I razzismi “storici”, e l’antisemitismo fra di essi, sono sempre stati e sono ancora oggi pretesti per giustificare comportamenti che hanno la loro origine in interessi prevalentemente economici assolutamente privi di motivazioni accettabili. Si evoca, cioè, una “diversità” insussistente di un gruppo, di un popolo, di una cultura, fondando su quella presunta diversità la necessità di proteggersi, di difendersi, o di aggredire con azione preventiva. Prima sul piano culturale, coniugando “diversità” e paura; poi agendo direttamente sul piano repressivo e in ogni caso conflittuale.
Ma tutto ciò appartiene alla “narrazione” strumentale, assolutamente senza alcun fondamento scientifico. E, per paradosso, alla stessa “narrazione” appartengono anche le mozioni contrapposte: antirazzismo, antisemitismo, tolleranza, inclusione -quando siano invocate come comportamenti “virtuosi” e non, secondo logica, come obiettivi di una “normalità” da ripristinare.
Tutto questo per dire che trovo inaccettabile l’accusa -in questi tempi ricorrente- di antisemitismo rivolta a chi critica i comportamenti criminali del governo dello Stato di Israele nel territorio palestinese di Gaza. Si può esercitarsi a volontà nel ricercare le reciproche ragioni e i reciproci torti dei contendenti; stigmatizzare l’azione terroristica di Hamas del 7 ottobre; o ricordare per converso che alla sua remota ma non eludibile origine sta l’occupazione cinquantennale di altri territori palestinesi da parte dello Stato di Israele al di fuori di quelli assegnati dalle risoluzioni dell’ONU. Con esse l’ONU ne aveva sancito la nascita, e con equivalenti risoluzioni aveva chiesto la fine di quella occupazione. Ma i pregiudizi ideologici ci porterebbero lontano dalla realtà.
Una realtà terribile, fatta da decine di migliaia di morti, da distruzioni e da devastazioni, da violazioni non solo di leggi condivise dalla Comunità internazionale, ma anche raccapriccianti per chiunque si soffermi a guardare. Una realtà voluta e realizzata da deliberazioni di un governo irrefrenabile nella sua barbarie; di un governo riconosciuto dai governi di altri Stati, fatto da uomini che devono pur essere responsabili delle loro decisioni e azioni di fronte agli altri popoli e agli altri Stati.
Gaza è diventata come Varsavia nel 1944. Come Marzabotto, come Stazzema, come le Ardeatine, come tanti luoghi tragicamente presenti alla nostra memoria che ci vengono in mente guardando ai metodi e alle modalità dell’occupazione e della distruzione di quella terra palestinese: assalti a civili, uomini donne e bambini con la sola colpa di essere a portata dell’esercito occupante; case, palazzi, scuole, ospedali le cui immagini di distruzione richiamano quelle dell’occupazione nazista alla fine della Seconda guerra mondiale, con analoghi episodi di dissennata violenza già allora vista e narrata dai testimoni.
Il governo che ha voluto e deciso questo è il governo dello Stato di Israele, e il suo capo Benjamin Netanyahu ne porta intera la diretta e personale responsabilità. La chiamata a correo di chi lo ha democraticamente eletto non scagiona né lui né il suo governo -che peraltro non manifestano alcuna inclinazione a essere scagionati-, e semmai contamina chi, certamente sapendo -come gli abitanti dei paesi circostanti i “lager” tedeschi- si è girato dall’altra parte o è comunque rimasto silente. Allora i Nazisti dicevano che i deportati erano “ebrei”, caricando quel termine di un significato di disprezzo che si manifestava con la stella gialla che erano costretti a portare: ma era un facile pretesto accampato in nome di una “difesa della razza” che oggi ci appare in tutta la sua artificiosità strumentale. Oggi i discendenti dei martiri dei lager, con al collo catenine con la medesima stella, invocano l’appartenenza a una “razza” per la quale chiedono protezione -d’onde l’accusa di “antisemitismo” rivolta a chi critica il governo dello Stato di Israele-, con una identificazione confusa fra appartenenza religiosa e cittadinanza, che si ritrova solo negli Sati islamici e -con le debite differenze- nella Città del Vaticano.
Non si cerchino pretesti: ciò che accade oggi a Gaza, ciò che accade nei territori palestinesi, al di là di ogni nominalismo, è la tragedia di un delitto contro l’umanità. Chi tace per tatticismi politici e ideologici, chi rinvia, chi ne attenua la portata, ne condivide la responsabilità, siano Stati o individui. Non c’è più tempo per tacere ancora. Quella tragedia va fermata. Poi si potrà, e si dovrà, discorrere su ragioni e torti, su soluzioni, su nuovi assetti. Ma ora deve cessare la spirale di morte. Prima che il dissenso, l’esecrazione, la condanna di chi vede la tragedia consumarsi si trasformi davvero in odio per chi quella tragedia ha voluto e perpetrato: e non gli “ebrei” -che nel discorso politico non esistono- ma gli abitanti dello Stato di Israele.
Luigi Totaro






