Il 21 novembre 2025, il MASE ha annunciato con toni trionfalistici la sesta revisione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, definendo gli esiti “estremamente positivi”. La realtà dei numeri racconta una storia completamente diversa: la dotazione finanziaria per le Comunità Energetiche Rinnovabili è stata tagliata da 2,2 miliardi di euro a soli 795,5 milioni, una riduzione di circa il 64%.
Il comunicato ministeriale parla di misure “messe in sicurezza” per rispettare le scadenze europee del 30 giugno 2026. Ma nessuno si è preoccupato di mettere in sicurezza le aziende che in questi anni hanno investito risorse, formato personale specializzato e costruito competenze specifiche proprio su quegli incentivi.
Come evidenzia PuntoCER – Punto di riferimento per le Comunità Energetiche Rinnovabili, «Quando nel 2024 è stato pubblicato il Decreto CACER, centinaia di aziende in tutta Italia hanno creduto nelle prospettive di sviluppo del settore. Hanno assunto tecnici specializzati, creato reparti dedicati alle CER, investito in formazione continua, sviluppato know-how su normative complesse e procedure burocratiche articolate.
Queste realtà imprenditoriali non si sono limitate a guardare al presente: hanno pianificato il futuro basandosi su un quadro di incentivi che sembrava solido. Hanno fatto scelte strategiche, spesso coraggiose, per posizionarsi in un mercato che veniva presentato come prioritario per la transizione energetica del Paese».
Giovanni Montagnani, presidente Cer Vergante Rinnovabile, evidenzia un altro aspetto: «Il Pnrr doveva finanziare la transizione. Oggi sta creando debiti alle imprese e pericoli per gli operai, bloccato da un software che non c'è e da comunicazioni via social. Ecco il cortocircuito in tre punti: 1) Il paradosso dei pagamenti: Ci sono pratiche di febbraio approvate, con contratto firmato. Tutto in regola, ma i soldi non arrivano. Il motivo tecnico? Non esiste ancora il portale per erogarli. Siamo ostaggi di un codice informatico che non c'è. 2) La gestione via social: A 10 giorni dalla scadenza del bando (30 novembre), non esce un decreto, ma un post su LinkedIn del Presidente del GSE che annuncia il taglio di 2/3 dei fondi. Le regole cambiano a partita finita, bruciando i business plan di migliaia di aziende. 3) I rischi per i lavoratori aumentano: La scadenza per i lavori resta ferrea: giugno. I mesi persi da loro per valutare le pratiche (siamo fermi a quelle di luglio) diventano tempo sottratto ai cantieri. Per stare nei tempi, gli installatori dovranno correre. E questo non è mai un bene per le condizioni e la sicurezza di chi lavora».
Vittorio Marletto, Energia per l’Italia mette a nudo il cuore della vicenda: «Il taglio dei fondi Pnrr alle Comunità energetiche rinnovabili è un passo indietro che rischia di indebolire uno dei pilastri più promettenti della transizione energetica italiana. Le Cer non sono solo impianti: sono un motore economico che crea lavoro, innovazione e valore nei territori, ma soprattutto un modello che mette i cittadini al centro, trasformandoli in protagonisti attivi del cambiamento energetico. Ridurre oggi le risorse significa frenare investimenti, rallentare progetti già avviati e minare la fiducia di imprese e comunità che hanno creduto in questo percorso. Chiediamo al governo stabilità e continuità: la transizione non può essere costruita a colpi di continue inversioni di percorso».
Dietro quei 1,4 miliardi tagliati non ci sono solo progetti che non vedranno la luce. Ci sono: Team aziendali dedicati che si trovano improvvisamente senza prospettive lavorative; Investimenti in formazione che perdono valore da un giorno all’altro; Piani industriali stravolti da una riprogrammazione calata dall’alto; Partnership e collaborazioni costruite con comuni, enti e cittadini che ora rischiano di dissolversi.
Noi di PuntoCER lo vediamo ogni giorno: professionisti qualificati che hanno scelto di specializzarsi sulle CER, aziende che hanno riorganizzato la propria struttura per servire questo mercato, consulenti che hanno investito anni per comprendere a fondo un sistema incentivante complesso.
Il MASE parla di “fattori esogeni” che avrebbero potuto determinare ritardi. Ma i fattori endogeni chi li considera? La lentezza burocratica, i ritardi nell’emanazione delle regole operative, le continue modifiche normative che hanno rallentato le procedure: questi non sono forse responsabilità del sistema?
Le aziende hanno seguito le indicazioni, rispettato i tempi, investito in buona fede. Ora si trovano di fronte a una scelta drammatica: 1. Mantenere i team formati sperando in “eventuali integrazioni finanziarie future” (una speranza, non una certezza); 2. Ridimensionare drasticamente l’organico, disperdendo competenze faticosamente acquisite; 3. Riconvertire risorse verso altri settori, accettando di aver buttato via anni di specializzazione.
PuntoCER si chiede: «Come si può parlare di transizione energetica credibile quando i fondi vengono tagliati del 64% da un anno all’altro? Come possono le imprese pianificare investimenti seri in un contesto così instabile? Il messaggio che passa è devastante: l’Italia non è un Paese affidabile per chi vuole investire nelle rinnovabili. Ieri è stato il turno di Industria 5.0, oggi sono le CER, domani quale altro incentivo verrà drasticamente ridotto senza preavviso e senza considerare le conseguenze sull’ecosistema imprenditoriale che si è creato?».
Per PuntoCER. i progetti “idonei ma non finanziati” sono una magra consolazione: «Il MASE rassicura che i progetti valutati positivamente ma non finanziabili “saranno comunque considerati idonei ai fini di eventuali scorrimenti”. In pratica: siete bravi, ma i soldi li abbiamo tolti. Un contentino burocratico che non paga stipendi, non ammortizza investimenti, non giustifica le scelte fatte. Con 772,5 milioni di euro già richiesti (dato GSE al 20 novembre) e una dotazione di 795,5 milioni, il margine residuo è ridicolo. Quante delle aziende che hanno investito nella filiera CER vedranno un ritorno? E quelle che resteranno escluse cosa faranno del personale formato e delle competenze acquisite? Noi di PuntoCER non contestiamo la necessità di rispettare le scadenze europee o di ottimizzare l’uso dei fondi PNRR. Contestiamo il metodo, l’assenza totale di considerazione per l’impatto economico e sociale di decisioni prese in modo unilaterale. Le aziende non sono variabili di aggiustamento nei bilanci pubblici. Sono organismi vivi, fatti di persone che lavorano, famiglie che dipendono da quei redditi, territori che traggono beneficio da quelle attività.
Se il Governo vuole davvero la transizione energetica, deve garantire continuità e prevedibilità. Non si può costruire un settore strategico a colpi di tagli improvvisi, lasciando le imprese a navigare a vista tra annunci roboanti e riprogrammazioni devastanti».
PuntoCER conclude con gli interrogativi che il MASE dovrebbe porsi prima di celebrare “esiti estremamente positivi”: «Quanti posti di lavoro verranno persi nella filiera delle CER a causa di questo taglio? Quale credibilità avrà l’Italia come destinazione di investimenti green dopo questa manovra? Come si recupererà il know-how disperso quando (e se) ci saranno nuove risorse? Quale sarà l’impatto sui piccoli comuni sotto i 50.000 abitanti che avevano individuato nelle CER una leva di sviluppo? Fino a quando non avremo risposte concrete a queste domande, ogni comunicato che parla di “successi” suonerà come una beffa a chi ha creduto nelle promesse di questo Paese».
Umberto Mazzantini






