Poco tempo fa mi rivolgevo apertamente alla signora Elisabetta Vannucci chiedendo una risposta franca - e sul merito - alla domanda sul perché si fosse scelto di rendere di fatto inaccessibile al pubblico la spiaggia delle Fornacelle, privandone gran parte della cittadinanza dal godimento. Lo chiedevo perché in questa vicenda è necessario andare oltre ragionamenti formalistici che sono peraltro strettamente collegati al suo erroneo inquadramento come controversia tra privati - inquadramento purtroppo favorito dall'approccio di basso profilo dell’amministrazione comunale. Come dimostrano i numerosi interventi che si sono susseguiti nelle scorse settimane e mesi, gli interessi coinvolti sono ben più estesi. A questo riguardo, segnalavo in quell’occasione che quella spiaggia è una delle poche, se non l’unica del versante orientale, a prestarsi alla fruizione da parte di bimbi piccoli, e questo per diversi motivi non ultimo il fondale basso. Per questa semplice ragione chiedevo una dichiarazione pubblica, trasparente, su quali fossero i motivi reali che avessero spinto a mettere in questione tale palese interesse pubblico.
La risposta alla mia richiesta è stata insoddisfacente, reiterando la retorica della legalità: «mi spiace tanto per i suoi bimbi che dovranno camminare un po’ a piedi – scrive la signora Vannucci – ma come si può pretendere che la comodità prevalga sulla legalità?». Questa affermazione non risponde alla mia domanda anzitutto perché in gioco, come mi pare sia chiaro dalla mia lettera, non è la comodità, bensì la possibilità stessa per alcune categorie di cittadini – quelle più vulnerabili come bimbi piccoli, anziani, disabili – di accedere a una spiaggia che per loro è particolarmente adatta per le ragioni esposte. Prendo atto che alla signora Vannucci spiace tanto per bimbi, anziani e disabili, ma appunto non si tratta di camminare un po’ a piedi, bensì di non poter affatto raggiungere la spiaggia.
In secondo luogo, si parla di legalità. (Uff…). Ma che cosa è la legalità? Qualunque studente universitario sa bene che legalità di per sé non è un valore assoluto perché non ha contenuto alcuno se non la si qualifica in funzione degli interessi che la stessa intende soddisfare. Comprendo che le decisioni del giudice amministrativo si sono limitate a risolvere una questione di legalità formale nel perimetro dei quesiti che sono stati loro posti, ma queste non sciolgono in alcun modo il conflitto esistente tra le azioni di un privato che hanno reso di fatto inaccessibile una spiaggia ad ampie porzioni della cittadinanza e soprattutto a categorie vulnerabili della stessa e l’interesse pubblico a un accesso alla spiaggia esistente da lungo tempo. La nozione di legalità è come un coltello: strumento utilissimo se si vuole tagliare una fetta di pane, ma pericolosissimo se usato in maniera non adeguata. Ce lo insegna la storia dei secoli scorsi ma ancor prima la logica.
C’era in effetti un tempo in cui uno dei prodotti più alti della cultura giuridica europea, la Costituzione di Weimar del 1919, recitava all’articolo 153: «La proprietà obbliga». Per i costituenti tedeschi, la proprietà non era un diritto assoluto, ma comportava doveri e responsabilità verso la società. Non si trattava, beninteso, di un testo costituzionale comunista né socialista, tanto che la stessa Costituzione di Weimar, oltre a riconoscere il diritto di proprietà, si preoccupava che lo Stato promuovesse «con la sua attività legislativa e amministrativa lo sviluppo della classe media indipendente» e la proteggesse «dall’eccessivo carico tributario e dall’assorbimento in altre classi» (art. 164). L’obiettivo era quello del contemperamento di interessi, alla luce dell’interesse pubblico.
Con la mia domanda alla signora Vannucci non miravo a tanto. Il contesto storico è pur differente. Miravo solo a ricevere una spiegazione pubblica e trasparente delle ragioni che hanno portato un privato a rendere di fatto inaccessibile una spiaggia alle categorie più vulnerabili della cittadinanza. Delle risposte finora ricevute e della vicenda delle Fornacelle l'impressione (che spero ancora possa essere contraddetta dalla signora Vannucci) è che dagli ideali di Weimar ci separano un centinaio di anni, ma non in avanti bensì indietro: quelli della prima metà dell’800, quando il più grande poeta romanesco, Gioacchino Belli, coniava una famosa frase ripresa da Monicelli nel Marchese del Grillo...
Simone Benvenuti






