Un po’ dappertutto la Natura si è ripresa i propri spazi durante il recente periodo in cui l’uomo è stato costretto a farsi da parte rimanendo rinchiuso nelle proprie tane. Il silenzio che ha avvolto tutto, per taluni angosciante, per i più davvero magico, è riuscito a conciliarsi con la mancata occupazione degli spazi in terra e in mare dando libero sfogo agli altri animali.
E così abbiamo visto filmati di delfini a caccia nei porti più improbabili (ad esempio a Chioggia), fenicotteri attraversare la strada per spostarsi da un laghetto all’altro (a Cagliari), cinghiali in visita alla stazione ferroviaria di Brignole di Genova, daini a spasso per le vie di Viareggio, verdesche nuotare a Porto Ercole e tantissimi altri casi simili.
Qui no. Il nostro mare non ha potuto tirare un sospiro di sollievo. E voglio tralasciare esempi esecrabili come un noto video in cui un polpo viene preso a calci dopo essere stato pescato dal molo a Portoferraio, con un fare inquietante che travalica l’atteggiamento predatorio in sé, sconfinando nella mancaza di rispetto.
La pesca ha potuto proseguire indisturbata dall’umana presenza altrui ampliando i propri spazi di azione e andando a raggranellare pescato anche là dove solitamente non andava. Ad esempio la chiusura forzata dei Diving Center e la conseguente assenza di subacquei hanno permesso di stendere reti anche sui classici siti di immersione sparsi lungo tutto il perimetro dell’Elba e dell’intero Arcipelago. E così quella che avrebbe potuto essere una rara occasione di ripopolamento ‘forzato’ dall’assenza dell’uomo è stata vanificata senza troppi indugi.
Come dire: invece di sfruttare un’occasione per mettere finalmente in campo un nuovo modo virtuoso e moderno di gestione del mare si è badato, come sempre da queste parti, al mero profitto immediato. Le reti sono spesso posizionate così vicino a costa che le specie che si avvicinano per riprodursi sono destinate a soccombere ma soprattutto a non produrre nuove generazioni, innescando un drammatico ciclo di impoverimento ambientale (si veda la foto inequivocabile allegata, scattata dalla scogliera di Capo Sant’Andrea a Marciana). Spesso ad esempio mi sento dire “eh… (sospiro) un tempo si che c’erano tante margherite (granseole) e oggi no”. E ci credo: per arrivare oggi a deporre le uova sulla costa una granseola dev’essere davvero un abile funambolo fortunato e riuscire a scansare miracolosamente due e a volte tre barriere di reti lungo il percorso!
Quando invece il generalizzato aumento della quantità di pesce e crostacei legata al cosidetto ‘lockdown’ avrebbe dovuto, secondo me, indicare che la via maestra per il futuro è semmai la creazione di zone di ripopolamento in cui lasciare in santa pace il mondo sottomarino (anche per meglio beneficiarne nelle zone limitrofe). È infatti ormai consolidato scientificamente che l’effetto di ‘spill over’ (migrazione di animali da una zona protetta alle aree circostanti) incrementa i profitti della pesca nelle zone limitrofe, anche se interessate da turismo subacqueo (si veda ad esempio Marine reserve benefits local fisheries, Russ et al., Ecological Society Applications v.14 n.2). Ma non serve andare tanto lontano per avere esempi funzionanti in cui sono tutti felici, pescatori, pesci, turisti subacquei e non: la Corsica ha da anni una gestione moderna di questo tipo (si veda ad esempio questa pagina web).
A poco serviranno infatti iniziative importanti come il progetto Mare Caldo (vedi qui) a cui mi onoro di partecipare con Greenpeace, volto allo studio dell’impatto dei cambiamenti climatici sul Mare Nostrum, se in parallelo non nascerà un sentimento più marcatamente responsabile a livello locale.
Leggo proprio oggi che la Capitaneria di Porto (a cui dovremmo tutti dire ‘grazie’ per un lavoro di controllo sempre più intricato) ha sanzionato pescherecci a strascico in zone proibite, veri e propri delinquenti che spengono il sistema di identificazione AIS e costringono a controlli più evoluti e via satellite. E che secondo me si fanno una grassa risata quando vedono che la pena è di appena duemila euro, una cifra ridicola se confrontata al profitto di una pescata illegale, che vale la pena rischiare di prendere mettendola già in preventivo alla voce ‘uscite’ nel flusso di cassa. Ben diverso sarebbe se un peschereccio trovato in zona proibita venisse istantaneamente sequestrato con revoca eterna della licenza di pesca e denuncia penale. Allora forse le regole verrebbero rispettate e la gente comincerebbe anche qui ad organizzarsi in modo più virtuoso e amico dell’ambiente come fanno da decenni in altre parti, anche in quelle considerate spesso ‘terzo mondo’.
Marco Sartore






