Ancora una volta, il gruppo Amnesty dell'Isola d'Elba ha promosso, questa volta in vista dei referendum dell'8 e 9 giugno, un interessante incontro sul tema della cittadinanza.
A parlarne, tra un brano e l'altro dei chitarristi Francesco Porro e Alessandro Beneforti, sono convenuti al Forte Inglese l'ANPI Isola d'Elba con il Prof. Marco Ambra, l'Associazione Insieme per l'Elba con la Dott.ssa Stefania Di Chiara, ed un giovane brasiliano di origine italiana da poco residente all'Elba e da poco cittadino italiano.
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Proprio da Francesco Galli Rodrigues, nato a San Paolo, Brasile, nel 1997 è giunta una testimonianza diretta - che ci fa qui piacere condividere- sullo stato d'animo di un giovane che aspira ad avere gli stessi diritti dei propri coetanei nel Paese in cui vive. Parole che si integrano con le utili informazione degli altri interventi - tesi a chiarire come le restrittive condizioni in vigore per ottenere la cittadinanza resteranno in vigore con il SÌ al quesito referendario, che chiede soltanto di ridurre da 10 a 5 gli anni necessari ad ottenerla, allineandoci così agli altri Paesi Europei.
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Di seguito le parole di Francesco Galli Rodrigues, che ringraziamo, arrivato in Italia nel giugno dello scorso anno e che a settembre aveva ottenuto la cittadinanza.
La cittadinanza italiana come strumento di inclusione
Buonasera a tutti,
Vorrei iniziare ringraziando Amnesty International per questo spazio di dialogo e riflessione. È un onore poter condividere qui con voi la mia esperienza.
Mi chiamo Francesco Galli Rodrigues, ho 28 anni, brasiliano per nascita e italiano per scelta. Mio nonno è nato a San Piero e circa un anno fa ho deciso di venire a vivere qui. È stata una scelta personale, ma anche politica: un gesto di riconnessione con le mie radici e di costruzione di un nuovo senso di appartenenza.
Per quanto riguarda la cittadinanza, ho avuto fortuna — è stato un processo molto veloce, fluido e senza alcun tipo di interferenza o giudizio di valore. Ero inizialmente preoccupato di poter subire qualche tipo di danno intenzionale durante il percorso e anche di dover affrontare una burocrazia molto più complessa di quanto avessi già visto. Ma in realtà è stato esattamente il contrario.
Sono stato ben orientato e trattato con rispetto. Tutte le persone con cui ho interagito hanno accolto la mia richiesta in modo molto più positivo di quanto mi aspettassi, senza resistenze. Questo mi ha fatto sentire davvero accolto — un sentimento importante, e purtroppo non scontato. Per questo ringrazio anche il Comune di Portoferraio. Ma so che non è così per molti altri stranieri: il percorso può essere lungo, confuso e, spesso, diseguale. E questo deve cambiare.
La cittadinanza non dovrebbe essere solo un diritto individuale, ma anche un’opportunità collettiva.
L’Italia sta vivendo una profonda crisi demografica. Nel 2023 il Paese ha registrato il numero più basso di nascite della sua storia. La popolazione sta invecchiando rapidamente e, allo stesso tempo, mancano professionisti in settori chiave come la sanità, l’agricoltura, la tecnologia e l’istruzione.
Gli immigrati e i discendenti di italiani possono essere una risposta concreta a questa sfida — non come minaccia, ma come risorsa. Persone che arrivano per lavorare, studiare, pagare le tasse, curare, creare. Persone che vogliono contribuire.
E contribuire non solo economicamente, ma anche culturalmente.
Gli immigrati non portano soltanto forza lavoro: portano visioni, esperienze, modi diversi di pensare e di vivere.
Come brasiliano, porto con me una ricca eredità culturale: la lingua, la musica, la cucina, il modo di relazionarmi. E qui ho trovato un popolo con cui condivido molto più di quanto immaginassi: l’affetto, la tavola imbandita, il valore della famiglia, la creatività.
Questo scambio quotidiano tra persone di Paesi diversi è una delle grandi ricchezze dell’immigrazione: ci permette di conservare le nostre culture nel profondo di ciò che conta, mentre costruiamo nuove connessioni e ponti tra le nostre nazioni. Uno scambio che fa crescere tutta la società.
Avere la cittadinanza mi ha dato sicurezza giuridica, libertà di lavorare e studiare in tutta l’Unione Europea e pieno accesso ai servizi pubblici.
Mi è già capitato di dover andare due volte al pronto soccorso — e sono stato curato con dignità, senza dover pagare nulla. Venendo da un Paese dove la sanità pubblica affronta tante difficoltà, questo fa davvero la differenza.
Inoltre, posso votare, partecipare alla vita politica e pianificare un futuro con maggiore stabilità — per me e, un giorno, anche per la mia famiglia.
Per questo credo che facilitare l’accesso alla cittadinanza sia un investimento per un futuro migliore per tutti. Ridurre il tempo di naturalizzazione da 10 a 5 anni, per esempio, è una proposta concreta e giusta.
La cittadinanza è sì un legame, ma è anche un atto di riconoscimento. Riconoscere chi è già qui, chi contribuisce, chi vuole partecipare — significa rafforzare la democrazia, l’economia, la società.
In fondo, se guardiamo indietro nella storia, tutti noi siamo stati migranti, prima o poi.
Se oggi sono qui a parlare con voi, è perché mio nonno — dopo la guerra — lasciò l’Italia come rifugiato, come immigrato, e trovò in Brasile una casa che lo accolse a braccia aperte.
L’Italia ha conosciuto l’emigrazione come pochi altri Paesi al mondo. Milioni di italiani sono partiti in cerca di una vita migliore, e il Brasile è diventato la patria della più grande comunità di origine italiana nel mondo.
Ricordare questo passato non è solo un esercizio di memoria: è un modo per costruire un presente più giusto e un futuro più umano.
Per concludere, il riconoscimento della mia cittadinanza italiana non ha cambiato solo il mio status legale, ma ha trasformato il modo in cui mi vedo nel mondo. Mi ha dato appartenenza, dignità e nuove possibilità.
Ed è proprio questo che spero possano vivere sempre più persone stranieri.
Grazie di cuore.






