un lato si arrestano - bambini inclusi - manifestanti armati di pericolosissimi cartoncini con su scritto a colori NIET VOINE, dall'altra alcuni civili danno da mangiare e da bere ad un soldato russo che ha abbandonato la follia, e lo fanno telefonare a casa (sua, in Russia).
Un paio di giorni fa ho incontrato una persona che non vedevo da tempo; dopo i veloci saluti il tema è andato lì. Io che ascoltavo e lui che tentava - con un'appena decente cenno d'imbarazzo - di portare qualche ragione in favore dell'invasore. Be', a mio modo di vedere - ho risposto - se anche ne avesse avute (!?), di sicuro le ha irrimediabilmente buttate nel secchio quando ha dato l'ordine di varcare i legittimi confini di un libero Stato con i carri armati. Carri armati e "ragioni" (reali o presunte), secondo me, non s'incastrano. Oggi meno che mai.
Stamani poi, a conferma delle "ragioni", ho assistito ad un pedagogico - si fa per dargli aggettivo - cartone animato rilanciato dai TG col il quale si tenta, colà, di educare i bambini all'odio propagandando falsa giustizia. Guardatelo! Brutto nella grafica, orrendo nel messaggio, un lavaggio cerebrale con candeggio che spero scateni l'opposto risultato.
Quanto alle minacce nucleari poi m'è parso illuminante un piccolissimo post apparso su quel sottuttoio di Facebook. Dice così:
"La formica, che odiava lo scarafaggio, votò per l'insetticida. Morirono tutti quanti, anche il grillo che si era astenuto".
Semplice e diretto!
Qualcuno poi si è soffermato un attimo a riflettere che stiamo vivendo in un sistema in cui il sostantivo maschile "allarme" tiene il timone delle nostre esistenze?
Allarme cambiamenti climatici, allarme frane, alluvioni, siccità, allarme virus, allarme inquinamento atmosferico, allarme estinzioni, allarme riserve dei mari, allarme prezzi, allarme rifornimenti, gas, energia, alimenti, allarme nucleare... allarme, allarme, allarme...
Ma non sarà che abbiamo sbagliato qualcosa?
Sarà mica colpa di Wegener, di Holmes, della Tettonica o di Darwin?
Ah, a proposito, dimenticavo: l'Ucraina possiede all'incirca il 5% delle risorse minerarie dell'intero pianeta: carbone, gas, petrolio, ferro, manganese, uranio, titanio, mercurio, oro, grafite... Di questi tempi si sa, la geopolitica, che si è fatta molto "Geo", cambia orizzonti, cambia la testa e ciò che non contiene.
NIET VOINE, no alla guerra. E questo non è uno slogan, e neanche un consiglio, ma una conditio sine qua non!
Perlomeno io la penso così poi voi dite la vostra fino a quando si può!
Nicola Gherarducci






