Il 16 dicembre 1775 - esattamente 250 anni fa, dunque - nell’accogliente canonica di Steventon (Hampshire, Inghilterra) del reverendo George Austen e di Cassandra Leigh, sua moglie, nasceva la penultima degli otto figli della coppia, sei maschi e due femmine. I genitori garantirono a tutti, a prescindere dal sesso, una buona educazione e le due bambine svilupparono precocemente talenti letterari ed artistici: Cassandra, la maggiore, che si chiamava come la madre, divenne una discreta pittrice mentre Jane si dedicò alla scrittura, in particolare ai romanzi, con passione tale da rifiutare, sebbene con dolore, la scelta del matrimonio e della maternità, per potersi completamente dedicare al suo amore più grande, quello della letteratura.
Nella sua breve vita (41 anni e mezzo) ne scrisse sei: L’Abbazia di Northanger, Ragione e sentimento, Orgoglio e pregiudizio, Mansfield Park, Emma e Persuasione destinati a un successo straordinario e ad essere letti e apprezzati ancora oggi dalle generazioni più giovani. Non si contano poi, sparse per il mondo, le società letterarie a lei intitolate, le Jane Austen Societies, - in Italia, Jane Austen Society of Italy (JASIT) - che hanno lo scopo di diffondere, comprendere, approfondire le opere della scrittrice. Riscuotono pure grande fortuna le serie televisive e i film tratti dalle sue opere o dalla sua biografia e i “pellegrinaggi letterari” nei luoghi austeniani. Quest’anno inoltre la Fiera della piccola e media editoria di Roma “Più libri più liberi”, che si è chiusa pochi giorni fa, ha scelto come tema “Ragioni e sentimenti” proprio in omaggio a uno dei romanzi.
Virginia Woolf la adorava: Qualunque cosa lei scriva è compiuta e perfetta e calibrata […] Jane Austen è padrona di emozioni ben più profonde di quanto ci appaia in superficie. In lei vi sono tutte le qualità perenni della letteratura (V.W. The common rider, 1925) paragonandola addirittura a Shakespeare per le capacità introspettive. Dunque sarebbe ingiusto e ingeneroso relegare la sua produzione a “letteratura rosa” o esclusivamente destinata a un pubblico femminile: c’è molto di più nelle sue pagine, aldilà dei contenuti apparentemente superficiali e ottocenteschi, ossia la ricerca di una sistemazione affettiva ed economica in un mondo dominato dagli uomini, e dunque il lieto fine del matrimonio, che allontana lo spettro dello zitellaggio e della miseria.
Quello che colpisce leggendola, è l’attitudine, esercitata con sottile ironia, ad analizzare in profondità il microcosmo in cui ambienta la storia di turno, scandagliandola in tutte le sue relazioni affettive, sociali, economiche e denunciandone di conseguenza i limiti, i paradossi, le palesi ingiustizie, come l’impossibilità per le figlie e le mogli di ereditare le proprietà a vantaggio dei parenti, anche lontani, di sesso maschile. In punta di penna, senza paura, senza recriminazioni, senza critiche dirette, Jane creava piccoli mondi domestici simili a quelli che sperimentava quotidianamente a casa sua, dai parenti, dalle amiche, dai conoscenti dei suoi genitori: quest’universo, seppure ristretto, possedeva tali possibilità di intrecci amorosi, incontri e scontri e, al contrario, di invidie, gelosie e risentimenti, che, immaginando tre o quattro famiglie borghesi o di piccola nobiltà decaduta, qual era la sua, il risultato, in ricchezza e varietà di conseguenze romanzesche, era assicurato. E se non parlò mai direttamente delle guerre napoleoniche, in cui, tra l’altro, furono direttamente coinvolti i suoi fratelli, ufficiali della Royal Navy, è forse per dimostrare che anche con questa modalità, ignorando l’argomento principe di quegli anni, si poteva esprimere la propria siderale lontananza dalla violenza come valore e necessità storica.
Insomma, per questi ed altri mille motivi, che appaiono ben scandagliati in saggi, articoli, interventi che escono in questi giorni, vale proprio la pena di dedicare almeno un pensiero a quella piccola donna dalla volontà ferrea che dal suo minuscolo tavolo di un salotto di passaggio, a distanza di oltre due secoli, continua a coinvolgerci, emozionarci e divertirci con le sue storie d’epoca Regency, tra abiti stile impero, pettinature complicate, balli infiniti, assilli amorosi, equivoci, ragioni e sentimenti, scontri generazionali e più o meno lieti conversari.
Maria Gisella Catuogno






