Oggi si apre ufficialmente la COP 30 in Brasile a Belém (Stato del Parà) in Amazzonia ed il cerchio si chiude. Infatti tutto nacque con la Conferenza di Rio del 1992, ormai 33 anni fa! Si prese coscienza della responsabilità della civiltà moderna (soprattutto occidentale) sui cambiamenti climatici e, quindi, della responsabilità dei Paesi maggiormente produttori di energia nei confronti dei Paesi del “terzo mondo”. Fu stabilito un risarcimento economico da quantizzare.
Ogni anno dal 1995 ci fu una COP nella quale fare un piano per arginare gli effetti della produzione di energia da fonti fossili direttamente relazionata alla quantità di CO₂ rilasciata in atmosfera e causante l’effetto serra in più di quello causato dal vapore acqueo. Tale effetto fa innalzare la temperatura dell’atmosfera e, quindi, l’energia delle masse d’aria che si scarica con violenti fenomeni atmosferici. Inoltre la temperatura del mare aumenta recando danni all’ecosistema. Ciò detto in breve.
L’entusiasmo manifestato nelle prime COP è, via via, diminuito ed ora lo scetticismo ha preso posto in tali riunioni.
Rilevanti, tra le varie COP, sono state quella di Kyoto (1997) e quella di Parigi (2015).
Nella COP 3 di Kyoto fu deliberato un importantissimo protocollo (entrato in vigore nel 2005) da cui nacquero i “certificati verdi” (in Europa EUETS) che erano come azioni legate a quanta CO₂ in meno producevano le aziende rispetto ad un valore ad esse assegnato. Le aziende meno virtuose potevano comprare tali azioni (valutate su di un mercato apposito) per mettersi in regola con il proprio “asset” di emissioni. Personalmente non so quale sia stato l’effetto di tale iniziativa, so che i ppm (parti per milione ossia circa mg per metro cubo di aria) sono al 2024 : 425.68 all’osservatorio di Manua Loa (Hawaii) ed aumenta di circa 2,3 ppm ogni anno. Prima della rivoluzione industriale c’erano 280 ppm.
Oggi i certificati verdi sono diventati “bianchi” e legati all’efficienza con cui ogni azienda tratta l’energia.
Altra importante COP fu quella di Parigi (COP 21) del 2015 dove con un famoso “accordo” fu preso un impegno a mantenere l’innalzamento della temperatura dell’atmosfera sotto i 2 ⁰C (possibilmente 1,5 ⁰C) alla fine del presente secolo rispetto all’era preindustriale ( media anni 1850-1900).
Purtroppo tale innalzamento (1.5⁰C) è già stato raggiunto nel 2024 e, quindi, già superato.
Purtroppo le cose non sono andate come sperato e mi ricordo la “favola” della Von der Leyen che, alzate le braccia al cielo, asseriva: emissioni 0 nel 2050.
Una nota importante: nella conferenza di Rio, la Cina era considerata un Paese in via di sviluppo e, quindi, non soggetta a penalità.
Come al solito anche la COP 30 inizia con proclami altisonanti; Lula da Silva ha riunito preliminarmente alcuni capi di Stato (non molti in verità) ed ha lanciato il progetto TFFF (Tropical Forest Forever Facility) che disporrà di almeno 5 miliardi di dollari per curare ed incrementare le foreste nel mondo (naturalmente parlava in Amazzonia!).
Dall’altro canto l’Europa ha raggiunto un accordo, tra i vari paesi membri, per un impegno a ridurre le emissioni tra il 66,25% ed il 72,5% entro il 2035 rispetto ai livelli del 1990 e del 90% entro il 2040 usufruendo, però, di un 5% di “crediti di carbonio” (impiantando ad esempio foreste nel terzo mondo).
Il Governo Italiano intende rilanciare l’uso di biocarburanti (da vegetali) sfruttando anche il Piano Mattei.
Già alla COP 29 a Baku (in un Paese produttore di petrolio) si era finito con vari contrasti sulle iniziative da prendere.
A mio giudizio, purtroppo, sono molte le contraddizioni su quanto viene detto e quanto viene fatto. I problemi economici prevalgono sui temi ambientali; con il denaro si ha il potere ed il mondo si avvia verso un buio futuro. A cominciare da Lula da Silva, il quale è stato contestato dagli ambientalisti brasiliani per l’autorizzazione data a perforare il fondo marino al largo dell’Amazzonia in vista dello sfruttamento di un grande giacimento di petrolio. Anche per quanto riguarda la deforestazione, Lula ha continuato (non so in che misura) quella iniziata dagli agricoltori ai tempi di Bolsonaro e molto propagandata dai media. Qui una mia osservazione generale; giudicate la validità. La popolazione mondiale è passata dai 3 miliardi degli anni ’70 agli 8 miliardi attuali; 5 miliardi in più di bocche da sfamare ed energia in più per farli vivere in modo decente ( non dico a livelli occidentali). Si sono fatti i conti?
Per alimentare una persona onnivora è stata stimata che serve un’area coltivata di circa 5000 mq ( 1800 – 2000 se vegetariana). Ciò vuol dire che servono in più 2,5 miliardi di ettari non certo a bosco ( 25 milioni di Km²). Il bosco ceduo serve per energia principalmente (legna). Questo per fare i conti “a palmi” come si dice e per avere ordini di grandezza. Non parliamo, poi, dell’energia occorrente, il cui conto è un po’ più complesso e non voglio tediare. A proposito, altro grande tema: chi produce gli impianti ad energia “rinnovabile” e le macchine “ecologiche”?
La gente deve lavorare per avere i soldi per mangiare!
Nell’era della globalizzazione abbiamo affidato principalmente alla Cina la produzione di quasi tutto; basta vedere le etichette dei prodotti. Gli Stati Uniti si sono salvati , per il momento, con l’informatica; noi in Europa siamo in crisi e stiamo contando sempre meno nel contesto mondiale. Basta vedere quello che sta succedendo nel campo automobilistico. Per questi motivi c’è una marcia indietro nelle questioni ecologiche: la gente deve mangiare oltre che avere un’aria più sana!
In Italia ci butteremo prevalentemente sul turismo e diventeremo “il giardino del mondo” come lo eravamo nel medioevo per l’Impero? Può essere una soluzione da semi terzo mondo: arte, cucina e moda!
Se ne potrebbe parlare a lungo. Stiamo a vedere cosa succede alla COP 30.
Giampaolo Zecchini






