Ho letto con interesse l'articolo dell'ex Presidente PNAT Giampiero Sammuri relativo al rapporto fra Parchi, conservazione e difesa della biodiversità e rapporti con il mondo venatorio.
L'amico Giampiero è ovviamente un esperto della materia, e forse l'unica cosa che non condivido è a causa del titolista... ciononostante mi permetto alcune osservazioni, riferite principalmente al caso Cinghiali sulla nostra isola.
I Parchi nazionali nascono, in epoche in cui la caccia costituiva una importante risorsa alimentare, proprio per tutelare alcune specie animali che il prelievo venatorio illimitato aveva portato sull'orlo dell'estinzione: si pensi al primo Parco italiano, quello del Gran Paradiso, nato per salvaguardare gli ultimi Stambecchi alpini. E' quindi pacifico che, in linea di massima, la caccia sia la prima attività antropica a venire vietata in un'area protetta.
Alla fine degli anni 50, le popolazioni di ungulati, protetti quasi solo - appunto - nei 4 Parchi Nazionali storici, era ridotta ai minimi termini in tutti i territori "liberi". Tanto che a partire da allora, iniziano intense campagne di "ripopolamento" (vedi anche i "nostri" Cinghiali e Mufloni) che riportano, o semplicemente portano, svariate specie di ungulati nei boschi di tutta la penisola. Negli anni 70, abbiamo le prime leggi a tutela della fauna e da allora, un mix formato dall'istituzione di nuove aree protette, campagne di sensibilizzazione da parte delle nascenti associazioni ambientaliste, diminuzione costante dei cacciatori e riduzione dell'importanza alimentare delle pratiche venatorie ha permesso una crescita esponenziale di tutte le specie selvatiche, solo parzialmente equilibrate dal contemporaneo accrescimento della presenza di predatori come il Lupo e dalla reintroduzione di Linci e Orsi in alcune zone.
Il risultato è che oggi abbiamo delle popolazioni di ungulati molto diffuse e consistenti, il che è un bene, ma per contro, specie nelle aree protette, spesso si assiste a una sovrabbondanza di animali con conseguenti danni agli ecosistemi naturali che solo l'intervento umano può contrastare.
E qui arriviamo alle affermazioni di Giampiero. Come intervenire? Di fatto, l'unico modo possibile è la caccia. Che può essere effettuata con gabbie, trappole o fucili, ma sempre di caccia si tratta, anche quando è finalizzata alla cattura di animali vivi, e anche quando effettuata da soggetti istituzionali o da terzi appositamente autorizzati. Come giustamente dice Sammuri, i cacciatori sono però, almeno nel "loro" territorio, naturalmente portati a mantenere una popolazione di potenziali prede il più abbondante possibile, onde non precludere i risultati delle future cacciate. In buona sostanza, bene quando si tratta di caccia di selezione, finalizzata al mantenimento di una popolazione ottimale e in salute, ma male in casi, come qui all'Elba, dove lo scopo finale è quello della totale eradicazione o perlomeno di una riduzione drastica dei soggetti presenti sia in area protetta che fuori.
E quindi, come procedere? Beh, di fatto la tattica di Sammuri assomiglia un po' a quella attuata dal governo cinese durante le drammatiche giornate di piazza Tienanmen: mandare soldati di regioni remote, che parlavano altre lingue, a contrastare con la forza le proteste degli studenti di Pechino.
Nel nostro caso, assoldare (non so se gratis o a pagamento) cacciatori provenienti dal continente per sterminare Pernici e Fagiani a Pianosa (tralasciando la triste vicenda Lepri...) o gli ultimi Mufloni rimasti al Giglio. E la linea è la stessa anche nel tanto decantato (e costoso, per quanto privo di qualunque reale piano operativo e basato su numeri di fantasia) "Piano di eradicazione" presentato l'anno scorso: 50 cacciatori prezzolati (250€ al giorno per 80 giorni di caccia all'anno per cinque anni) - non è chiaro selezionati in base a cosa, ma se si considera che gli "esperti" redattori hanno caldamente raccomandato che persino le spoglie siano inviate fuori dall'isola... è lecito pensare che non si vogliano coinvolgere cacciatori elbani.
I cacciatori, quindi, autoctoni o alloctoni che siano, risultano comunque determinanti quando si tratta di eradicazione o fortissima riduzione delle popolazioni.
Ma vediamo un po' i costi. In maniera molto approssimativa, possiamo dire che negli ultimi anni il Parco e i cacciatori hanno eliminato circa 1000 cinghiali all'anno, equamente distribuiti. Ma mentre il Parco paga per far gestire le catture (mi pare di aver letto di 260.000€ per l'ultimo anno conosciuto: 2/300€ a cinghiale/muflone?), i cacciatori operano gratis. Nel sopracitato Piano, si ipotizza grosso modo un costo per le finanze pubbliche vicino ai 1000€ a cinghiale. E' logico, quando sappiamo che c'è chi lo farebbe gratis (se non addirittura pagando)?
Considerando che anche gli esperti non vedono troppe problematiche nell'utilizzo della caccia in braccata per realizzare i piani di eradicazione, verrebbe da dire che la prima mossa da compiere per cominciare a ridurre il problema cinghiali sarebbe quella di autorizzare e organizzare da subito (novembre) una nutrita serie di braccate anche nel Parco, coinvolgendo i cacciatori locali anche in veste di "guide" e ovviamente "invitando" anche squadre da fuori, che probabilmente verrebbero di corsa e a costo zero. Se tre sole squadre, operanti fuori Parco - e quindi in gran parte fuori dalle zone più appetibili per gli ungulati - riescono a prendere 500 esemplari, è facile immaginare che raddoppiando o triplicando la pressione venatoria la riduzione sarebbe così massiccia da eliminare in una sola stagione (magari allungata in deroga fino a febbraio e implementando comunque le catture coi chiusini nei pressi delle zone antropizzate) gran parte del problema. Poi, quando si saranno definiti i contrasti politici e si saranno trovati i fondi, ben vengano i professionisti delle eradicazioni con i loro droni, i Cinghiali-Giuda, gli esperti in comunicazione e tutto il resto delle truppe specializzate.
Chiosa: cercare un accordo coi cacciatori è indispensabile ed economicamente conveniente. Una contrapposizione a muso duro può solo portare a delle difficoltà nella risoluzione dei problemi faunistici se non ad atti di boicottaggio certamente poco desiderabili. Partendo dal territorio, e tenendo conto che per molti, avanti con l'età, sarà comunque un'occasione per sparare letteralmente le ultime cartucce, mentre per i più giovani sarà forse un anticipo della caccia del futuro, in accordo con la conservazione, molto tecnica e indirizzata più alla qualità che alla quantità.
PS: in Svizzera, nel Canton Vallese, è stato recentemente programmato un abbattimento selettivo di 600 Stambecchi. Un po' come, anni fa, era successo per le Capre di Montecristo. Solo che, mentre da noi è stato necessario spendere soldi per farle abbattere da personale statale, lì ci si è affidati ai cacciatori, anche stranieri... ma per abbattere un maschio anziano (che presumibilmente sarebbe comunque morto a breve) bisogna pagare oltre 26.000€. Risultato: domanda che supera l'offerta, e introiti cospicui a tutto vantaggio delle comunità locali e della salvaguardia ambientale.
Yuri Tiberto (ex consigliere PNAT)






